Rimini: in cantiere le unità pastorali

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Per sette numeri il Ponte, settimanale diocesano di Rimini, ha dedicato una pagina a illustrare come funzionano le unità pastorali, normalmente costituite da più parroci a servizio di ampie zone territoriali. La convinzione comune è che le unità pastorali si fondano soprattutto su un progetto pastorale condiviso. Annotava giustamente un prete che «non si tratta semplicemente di sopprimere e aggregare parrocchie piccole ad altre più grandi, ma di mettere in rete, in relazione, comunità diverse in uno slancio di pastorale d’insieme».

Anche in questa porzione di Romagna la forte diminuzione dei presbiteri e il rapido spopolamento dei territori appenninici ha obbligato ad un ripensamento dell’azione pastorale. La convinzione è che non si può perpetuare il vecchio modello di Chiesa, in un mondo profondamente mutato, anche se non si sa bene dove si andrà a parare. «Il modello di parrocchia accentratrice di tutta la vita sociale della gente è definitivamente tramontato». «La parrocchia rimane, ma più come modello giuridico che come modello ecclesiale». «Viviamo oggi una nuova fase che è insieme di rinnovamento e di superamento della vecchia immagine di parrocchia». «Più che di parrocchie e di chiese, noi preferiamo parlare di comunità ecclesiali». Nello stesso tempo, si è consapevoli che non deve andare perduta la ricchezza di questi territori spesso «costellati di altre chiese, una volta sedi parrocchiali anch’esse».

Partiamo dai preti, talvolta costretti ad una non facile convivenza. Uno di loro annota la difficoltà di «mettere insieme tre vite profondamente diverse» per età, per stile sacerdotale e per teologia.

«Prima di fare pastorale – dichiarava un altro – noi preti dobbiamo saper vivere la fraternità, un sincero legame di amicizia. E questa amicizia si costruisce col vivere insieme, pregare insieme, lavorare insieme. L’unità deve prima di tutto entrare nella testa di noi preti».

E un altro ancora: «La prima fatica l’abbiamo fatta e la facciamo noi preti». «Immagino – dichiarava uno di loro – una nuova figura di prete-pastore, più simile a quella di “evangelizzatore” che di guida della parrocchia». un prete che vive in comunione con i suoi collaboratori laici e che è attento a tutti, guardandosi dal rischio di creare un cerchio magico di pochi».

Per qualcuno di tratta di «cambiare modello di parrocchia e di prete… di cambiare mentalità e anche consuetudini».

Su quali basi costruire la nuova realtà pastorale? Un prete puntava su quattro punti-base: vita di comunione, vita di preghiera, lettura dei segni dei tempi, pratica della carità. Altri insistono su un’ampia partecipazione sinodale.

Alla domanda se ci sono aspetti positivi in questo cambiamento pastorale, un presbitero li riassume in quattro punti:

  • l’apertura di orizzonti. «La comunione ci porta a scoprire la bellezza del confronto e dello scambio». Gli operatori pastorali hanno sperimentato «l’uscita dall’isolamento»:
  • «vivere iniziative più intense e spiritualmente ricche»:
  • «la progettazione pastorale comune»:
  • «i laici si stanno assumendo progressivamente maggiori responsabilità… e alcuni vengono riconosciuti come naturali punti di riferimento».

I laici diventano una presenza indispensabile. «Abbiamo pensato – dichiara un presbitero – di accentuare il tema della ministerialità come assunzione di responsabilità. C’è bisogno di passare da tante porzioni di territorio (una volta parrocchie) a piccole comunità, e ci vogliono persone capaci e vogliose di portare avanti un simile progetto». E un suo confratello ribadiva che «ogni battezzato deve sentirsi responsabile del cammino di tutti, mediante una fattiva collaborazione»

Più di un presbitero annota la necessità di preparare gli operatori pastorali attraverso adeguati cammini formativi. C’è poi la necessità che i consigli pastorali imparino a camminare insieme, a programmare e a verificare insieme.

Questi cambiamenti incidono anche sulle persone. La fatica della gente è «quella di non vedere più il prete nella sua chiesa e nella sua canonica». Soprattutto la paura di molti fedeli è di perdere la messa della domenica.

Occorre tener conto di tutto e di tutti in un cammino che richiede prudenza e pazienza. Ma anche una certa decisione perché, anche se si naviga ancora vista – dichiarava un presbitero – «la costa dietro di noi è stata decisamente lasciata».

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