Per Francesco

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Monta un po’ da tutte le parti il risentimento degli “speranzosi” nei confronti di Francesco, colpevole – così la vulgata che circola nei media – di aver destato molte speranze, appunto, all’inizio del suo pontificato e di averle poi deluse nel suo svolgimento. Il giudizio: non passerà alla storia come il papa delle riforme della Chiesa, ma come colui che non ha mantenuto la promessa.

A questo giudizio tranciante si oppone quantomeno il fatto che Francesco è il papa del post Concilio che ha generato la più aggressiva opposizione da parte di coloro che non vogliono alcuna riforma della Chiesa, anzi desidererebbero portarla indietro nella sua storia. Egli ha costretto questa opposizione a “protestantizzarsi”, laddove essa non ha avuto altra arma che quella di dichiarare più o meno eretico il papa regnante.

Difficile generare questo tipo di reazione non facendo nulla in vista di una trasformazione della Chiesa cattolica, nel senso di una sua più fedele aderenza al Vangelo. Qualcosa è cambiato, non fosse altro che la possibilità di respirare nella Chiesa e di poter mettere mano al transito verso una sua forma pastorale e istituzionale fedele alla storia in cui essa vive – che è la declinazione adeguata della sua aderenza alla destinazione evangelica che le compete. Direi che anche questo è un fatto, se solo pensiamo al clima che si respirava sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Con tutti i limiti di Francesco, ora nella Chiesa si può vivere – anche quelli che non la pensano come lui e non sono minimamente con lui. Sinceramente non mi sembra essere cosa del tutto irrilevante. Non solo, oggi nella Chiesa si sono aperti spazi per una sua riconfigurazione che mai ci saremmo immaginati sotto i suoi predecessori. Quanto abbiamo usato questi spazi tenendo conto della condizione effettiva della Chiesa, ossia non solo del nostro personale desiderio di riforma, in questi anni?

Certo l’uomo non è perfetto, ha fatto i suoi errori (riconoscendoli anche), avrà pure un carattere non facile – nessun problema a riconoscere tutto ciò; ma bisogna anche concedergli di non avere trovato sponda adeguata nel personale episcopale cattolico (fatte le debite eccezioni, che però dicono appunto di una complicità biografica e non strutturale con la sua visione di Chiesa).

A parte quelli chiaramente contrari a questa visione e vocalmente più attivi, gran parte degli altri vescovi (formalmente a favore di Francesco) hanno silenziosamente spento ogni slancio possibile non facendo nulla e lasciando andare avanti le cose esattamente come erano prima di Bergoglio a livello di Chiesa locale. Nel frattempo, abbiamo irrimediabilmente perso la generazione che avrebbe dovuto garantire un futuro alle nostre Chiese: i giovani. Davanti al fatto che essi non sono più dove sono le strutture abituali delle comunità cristiane, non ci siamo inventati nulla per portare queste ultime là dove vivono i giovani del nostro tempo. Difficile appassionarli per il Vangelo di Gesù se non li incontriamo praticamente mai. Troppo comodo attendere che entrino nel recinto sicuro delle nostre abitudini un po’ ammuffite per introdurli alla familiarità con il Dio di Gesù – e comunque sarebbe un’attesa vana.

Oramai anche gli anziani soloni del cattolicesimo ante Francesco si sono adeguati allo spirito del tempo: criticare Francesco non vuol dire essere contro di lui – ci dice il card. Ruini in un’intervista, quando non ha mai tollerato un simile atteggiamento nel tempo del suo impero sulla Chiesa italiana. Al ceto cattolico che si sente rappresentato da questa affermazione ci attendiamo di mostrare come sono con lui. Dagli altri di smettere di lamentarsi e approfittare di ogni pertugio aperto da Francesco per immaginare una Chiesa aderente al Vangelo – non è detto che ci sarà data un’ulteriore occasione.

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3 Commenti

  1. Giovanni Ruggeri 13 ottobre 2020
  2. Gian Piero 8 ottobre 2020
    • Davide 9 ottobre 2020

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