Persecuzioni: beati e beoti

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I perseguitati per la loro fede sono in crescita. I più colpiti sono i cristiani. Su 2 miliardi e 100 milioni sono immediatamente esposti alle violenze oltre 300 milioni. Uno su sette. È il primo dato del Rapporto 2018 sulla libertà religiosa nel mondo, proposto dall’associazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS).

Dopo il ’900 considerato il secolo dei martiri (si stimano a circa 1 milione e mezzo), il fenomeno ha ripreso vigore, non più su base ideologica (comunismo, nazismo, sicurezza dello stato), ma su questioni etniche, di fondamentalismo religioso, di fragilità statuale, di nazionalismo rinnovato oltre che dei tradizionali ceppi ateistici.

Non solo si sbriciolano le distinzioni confessionali all’interno del cristianesimo, ma le aggressioni alle fedi si impastano sempre più con il disprezzo dei diritti umani. La libertà della fede cala ovunque quando le libertà essenziali sono conculcate.

La svolta è indicativamente collocata nel 2007.

In un Rapporto delle Chiese tedesche del 2013 si leggeva: «Studi dei più noti centri di ricerca mostrano, dal 2007, una chiara tendenza alla crescente costatazione delle violazioni del diritto alla libertà religiosa e di pensiero».

Minacce e discriminazioni avvengono sia sul versante degli stati e delle istituzioni sia su quello dei comportamenti sociali diffusi. Inoltre, il tradizionale riferimento al contenuto del termine “persecuzione” si declina in molti modi, fino a decisioni amministrative da parte di stati di lunga tradizione democratica che suonano come cristianofobiche.

Nazionalismo ottuso

È la prima volta dal quarto secolo che il fenomeno assume queste dimensioni. Non è ancora entrato nella coscienza cristiana diffusa anche se il magistero (Chiese cristiane, papa ed episcopati) lo sottolineano costantemente. Anche solo cinque anni fa sembrava eccessivo parlare di 200 milioni di cristiani a rischio e si stimavano gli uccisi in 7-8.000 persone all’anno. Oggi i numeri sono lievitati.

I paesi in cui il Rapporto citato registra gravi o estreme violazioni della libertà religiosa sono 38.

21 paesi sono classificati come di persecuzione: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan. Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen.

17 paesi sono invece classificati per le significative discriminazioni verso i credenti (e talora gli atei): Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Russia, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Tagikistan, Turchia, Ucraina, Vietnam.

L’elemento relativamente nuovo del periodo considerato (2016-2018) è «l’aumento del nazionalismo aggressivo ai danni delle minoranze, degenerato a tal punto da poter essere definito ultra-nazionalismo. Tale fenomeno si è sviluppato in modo diverso a seconda dei paesi.

Significativo il caso dell’India, dove si evidenziano sempre più atti di violenza ai danni delle minoranze religiose». Un aumento che coincide «con l’ascesa del Bharatiya Janata Party e non registra battute di arresto. Nel 2017 sono stati infatti compiuti 736 attacchi contro i cristiani, con un netto aumento rispetto ai 358 del 2016».

Si confermano una serie di altri ceppi o tendenze pericolose, già segnalate nell’ultimo decennio dalla varie inchieste e rapporti. C’è un grave rischio di estinzione delle comunità cristiane in alcune aree del Medio Oriente e in altre, come il subcontinente indiano e l’Africa sub-sahariana, sembrano esaurirsi secolari e pacifiche forme di multiculturalismo.

I maggiori pericoli vengono dal fondamentalismo islamico (statale o di gruppi come Daesh e Boko Haram), dall’estremismo religioso (buddismo e induismo compresi), dall’ideologismo statalista, dal confessionalismo (è il caso della Russia e dell’Ucraina), dalla violenza endemica dei «non-stati» e dalla corruzione pervasiva in altri (le decine di preti uccisi in Messico).

Le tendenze maggiori

L’impressionante crescita complessiva delle persecuzioni ha – come si diceva – una rilevante alimentazione dal fondamentalismo islamico che ha, come effetto, la radicalizzazione della società musulmana. Anche i poteri statuali che intendono opporsi alla violenza fondamentalista irrigidiscono le normative in senso islamico per non scoprirsi davanti al consenso popolare. Si moltiplicano misure restrittive generali su ogni forma di espressione religiosa.

Cresce il rifiuto della coesistenza con le minoranze, cristiane e no. L’intento di sterminare la Chiesa in certi territori è senza precedenti: in Nigeria (Nord, Nord-Est e cintura centrale), in Siria, in Iraq, in Sudan (monti Nuba), in Somalia, in Kenia (Nord-Est). Un rifiuto di vivere insieme caratterizzato da persecuzioni non sempre avvertibili: una sorta di morsa che persegue l’annientamento delle comunità cristiane attraverso discriminazioni e soprusi di lunga durata.

Permangono volontà statuali di disciplinare le religioni (Cina, Vietnam ecc.) o di etnicizzare gli stati (Myanmar).

I processi di persecuzione si poggiano su tre motori.

Il primo è il tribalismo esclusivo, in cui gli “altri”, cioè le minoranze, sono escluse. Oltre all’estremismo islamico, si possono collocare qui il nazionalismo religioso, le rivalità etniche e quando una denominazione cristiana maggioritaria si impone come unica espressione cristiana di un paese.

Il secondo motore è il laicismo estremo, per esempio, della tradizione comunista o rivoluzionaria (Venezuela).

Il terzo sono i poteri abusivi, cioè il totalitarismo e l’autoritarismo, ma anche la corruzione, la criminalità organizzata che occupa i territori o la violenza anarchica frutto dell’assenza di un potere centrale. Non sono solo i governi che guidano le persecuzioni, ma attori non statali come i gruppi fondamentalistici, etnici o religiosi.

Il Rapporto dell’ACS sottolinea due elementi particolari.

Anzitutto, il sempre più consistente ricorso degli stati a controllare, limitare o rimuovere le informazioni e i libri.

In Azerbaigian si specifica il numero delle copie di libri religiosi. Nel 2016 sono state ispezionate 26 librerie di argomento spirituale, multando diversi librai.

In Brunei si regola strettamente l’importazione e la distribuzione della letteratura religiosa.

In Kazakistan si sequestra il materiale religioso che non rispetta i regolamenti stabiliti dal governo.

In Libia si registrano attacchi ai mezzi di comunicazione e ai giornalisti.

Ancora più inquietante è la violenza specifica sulle donne: lo stupro di gruppo per umiliare l’appartenenza religiosa. È il caso delle donne yazide dell’Iraq e della Siria, della facile denuncia di blasfemia alle donne in Pakistan e Indonesia.

In Pakistan ogni anno 1.000 ragazze e giovani donne nella provincia del Sindh sono costretta a convertirsi all’islam e destinate ai matrimoni forzati.

In Libia «lo stupro rappresenta un arma usata ai fini di perseguitare le donne e le ragazze cristiane».

I casi nazionali

Sono significative alcune note sui singoli paesi.

Afghanistan: «La missione di assistenza delle Nazioni Unite nota che, se in tutto il 2016 vi erano stati soltanto due attacchi a leader religiosi, nella sola prima metà del 2017 ve ne sono stati 11. Questa tendenza al rialzo prova il crescente scontro tra sunniti e sciiti e l’instabilità generale del paese. Un quadro all’interno del quale le differenze religiose costituiscono un fattore chiave».

Arabia Saudita: «I cittadini sauditi devono essere musulmani. I non musulmani devono convertirsi all’islam per poter ottenere la naturalizzazione. I bambini nati da padri musulmani sono considerati musulmani. La libertà religiosa non è né riconosciuta né protetta».

Siria: «Vi sono principalmente due gruppi che hanno violato la libertà religiosa. Innanzitutto il governo di Assad e i suoi alleati militari come Hezbollah, la milizia sciita del Libano, e i volontari sciiti provenienti da Iraq e Iran. Alcuni rapporti suggeriscono che Assad e i suoi alleati abbiano colpito intenzionalmente le aree sunnite. Il secondo gruppo è costituito da attori non statali che hanno di fatto stabilito un controllo statale su determinate aree», cioè jihadisti sunniti e milizie curde.

Yemen: «La guerra civile in corso e i recenti e preoccupanti sviluppi hanno messo a rischio la coesione della società yemenita. Approfittando dell’instabilità sociale e politica e della mancanza di sicurezza nel paese, i gruppi islamici hanno trasformato lo Yemen in una base per le loro operazioni. I continui scontri e le forti tensioni rimangono motivo di preoccupazione per quanto riguarda i diritti umani e la libertà religiosa in particolare».

Myanmar: «Circa 688.000 persone hanno lasciato la Birmania per rifugiarsi in Bangladesh nell’agosto 2017 a seguito di quella che è ampiamente riconosciuta come una campagna di pulizia etnica anti-islamica da parte dell’esercito birmano». «Finché i militari continueranno a detenere il potere reale, i nazionalisti buddisti saranno in grado di perseguire la loro campagna di odio e i crimini contro l’umanità continueranno ad essere commessi impunemente».

Maldive: «Per quanto riguarda una possibile presenza cristiana all’interno delle Maldive, l’unico dato che può essere garantito e che non vi è alcuna chiesa né luogo di culto cristiano nel paese. I pochi cristiani maldiviani non hanno nessun posto dove riunirsi e cercano in tutti i modi di impedire che la loro fede venga scoperta».

Somalia: «Vi è poca speranza che la situazione nel Corno d’Africa possa migliorare. Non soltanto a causa delle continue violenze, ma anche in ragione della maggior violenza estremista che si osserva in Somalia. Il governo centrale è debole e la comunità internazionale mostra meno disponibilità ad impegnarsi in un coinvolgimento duraturo nel paese».

Cuba e Venezuela

Arricchisce il Rapporto ACS la pubblicazione della Conferenza episcopale tedesca su Cuba e il Venezuela (Arbeithilfen, n. 302) in cui si racconta di una persecuzione di bassa intensità nel primo caso e di acuta emergenza nel secondo in cui le vessazioni contro i poveri e i credenti vengono compiute nonostante la significativa presenza dei cristiani o la loro larga maggioranza.

Se a Cuba conta la tradizionale esclusione della Chiesa da ogni terreno pubblico (scuole, amministrazioni, ospedali, carceri) e il peso della “menzogna” che crea una resistente diffidenza nei rapporti personali e civili, in Venezuela è il «terzo stadio» della rivoluzione chavista a creare enormi difficoltà. Sono oltre 3 milioni i profughi che hanno cercato scampo fuori del paese e l’assoluta emergenza economica, istituzionale e civile moltiplica le vittime. Fra queste 20.000 bambini morti in parti non protetti.

Meriterebbero uno scavo più ampio i casi di Cina e Palestina dove la violenza della persecuzione convive con una sapiente scelta della Santa Sede di aprire un’interlocuzione politica e istituzionale. Il riconoscimento del potere locale ha una dimensione di futuro che non esclude il riconoscimento delle difficoltà attuali.

Il Rapporto ACS sottolinea, infine, la cortina di indifferenza rispetto alle persecuzioni da parte dell’Occidente secolarizzato. «La maggior parte dei governi occidentali non ha provveduto a fornire la necessaria e urgente assistenza ai gruppi di fede minoritari».

Nei paesi occidentali, ed europei in particolare, vi è un problema non risolto fra laicità inclusiva e laicità esclusiva, fra istituzioni religiose e sacralità selvaggia dell’individualismo globalizzato. Forme legislative penalizzanti le appartenenze religiose o i valori morali appaiono come cristianofobiche.

Le élites dimenticano che fra cristianesimo e democrazia, al di là delle vicissitudini storiche, vi è oggi una profonda sintonia. Senza laicità, le fedi corrono il rischio del settarismo e della violenza, ma, senza le fedi, la democrazia non alimenta i valori morali su cui si fonda.

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