Oltre la “religione civile” e il “cristianesimo borghese”

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chiesa oggi

L’articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 29 dicembre scorso ha suscitato alcune reazioni che hanno più o meno colpito il bersaglio: dall’invito moralistico alla fiducia nella Chiesa, anche nei momenti di crisi epocale, pubblicato da Gianni Gennari su Avvenire al rifiuto radicale di chi, come Fabrizio Mastrofini su Il riformista, cerca di mettere all’angolo l’editorialista, accusandolo di esprimersi su ciò che ignora.

Chi scrive ritiene che queste riflessioni interpellino, soprattutto con gli interrogativi che pongono, la teologia in quanto servizio ecclesiale, prima ancora che sapere accademico. Si tratta, infatti, dell’identità del Cristianesimo nel mondo contemporaneo, della sua efficacia, del presunto venir meno della sua capacità di coinvolgimento e della sua forza propulsiva.

Insomma, ritorna la domanda di Gesù: «Ma il Figlio dell’uomo, al suo ritorno, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). I grandi temi che vengono evocati presentano una valenza teologica pregnante e interpellante e da questo punto di vista intendo rifletterli, attingendo alla mia esperienza di studio e di presenza nella Chiesa.

Il presunto “declino del Cristianesimo”, che l’editorialista intravede non solo in Occidente, ma nell’intero villaggio globale, non mi pare possa tout court essere interpretato come un’eclisse della fede. Piuttosto ritengo che siamo di fronte allo spegnersi, neppure tanto rapido o istantaneo, di due cliché che la teologia da decenni ha ormai stigmatizzato.

In primo luogo, quello della “religione civile”, ovvero di un’appartenenza religiosa che incide sempre meno sulla società e nella storia. Il paradigma sottintende un’esclusiva valenza etica della fede, in tal modo ridotta ad un sistema di valori da riportare nella vita sociale, culturale e politica di popoli e persone. Se il Cristianesimo è anche questo, non ci stancheremo mai di sottolineare come non sia solo un ethos.

A parte il fatto che l’incidenza di valori profondamente cristiani, sia pur secolarizzati, permea di fatto la cultura occidentale più di quanto essa stessa non intenda ammettere e più di quanto non si possa pensare, come ci ricorda l’incontro di Gesù col “giovane ricco” (Mt 10, 17-27), non è l’adesione ai valori a identificare la sequela. E non è nemmeno vero che la Chiesa attuale ignori o intenda ignorare il dramma dell’assenza del Dio di Gesù Cristo nell’attuale società.

Basterà ricordare un decisivo passaggio del discorso di papa Francesco alla curia romana in occasione degli auguri natalizi dello scorso anno: «Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata» (21 dicembre 2019).

E in tale constatazione, quasi gridata, il papa dava voce non solo alle considerazioni del suo predecessore, ma anche a quanti da lungo tempo ormai denunciavano tale crisi, basti pensare al “cristianesimo in frantumi” di Michel de Certeau (pubblicato nel 1974). Lì il gesuita francese segnalava che spesso sono proprio motivazioni autenticamente cristiane a portare i credenti lontano dai luoghi convenzionali del culto e delle strutture.

La crisi allora riguarda e coinvolge, quello che Wilhelm Hendrik van de Pol denominava “cristianesimo convenzionale” e di cui auspicava la “fine”. Di qui la necessità, come ama ripetere papa Francesco, di avviare processi, piuttosto che occupare spazi.

Il futuro della fede si gioca quindi nella sua capacità di andare oltre la “religione borghese”, un orizzonte intravisto e segnalato da Johann Baptist Metz all’inizio degli anni ’80, denunciando una società che vede il prevalere di comunità parrocchiali o associazioni meramente cultuali o “religiose”, “quasi puro riflesso, in campo organizzativo, di quella religione borghese che dovrà essere superata lentamente, ma decisamente, in un simile processo di riforma” (J. B. Metz, Al di là della religione borghese. Discorsi sul futuro del cristianesimo, Queriniana, Brescia 1981, 77). La riduzione cultuale della fede cristiana compromette radicalmente il suo carattere profetico-critico e, disincarnandola, solo apparentemente la rende efficace.

Non sembra inoltre pertinente la denuncia di una presunta mancanza di democrazia, lesiva dei diritti, così come esposta dal Della Loggia. Il riferimento al caso Becciu, infatti, è improprio, in quanto nessuno dei suoi diritti fondamentali di battezzato e di vescovo è stato calpestato, bensì gli sono stati revocati i privilegi connessi alla porpora cardinalizia, che non può considerarsi affatto un diritto.

Nel momento in cui il vescovo di Roma ritiene che si sia incrinato il rapporto fiduciale al massimo livello che deve sostenere il sacro collegio, allora è nelle sue piene facoltà assumere provvedimenti come quelli adottati nel caso suddetto. In altro caso, le sanzioni sono state determinate dopo opportuno iter processuale.

Allo stesso modo sembra fuori luogo ritenere che si stia predeterminando la successione, con la nomina di cardinali, che risultino fedeli al Pontefice, come non è affatto storicamente fondata, neppure nella storia recente, la presunta discontinuità fra l’elezione di un papa e quella del suo successore, come se fra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non si sia data determinante continuità, pur nelle differenze che sempre caratterizzano l’indole, la cultura, la formazione di ogni vescovo di Roma.

Infine, la questione femminile e il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale, con particolare riferimento ai centri decisionali. Quello che l’editorialista auspica è un obiettivo, cui tutti dovremmo tendere, ma che si realizzerà a lungo termine, mentre il processo che lo ha attivato è già in corso.

Mi sembra superfluo qui elencare le donne chiamate recentemente a ricoprire ruoli importanti nella Chiesa, mentre intendo concludere sottolineando che di tale processo è parte integrante un cambiamento di mentalità, che richiede da parte di tutti (ecclesiastici e laici) la capacità di interpretare l’autorità e il governo nell’orizzonte del servizio, piuttosto che del potere. La rivendicazione di ruoli apicali mi sembra sottendere un clericalismo rovesciato, dal quale anche siamo chiamati a difenderci e liberarci.

Tutti nella comunità credente dovremmo lavorare perché il Figlio dell’uomo al suo ritorno trovi fede autentica nel mondo, ispirata al mistero dell’Incarnazione, che stiamo vivendo anche in tempi così drammatici, e non sarà certo un gran danno se non troverà “religione borghese”, né “cristianesimo convenzionale”.

Oltre ogni riduzionismo etico e cultuale la fede è l’adesione della persona, con la sua conoscenza, volontà e affettività al mistero di Cristo e pertanto coincide con la sequela, non  quantificabile in base all’incidenza dei cristiani nella vita pubblica né alla frequentazioni dei luoghi di culto.

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8 Commenti

  1. Gaetano Marsiglia 6 gennaio 2021
  2. Antonio Staglianó 6 gennaio 2021
    • Francesco Di Girolamo 7 gennaio 2021
  3. Massimo Naro 4 gennaio 2021
  4. Romilda Saetta 4 gennaio 2021
  5. Salvo Coco 3 gennaio 2021
  6. Fabio Aita 3 gennaio 2021
  7. Andrea Paganini 3 gennaio 2021

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