Natale: il sogno di Dio

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I testi biblici e liturgici del Natale sono un prezioso antidoto contro lo svuotamento che questo tempo dell’anno liturgico rischia costantemente subire a causa del prevalere delle logiche, da una parte, devozionali, dall’altra, consumistiche con il quale la nostra società è portata a viverlo. Torniamo sempre alla Bibbia e alla liturgia per lasciarci raccontare quel mistero che celebriamo nel tempo natalizio.

In particolare quest’anno, in cui ci farà da guida il primo evangelista (anno A), potremmo seguire i racconti dell’infanzia secondo il Vangelo di Matteo, a partire anche dall’uso che il Lezionario liturgico fa di questi testi. L’evangelista Matteo, dopo la genealogia (Mt 1,1-17), che costituisce come un prologo dei racconti dell’infanzia, prosegue la sua narrazione con cinque episodi (annuncio a Giuseppe, i magi, la fuga in Egitto, la strage dei bambini, il ritorno dall’Egitto), tutti segnati da una citazione di compimento (Mt 1,22; 2,5; 2,15; 2,17; 2,23). La citazione di compimento, una caratteristica propria di Matteo, sottolinea come tutto ciò che accade è secondo la parola di Dio e la sua promessa.

Un Dio fedele
testi biblici e liturgici del Natale

Genealogia di Gesù (Mosaico chiesa bizantina di Chora, Istanbul)

Il primo episodio che incontriamo nel Vangelo di Matteo riguardante i racconti dell’infanzia è la genealogia (Mt 1,1-17). Nel Lezionario liturgico questo brano viene proclamato per intero il 17 dicembre, all’inizio delle ferie maggiori dell’avvento, e nella messa vespertina nella vigilia. La liturgia utilizza questo testo quindi in situazioni di attesa, per inserire l’evento dell’incarnazione nel contesto più ampio della storia della salvezza. Si tratta di un aspetto molto importante, da non dimenticare, se si vuole comprendere il Natale nella sua dimensione più autentica.

Il testo della genealogia spesso viene letto frettolosamente, con un tono che potremmo dire “rassegnato”. Addirittura a volte si fa la scelta di ometterlo considerandolo, a torto, un testo arido e privo di interesse per chi lo ascolta, a causa della sua monotonia nella ripetizione di una lunga serie di nomi. In realtà, si tratta di un testo molto bello, che l’evangelista Matteo scrive con molta cura per i particolari. Quella lunga serie di nomi, il cui monotono susseguirsi è parte integrante dell’annuncio, nasconde in sé un grande messaggio, grazie ad alcuni particolari che non ci devono sfuggire. Questo testo ci dice, innanzitutto, che l’apparente monotonia del susseguirsi delle generazioni umane è abitata dalla novità sempre inedita di Dio. È nella storia apparentemente monotona e scontata dell’umanità che il Dio della rivelazione ebraico-cristiana si rivela.

La genealogia è suddivisa in tre parti, ognuna delle quali, stando a ciò che afferma l’evangelista, sarebbe composta da quattordici generazioni. In realtà se andiamo a contare da quante generazioni è costituita ognuna delle tre parti, possiamo notare che la dichiarazione di Matteo non corrisponde a verità. Perché allora dichiarare che la genealogia del Messia è costituita da tre blocchi di quattordici generazioni ciascuno? Che valore ha per Matteo il numero quattordici? In ebraico la somma del valore numerico delle lettere che compongono il nome “Davide” (dvd / 4+6+4) è appunto di quattordici.

L’evangelista vuole dirci che la promessa fatta a Davide attraversa tutta una storia fatta di momenti luminosi, ma anche di grandi contraddizioni e catastrofi. Basti pensare al tragico momento della deportazione in Babilonia o alla lunga serie di re che non hanno agito in conformità alla Legge del Signore. Ebbene, anche quando la promessa di Dio sembrava essersi persa e spenta tra le pieghe contorte della storia umana, in realtà essa continuava il suo invisibile cammino. È un grande annuncio di speranza: la fedeltà di Dio non viene mai meno anche quando ai nostri occhi sembra persa ogni speranza.

Una lunga serie di nomi, introdotti dal verbo attivo «generò», alla fine conosce un brusco cambiamento. Si passa improvvisamente dall’attivo al passivo: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato (let.: è stato generato) Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). La storia umana non avrebbe potuto da sola generare il Messia; solo un intervento gratuito e libero di Dio permette alla storia dell’umanità di generare l’insperato. Questo è un primo annuncio del Natale che la genealogia secondo Matteo ci presenta: la fedeltà di Dio. In Gesù Dio conferma la sua fedeltà al suo popolo e all’intera umanità.

Dio con noi

Subito dopo la genealogia, troviamo l’episodio dell’annuncio a Giuseppe e uno stringato riferimento alla nascita di Gesù (Mt 1,18-25). Matteo, a differenza di Luca che sottolinea molto il ruolo di Maria, lascia molto spazio nella sua narrazione alla figura di Giuseppe. È lui che appartiene alla casa di Davide ed è lui che, riconoscendo e dando il nome al figlio di Maria, garantisce l’appartenenza di Gesù alla stirpe davidica. Nel Lezionario liturgico questo testo viene utilizzato il giorno di Natale nella messa vespertina nella vigilia, unito alla genealogia (Mt 1,1-25). Il testo viene letto inoltre privo del v. 25 nella quarta domenica di avvento dell’anno A e il 18 dicembre nelle ferie maggiori dell’avvento.

In questo testo emerge un tema fondamentale dell’intero racconto di Matteo che crea un’inclusione tra l’inizio e la fine del primo Vangelo: il Dio con noi. Una delle categorie bibliche principali per comprendere l’incarnazione e il ministero di Gesù secondo Matteo consiste nel fatto che in lui Dio si è mostrato come l’Emmanuele, il «Dio con noi». Questo annuncio, nel contesto del racconto dell’annuncio a Giuseppe, avviene tramite la citazione di compimento di Isaia: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). Il tema del «Dio con noi» tornerà alla fine del Vangelo nelle parole del Risorto ai suoi discepoli: «ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

L’Emmanuele non è un concetto, ma una storia concreta di un popolo che nelle sue travagliate vicende ha sempre sentito la costante presenza del suo Dio. È un aspetto significativo anche per noi che spesso siamo tentati di spiegare Dio. Matteo ci annuncia invece che la presenza di Dio si può solo narrare, raccontare, testimoniare. Una presenza che, per poter essere comunicata, va sperimentata e, successivamente, narrata. Gesù, l’Emmanuele è appunto colui che ci narra il volto di Dio non attraverso concetti, ma attraverso la sua vita nella quale Matteo, la sua comunità e noi sperimentiamo la presenza di Dio.

In questo senso possiamo vedere come l’annuncio di questa pagina del Vangelo di Matteo non sia semplicemente la narrazione di un fatto del passato – caratteristica che riguarda tutti i vangeli dell’infanzia – ma un annuncio sempre attuale per la comunità circa il suo rapporto con il Cristo Signore che rimane per essa il modo permanente nel quale sperimentare la presenza di Dio. Noi che leggiamo oggi queste pagine del Vangelo di Matteo ascoltiamo non semplicemente un fatto del passato, ma come Dio oggi sia «con noi». Passato (storia di Gesù) e presente (vita delle comunità) sono strettamente legati tra di loro.

Le Scritture e la stella

Il secondo episodio del “pentateuco” matteano dell’infanzia è costituito dalla visita dei magi (Mt 2,1-12). Nel Lezionario liturgico questo testo viene letto nella solennità dell’Epifania. In questa narrazione gli elementi che possiamo sottolineare riguardo al senso del Natale secondo Matteo sono la presenza di due grandi elementi: la stella e la Scrittura.

I misteriosi personaggi protagonisti di questa narrazione vengono guidati all’incontro con il Messia che è nato da due elementi: la stella e le Scritture sante di Israele. Il loro cammino inizia grazie ad una stella che li guida (Mt 2,2.9). Si tratta di un elemento del creato che guida all’incontro con Dio. Tuttavia questo elemento da solo non è sufficiente, occorre che siano le Scritture di Israele (cf. Mi 5,1) a indicare loro il luogo della nascita del Messia.

Questo testo aggiunge un altro fondamento al modo di vivere oggi il Natale. Non è possibile incontrare il Dio con noi senza avere tra le mani le Scritture. Gesù è la parola stessa di Dio che si fa nostra carne e solo le Scritture sono il luogo nel quale la Parola di Dio può oggi raggiungere la nostra vita e porre la sua tenda in mezzo a noi. Certo, dobbiamo lasciarci interrogare e guidare anche dalla natura, dalla vita umana, ma non possiamo giungere all’incontro con la parola di Dio per noi, se non attraverso le Scritture.

Un Dio solidale

Il terzo episodio è la fuga in Egitto (Mt 2,13-15). Nel Lezionario liturgico il racconto della fuga in Egitto vene proposto nella festa della S. Famiglia dell’anno A e il 28 dicembre, unitamente all’episodio seguente della strage degli innocenti.

Ci guida alla comprensione di questo testo la citazione di compimento di Os 11,1: «dall’Egitto chiamai mio figlio». Il riferimento al testo profetico ci guida nel creare un legame tra l’episodio della fuga in Egitto e l’evento dell’Esodo. In fondo, questo racconto ci dice che Gesù ha dovuto, prima di essere salvatore, un salvato. Nel testo di Osea Dio chiama suo figlio il popolo, nel brano del Vangelo di Matteo, invece, ci si riferisce a Gesù: «Matteo ritiene che il rapporto filiale del popolo di Dio venga ora riassunto in Gesù che rivive nella propria vita la storia di questo popolo» (R.E. Brown). Gesù, proprio in questa sua veste di rappresentante dell’intero popolo di Dio, deve ripercorrere le strade che il popolo ha percorso nell’infedeltà, per pronunciare un “sì” divino su quelle medesime strade, per trasformare «il deserto in sorgenti d’acqua» (cfr. Is 41,18). Si rivela un altro volto del Dio che in Gesù si manifesta, la sua solidarietà con l’umanità.

Dio della storia

Il quarto episodio è costituito dalla strage degli innocenti (Mt 2,16-18). Nel Lezionario liturgico troviamo questo testo il 28 dicembre, nella festa dei ss. Innocenti. La citazione di compimento a cui fa riferimento l’episodio è tratta da Geremia (Ger 31,15). Matteo, inserendo questa citazione che rimanda non al contesto della schiavitù in Egitto, ma a quello dell’esilio, l’altra grande sciagura che ha colpito il popolo di Dio, ci annuncia che Gesù si pone in continuità con «le due più grandi manifestazione del potere salvifico di YHWH» (R.E. Brown). Infatti, la liberazione dall’Egitto, a cui fa riferimento l’episodio precedente, e il ritorno dall’esilio sono proprio questo: le più grandi manifestazioni dell’amore di Dio per il suo popolo; in esse Israele ha sperimentato la presenza di un Dio che camminava con loro. Gesù è ora il luogo nel quale la comunità cristiana può continuare a fare quella medesima esperienza. L’annuncio del Dio con noi non è qualcosa di astratto o di puramente interiore, ma riguarda la concreta storia dell’umanità e le sue travagliate vicende. Il Dio di Gesù è il Dio della storia.

Un Dio dei sogni

L’ultimo episodio è il ritorno dall’Egitto (Mt 2,19-23). Questo episodio nel Lezionario liturgico viene letto nella festa della S. Famiglia dell’anno A. Troviamo qui l’ultimo dei sogni che costellano i racconti dell’infanzia nel Vangelo di Matteo. Nel primo evangelista la nascita di Gesù è accompagnata da una serie di sogni che rendono possibile l’impossibile e che permettono ad una storia apparentemente senza vie di uscita di andare avanti e di realizzarsi.

Il Dio che si rivela nei racconti dell’infanzia è il Dio dei sogni. Anche questa è una caratteristica fondamentale dell’incarnazione e del Natale. Il mistero dell’incarnazione ci annuncia che Dio ha un sogno sull’umanità che nessuno può ostacolare e fermare. Gesù è il sogno di Dio che si è realizzato e che attende di realizzarsi oggi nella vita della Chiesa e nell’esistenza di ogni uomo e donna. Il Natale, per Matteo, è la festa dei sognatori che, come Giuseppe, sanno fare proprio il sogno di Dio.

Matteo Ferrari è monaco di Camaldoli

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