Educazione: aforismi e coraggio

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Franco Garelli, Educazione

Franco Garelli, Educazione

Se l’autore fosse stato un vescovo, si sarebbe divertito con un titolo come Educationis lætitia, facendo il verso all’Amoris lætitia di papa Francesco. Con maggior discrezione. Franco Garelli si è accontentato di Educazione (Il Mulino, Bologna 2017). Un saggio sintetico e leggibile, lontano dalle organiche ricerche sociologiche a cui ci ha abituato, ma certo non privo di suggestioni e di profondità. Il richiamo al titolo pontificio è legato ad un approccio positivo e propositivo che non è sempre comune nella sterminata pubblicistica sul tema nelle sue molte esigenze (famiglia, scuola, società).

Una comunicazione volutamente piana, a tratti divertita. Le citazioni dai giornali quotidiani, dal web e dai proverbi si mescolano a quelle dei classici e di autori di riferimento. Ecco due esempi. Agli aforismi critici si contrappongono quelli elogiativi: l’educazione «è il nostro passaporto per il futuro» (Malcolm X), «la possibilità di trasformare gli specchi in finestre» (Sydney Harris), «un bambino senza educazione è come un uccello senza ali» (proverbio tibetano), non si tratta di «disboscare giungle, ma di irrigare deserti» (C.S. Lewis), «fare figli è procreazione, educarli a crescere è creazione» (Efin Tarlapan).

Quando si parla dell’impegno degli insegnanti per le nuove generazioni, il richiamo ironico è ad alcuni titoli: Il deserto dei Tartari, Furore, L’essere e il nulla, Tristi tropici, Il male oscuro, Non è stagione ecc.

Un mondo che cambia

Si archiviano in termini essenziali i temi della crisi e i suoi luoghi comuni: «La società liquida sembra aver sbriciolato anche l’educazione, il modo in cui una generazione accompagna le nuove leve verso l’ingresso della vita adulta» (p. 29) per invitare a uscire dagli stereotipi.

Le immagini sistematicamente negative non trovano riscontro negli incontri quotidiani. I giovani non si presentano in forme organiche e totalizzanti, non si lasciano schiacciare sul ricordo nostalgico della giovinezza dei loro padri e formatori. «La gioventù fragile non è un’invenzione, ma anch’essa è alla ricerca di appigli per sopravvivere e non è insensibile ai grandi richiami. Tuttavia, a fianco di chi è più in difficoltà, c’è un’ampia quota di giovani che tentano di non farsi imbrigliare dall’epoca delle passioni tristi» (p. 51).

I nativi digitali non sono estranei ad una attitudine critica e riflessiva, fanno i conti con un tessuto più libero e tollerante rispetto al passato, con una socializzazione molto differenziata. La loro domanda di autenticità attraversa le relazioni di coppia, i legami sociali e un modo di vita “sostenibile”.

Cambiano le famiglie, cambiano le figure parentali. In particolare i padri. Ma non è detto che siano inesistenti, anche se i «genitori sbagliati» non sono rari. Spesso gli adulti sono schiacciati dalla pretesa del lavoro senza attenzione all’educazione, o diventano invadenti o pretendono una complicità impossibile. Ma la famiglia resta, anche per le generazioni giovani, l’istituzione di gran lunga più affidabile. «Le regole in famiglia non mancano, ma sono sempre più essenziali e più oggetto di confronto e di persuasione che di costrizione» (p. 79). Più che di dimissioni dalle responsabilità educative si può parlare di un «disordinato attivismo» che rincorre una transizione difficile da seguire.

Opportunità

Sulla scuola si riversano domande e pretese crescenti, ma, al di là di tutto, una buona scuola «ha già al proprio interno le risorse specifiche… per formare personalità armoniche capaci di meglio orientarsi nelle più diverse sfere della vita» (p. 91). Emerge di nuovo il tema di figure educative autorevoli, di insegnanti preparati, di luoghi capaci di confronto e di dialogo. «La scuola italiana non sembra affatto allo sfascio, come talora si sostiene» (p. 102), nonostante tutti i suoi limiti.

Paghiamo tutti un «mito dell’infanzia», il passaggio dal bambino come dono al bambino come figlio del desiderio che è spesso l’anticamera del narcisismo. Ma, oltre ai disagi, alla mancanza di prospettive per le generazioni più giovani, ai condizionamenti sociali è bene leggere le buone ambizioni che molti giovani coltivano per dare il meglio di sé.

Sarà meglio non fissare l’attenzione solo su di loro, ma ragionare anche su noi adulti. Per essere buoni educatori non è necessario una carisma debordante. È importante «aver maturato una competenza che già di per sé induce al rispetto» (p. 126), con la sua parte di disciplina. E non perdere la fiducia di poter trasmettere valori e prassi anche in una società che sembra aver smarrito un centro.

Non c’è un’educazione semplicemente neutra o puramente tecnica. Si devono arrischiare proposte. «Anche nella società complessa e differenziata è possibile coltivare un’idea più impegnativa di educazione, incentrata su un progetto, su alcuni valori che tutti possono condividere, su un dover essere che richiami le nuove generazioni a prospettive più ampie» (p. 132). Solo condividendo valori si suscita libertà.

Quanto tutto ciò abbia a che fare anche con l’esperienza ecclesiale è possibile rimandando a un intervento dello stesso F. Garelli sul nostro sito e con alcune pagine dell’esortazione apostolica già citata. È anche una questione di stupore: «È inevitabile che ogni figlio ci sorprenda con i progetti che scaturiscono da(lla sua) libertà, che rompa i nostri schemi, ed è bene che ciò accada» (AL 262).

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