Esprit, novant’anni dalla «parte giusta»

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Fondata nel 1932 dal filosofo cattolico Emmanuel Mounier, la rivista francese Esprit festeggia i suoi novant’anni. (…). Non sono tante le riviste che arrivano a tagliare un simile traguardo e sono ancora di meno quelle che lo fanno essendo state per gran parte della loro esistenza dal «lato giusto» della storia.

Oltre destra e sinistra

Antifascista quando la borghesia francese si faceva sedurre da Mussolini, Hitler e Franco, antitotalitaria quando le sirene invece erano quelle del marxismo-leninismo, Esprit non ha mai rinunciato a denunciare innanzitutto il «disordine stabilito» della società liberale: nella sua prima incarnazione, anteguerra, promuovendo la filosofia comunitarista del personalismo contro l’individualismo trionfante; nella seconda, denunciando la brutalità della modernizzazione senza rinunciare a un afflato progressista e universalista.

In controtendenza con la visione disimpegnata delle riviste letterarie fondate nei decenni precedenti in Francia, in primis la Nouvelle Revue Française, all’origine di Esprit c’era l’idea di accompagnare la nascita di una «terza forza» politica, oltre destra e sinistra, ispirandosi alla filosofia neotomista di Jacques Maritain, alla lezione anarchica di Proudhon e all’antimodernismo di Péguy.

Riferimenti associati a filoni più marcatamente conservatori, che invece Esprit nella sua storia rivisiterà «da sinistra», in netta opposizione al cattolicesimo reazionario dell’Action Française fresco della scomunica di Pio XI.

Laboratorio della «nuova sinistra»

Le due prime fasi della storia della rivista – che all’epoca è anche un movimento – sono caratterizzate dalla direzione di Emmanuel Mounier, che nella filosofia personalista vede il simultaneo superamento dell’individualismo e del collettivismo.

Tra il 1932 e il 1941 Esprit è una rivista di giovani idealisti, «non conformisti», che sognano di rimettere la modernità sui binari dai quali – complice il crack del 1929 – stava palesemente deragliando. Sospesa dal governo di Vichy, la rivista rinasce dalle sue ceneri nel 1945, assieme a una collana editoriale presso le edizioni Seuil: in questa nuova fase Esprit, reduce dall’esperienza resistenziale, si mostra più chiaramente sensibile alle promesse del socialismo, ma in una prospettiva antiburocratica, antistatalista e evidentemente antistalinista. (…).

La morte prematura di Mounier nel 1950, a quarantacinque anni, ribalta tutte le carte: venuta a mancare una guida carismatica, le diverse anime della rivista faticano a trovare una linea comune.

Ma questa molteplicità sarà la forza di Esprit negli anni successivi, sotto la direzione di Albert Béguin (1950-57) e soprattutto di Jean-Marie Domenach (1957-1977). Erede designato di Mounier e cattolico come lui, Domenach orchestrerà con discrezione l’influenza centrale di Esprit sul dibattito degli anni Sessanta e Settanta, a partire dal sostegno alla decolonizzazione dell’Algeria. Così Esprit sopravviverà al tramonto del personalismo. (…).

I lettori francesi riconosceranno a Esprit una particolare lungimiranza sulla questione del totalitarismo, e la rivista apparirà chiaramente come uno dei laboratori della «nuova sinistra» post-marxista.

Continuità

Meno celebrato è l’impegno di Esprit sulle questioni relative allo sviluppo e all’ambiente, al cuore degli interessi di Domenach e del suo costante dialogo con pensatori come Ivan Illich e René Girard.

Nello stesso tempo l’elemento cristiano della rivista-movimento si stempera, fino a diventare marginale. Eppure una continuità emerge lungo questi novant’anni, data dall’urgenza di testimoniare il male del mondo moderno unendo l’idealismo dei principi al realismo della responsabilità. (…).

Oggi Esprit non è più un movimento ma continua ad alimentare il dibattito pubblico francese reagendo ai grandi eventi, dai Gilets Jaunes alla pandemia.

Raffaele Alberto Ventura è un saggista italiano. Scrive sul quotidiano «Domani» e sulla rivista francese «Esprit». Il testo integrale è stato pubblicato su VPlus+ del 24 settembre 2022.

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