IV Avvento: L’uomo giusto per l’Emmanuele

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Un giorno per uomini, la quarta domenica di avvento. Dopo i profeti vestiti di peli di cammello e una delicata Vergine che illumina la strada a metà percorso, un posto di riguardo anche per gli uomini normali, i papà. Certo non c’è paragone: uno è un re, l’altro è un semplice artigiano del legno e del ferro. Ma si vedrà chi la vince alla fine.

Dio non risparmia sui segni

Il Signore Dio hai suoi tempi (spesso lunghi) e prepara per bene i suoi doni, anche quando sono delle sorprese. Anzi, è capace di dare i suoi doni anche a chi non li vuole… E si capisce, perché i doni di Dio sono sempre anche un ’ôt/segno di qualcosa d’altro, più bello e impegnativo della carta da regalo che lo avvolge.

Il re Achaz, insidiato nel 734 a.C. dal re di Damasco e da quello di Samaria che si mettono in combutta per buttarlo giù dal trono e mettervi al suo posto un re pagliaccio, è in comprensibile stato d’angoscia. Tuttavia, respinge l’offerta di Dio di scegliere di persona “il segno” della fedeltà del Signore al suo casato. Il segno chiede sempre la fede, l’affidamento. Se il Signore YHWH lo offre, poi bisogna crederci e vivere di fede. E allora è meglio stare sul chi va là e sfoggiare una religiosità che non ha bisogno di segni più o meno forzati per credere. Ma quella di Achaz non è vera religiosità, ma semplice paura di dover dare credito a Dio nella sua vita. E allora il Signore YHWH entra con delicatezza nella vita intima del re e della sua famiglia.

Carta da regalo, prego

Il Signore YHWH annuncia al re Achaz che prenderà personalmente l’iniziativa e donerà al re un segno prodigioso, di portata eccezionale. Coinvolgerà veramente cielo e terra. Il bimbo portato in grembo dalla sua sposa Abijah, una ‘almâ – una giovane ragazza giunta a nozze tradizionalmente illibata – sarà un segno concreto, esistenziale, personale. Avrà il suo nome personale, datole dalla mamma (secondo la traduzione greca dei Settanta dal papà) e sarà Ezechia/“mia forza è YHWH” (che è già più che un bel nome…). Ma egli sarà un segno personale, un segno di Dio nella sua stessa persona. Il suo vero nome, nascosto e profondo – divino – sarà Emmanuele/‘Immānû ’Ēl/Dio (è) con noi. Mangerà panna e miele, cibi buoni ma di precarietà, per quei pochi anni in cui imparerà a fare il bene e a rigettare il male. Egli sarà la rassicurazione gratuita, perenne e personale che Dio non si dimenticherà mai dei suoi figli, del suo popolo Israele, del casato di Giuda – scelti per elezione inclusiva di tutti i popoli – di tutti i suoi figli.

Non giustificherà certo croci naziste e non darà il suo assenso a qualsiasi atto “religioso” compiuto nel suo nome (“Dio lo vuole”). Ma sarà, in ogni caso, un segno che Dio sta dalla parte degli uomini, la parte che occupa tutto il suo cuore, finché dura la storia. Li ammonirà, li istruirà, abbraccerà perfino il fatto che le conseguenze negative di una libertà usata male si ritorcano contro di loro, ma non ritirerà mai la sua promessa di un presenza continua a fianco dei figli. Dio è un adulto responsabile, coerente, fedele, presente alla vita dei suoi figli. E allora può chiedere, perché ha dato tanto nella storia e adesso ha promesso una presenza di persona.

Ha dato tanto, promesso di più. Tutto finito? No.

Bisognerà che Dio compri altra carta da regalo.

L’uomo giusto per l’Emmanuele

Dio ha i suoi tempi (spesso lunghi) ma mille anni sono come un giorno ai suoi occhi. È il tempo del compimento pieno della promessa, l’esecuzione in scala 1/1 del “segno” dato al caldo della stanza regale del re Achaz. Ora si passa a un’altra famiglia, a un altro livello, ma il compimento si affina al massimo e raggiunge una punta infuocata. Nel periodo (un anno, ma anche forse solo sei mesi in Galilea) che intercorre tra il fidanzamento ufficiale e la celebrazione delle nozze, in Israele valevano tutti i doveri coniugali. Mancava solo la convivenza.

È il momento in cui il Signore YHWH porta il suo dono con la carta regalo nuova di zecca. Lo dona ad entrambi gli sposi, ma soprattutto alla giovane sposa. Ella non è solo un‘almâ come Abijah, una neanis/giovane ragazza (secondo la traduzione greca dei Settanta), pronta per le nozze (ma per sottolineare in particolare l’aspetto della verginità l’ebraico avrebbe usato betûlâ). È questo è un valore aggiunto, racchiuso nella parola parthenos, che indica sì una giovane ragazza, ma ne sottolinea la qualità della verginità. Prodigi delle possibilità provvidenziali del lessico non solo ebraico, ma anche greco, per far passare la rivelazione di Dio…. Una giovane rispettata da tutti, non toccata da alcuno, puro spazio per lo Spirito Santo di fuoco. Ciò che è generato in lei (“il bambino” è un’esplicazione della traduzione CEI), con il genere neutro rimanda ancora alla qualità del bimbo, frutto dell’azione dello Spirito Santo. Con l’assenso di Maria deve nascere qualcosa di totalmente nel mondo, un Emmanuele che però sia “santo”, cioè “altro”, figlio dell’Altissimo dice l’evangelista Luca. Una sferzata di totale novità. Aria fresca, pulita, che rigenera.

E Giuseppe (“Dio aggiunga”) non è un re, ma un artigiano veramente timorato di Dio. Egli è un “uomo giusto”. Biblicamente, non legalisticamente. Egli è giusto, perché anche lui vuole essere fedele al patto del Dio biblico che è sempre giusto, cioè fedele al suo patto con gli uomini. I pensieri che passano per la testa anche di un uomo di fede sono tanti. Il primo è che qui sotto c’è un gran disegno di Dio. La carta da regalo che avvolge il dono/segno è bellissima, troppo preziosa e ricercata. Qui gira gente troppo importante, al di sopra del mio livello. È meglio che rispetti tutti i giocatori in campo, rimetta tutto nelle mani buone del Donatore e del suo progetto su Maria. Poi bisogna che pensi anche a lui a salvarla mettendola in piazza il meno possibile.

Confusione double-face?

Certo i disegni di Dio hanno tempi lunghi, e Giuseppe ha avuto modo di meditare in quelle notti agitate la promessa fatta dal Signore YHWH al re Achaz settecento anni prima. Che il Signore voglia passare proprio per la mia famiglia per dare un “segno/dono” definitivo agli uomini? Deve il Signore YHWH passare proprio per le famiglie per fare i suoi doni più belli e impegnativi? Non c’erano altri profeti o sacerdoti da consacrare e vestire con i paramenti più belli? Le famiglie hanno la loro vita semplice e i problemi sono tanti, la fine del mese tante volte è molto in là. Certo, però, che il Signore ama le famiglie, ha bisogno delle famiglie, di persone legate dall’amore che rendono presente il suo.

Ma io sono un artigiano di poche parole (di nessuna parola di per sé, in tutto il vangelo). Non sono un politicante, un fanfarone, un re tentenna. So poche cose di Dio, quelle che mi hanno insegnato in casa, specialmente mia mamma. E queste mi bastano per sapere bene che, se Dio è fedele al suo patto con noi – è “giusto” –, lo devo essere anch’io con lui. E se lui mi dice, col suo angelo, di notte (quando sono proprio totalmente disponibile a ciò che Dio ha in mente di fare con me), di “accogliere” Maria in sposa (non di “prenderla” come un oggetto…), lo farò senz’altro, costi quel che costi. Non voglio mettere paletti sulla strada di Dio. Anche perché l’angelo specialista mandato dal Signore mi ha detto che stavolta il suo essere con il suo popolo raggiungerà proprio l’intimo dei cuori delle persone. Con la persona del mio figlio Gesù, che accolgo ben volentieri giuridicamente nella mia linea genealogica, il Signore potrà essere veramente in pienezza il Dio-con-Noi. Questo sarà il nome nascosto di mio figlio, nome d’alleanza, nome fedele, indistruttibile, la sua identità profonda. In lui Dio sarà per sempre con i suoi figli, gli uomini. Ne abbiamo bisogno. Abbiamo estremo bisogno di avere questa certezza che rasserena nel fondo. Questo l’ho capito parlando a lungo con Dio (e anche con Maria…). È un progetto troppo grande per dei semplici uomini ma, se lo accogliamo con fede, si compiranno grandi cose per tutti i nostri fratelli. Infatti, l’angelo del Signore mi ha detto che sarà all’opera lo Spirito Santo di Dio e per questo la qualità di fondo del nostro bimbo che nascerà (il greco dice “ciò che nascerà, alludendo alla sua qualità) sarà di essere “santo”, totalmente “altro” rispetto al grezzo che incrosta la nostra terra. Sarà tutto di Dio, il Totalmente Altro, ma anche tutto nostro. Di fatto, mi ha detto di dargli un nome che dica chiaramente quale sarà la sua missione ben visibile: “Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. È un grande onore per me dargli questo suo nome-missione, come ha fatto Abramo con Isacco (cf. Gen 17,19). Guarirà nel profondo i nostri cuori, ci riporterà tutti a Dio, raddrizzerà i nostri colpi che falliscono il bersaglio. Sono i peccati che strozzano i nostri sogni, ci rimpiccioliscono, ci abbruttiscono come animaletti. Ci sarà un po’ di confusione? Gesù? Emmanuele?

Ma, Giuseppe, come si chiama questo bambino double face? State a vedere come si muove e capirete. Io non sono di tante parole. Anzi, io non dico proprio niente (veramente un po’ con Maria forse ho parlato, ma sono cose nostre). Ascolto, credo, faccio, “accolgo”. Un bimbo piccolo, indifeso, double-face sarà la presenza perenne di Dio e la salvezza degli uomini dalle loro ferite più profonde. Ce n’è da riempire la vita di una famiglia e di che far contento il cuore di tante persone, popoli interi, soprattutto i poveri.

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