Etiopia: verso elezioni irregolari

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“Gli Stati Uniti sono seriamente preoccupati per l’ambiente in cui si terranno le imminenti elezioni in Etiopia. La detenzione dei politici dell’opposizione, le molestie dei media indipendenti, le attività partigiane dei governi locali e regionali e i numerosi conflitti interetnici e intercomunali in tutta l’Etiopia sono ostacoli a un processo elettorale libero ed equo. L’esclusione di ampi segmenti dell’elettorato da questo concorso a causa di problemi di sicurezza e sfollamento interno è particolarmente preoccupante”. Questa la secca dichiarazione del Portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, resa nota venerdì 11 giugno.

Una dichiarazione che si inserisce nella guerra fredda scoppiata tra Washington e Addis Ababa a seguito dei crimini contro l’umanità commessi in Tigray e Oromia.  Il principale partner occidentale del governo di Abiy Ahmed Ali parla chiaro: le elezioni in Etiopia si svolgeranno in un clima di guerra, violenza etnica, repressione dell’opposizione e dei media, quindi è lecito sollevare dubbi sulla credibilità del voto.

Lunedì 21 giugno nella seconda Nazione più popolata dell’Africa si terranno le seste elezioni dalla liberazione del paese dalla dittatura stalinista del DERG, nel 1991. Gli elettori eleggeranno 547 membri del parlamento federale e il leader del partito vincitore diventerà Primo Ministro. Le ultime elezioni generali si sono svolte nel 2015.

Il Premier Abiy Ahmed Ali, salito al potere nel 2018 con la promessa di rompere con il passato autoritario dove il potere veniva (a suo avviso) esercitato dal TPLF con la violenza e la divisione etnica, in queste elezioni sta cercando una legittimità interna e internazionale al suo volta faccia politico verso il TPLF, il golpe istituzionale, e il tentativo di sostituzione dell’attuale federazione con uno Stato centrale forte, nel nome della Prosperità, della Pace e dell’Etiopia Unita. Sullo sfondo il sanguinoso conflitto e il genocidio in corso nella provincia nord: il Tigra e la rivolta armata in Oromia.

Le elezioni si dovevano tenere nell’agosto 2020 ma furono ritardate adducendo la scusa della pandemia Covid19. In realtà il rinvio elettorale fu dettato dalla esigenza del Premier etiope di stabilizzare il suo potere, rafforzare l’alleanza con la dirigenza fascista Amhara e il dittatore eritreo Isaias Afwerki, rendere maggiormente popolare il suo partito (ironicamente denominato il Partito della Prosperità) e ultimare i preparativi della guerra in Tigray. Il Prosperity Party aveva preso il potere tramite un golpe istituzionale nel dicembre 2019 che aveva espulso il TPLF dalla coalizione di governo trasferendosi artificialmente la maggioranza del Parlamento per il controllo del Paese senza base popolare ed esentandosi dallo scrutinio elettorale.

Le elezioni fissate per il 5 giugno 2021 furono ulteriormente rinviate lo scorso maggio senza dare alcun nuovo calendario elettorale. Quattro giorni dopo l’annuncio il Premier ritorna sui suoi passi fissando la data del voto il 21 giugno. Quali le ragioni di questo contraddittorio atteggiamento? Il secondo rinvio fu dettato dal perdurare del conflitto in Tigray con ben quattro offensive fallite nonostante i crimini di guerra e le pulizie etniche compiute senza pietà e rimorsi su 7 milioni di cittadini etiopi. Inoltre era scoppiata  l’escalation della rivolta armata in Oromia, portata avanti dal Oromo Liberation Army, il braccio armato del principale partito di opposizione: il Oromo Liberation Front.

Il ripensamento sarebbe dovuto, secondo fonti dell’opposizione, dalla necessità (divenuta prioritaria) di ottenere una parvenza di legittimazione del suo potere messo in seria discussione sia all’interno che all’esterno dell’Etiopia. Nel disperato tentativo di far svolgere le elezioni in un clima di “pace” martedì 15 giugno il Premier etiope ha chiesto alle truppe eritree di lanciare la quinta offensiva in Tigray contro il nemico comune TPLF, definita “Final War” (la Guerra Finale).

L’invio sul fronte Tigrigno di circa 80.000 soldati eritrei, gli intensi bombardamenti e il probabile utilizzo di armi chimiche (40 T di fosforo bianco arrivate e stoccate a Mekelle) giustificherebbero la necessità di riportare la vittoria finale sul TPLF prima delle elezioni, mostrando alla TV i suoi dirigenti assassinati o in catene. La ferocia e l’intensità dei combattimenti in corso in questi giorni nel Tigray fanno temere un elevatissimo numero di vittime tra la popolazione civile.

Le speranze di una vittoria sul TPLF sono state condivise da alcune cancellerie europee che a distanza di 7 mesi dallo scoppio del conflitto applicano un imbarazzante silenzio sul dramma e una politica estera silenziosa a favore del regime che ha promesso la svendita agli investitori stranieri delle migliori aziende statali etiopi. Una vittoria in Tigray risolverebbe ogni imbarazzo e questi Paesi europei, che si definiscono democratici, potranno essere liberi di riconoscere l’esito elettorale (già stabilito) affermando che, nonostante un conflitto (inevitabile) il Premio Nobel per la Pace è riuscito a salvaguardare l’unità del Paese e a trasportarlo nella irreversibile strada verso la Democrazia.

Per rendere credibili le elezioni il Consiglio elettorale etiope (NEBE) afferma che più di 40 partiti parteciperanno alle elezioni per un totale di 9.000 candidati tra cui Abiy Ahmed Ali, aggiungendo che questo è il numero più alto di partiti e candidati registrato durante tutte le elezioni etiopi.

Se si analizza attentamente la composizione dei partiti che parteciperanno, si scopre che le tanto sbandierate elezioni multipartitiche non esistono. I partiti che parteciperanno alla gara elettorale hanno ridotte basi politiche regionali e in vari casi addirittura distrettuali o comunali. Sconosciuti dalla maggioranza del elettorato rappresenterebbero appena il 10% del serbatoio elettorale nazionale.

Berhanu Nega, che guida il partito Ethiopian Citizens for Social Justice, è l’unico leader dell’opposizione di profilo nazionale a partecipare alle elezioni. Il 62enne politico e accademico è stato eletto nel 2005 sindaco della capitale, Addis Abeba, ma la sua vittoria è stata annullata dal governo allora dominato dal TPLF ed è stato imprigionato. La pressione internazionale lo ha portato a essere liberato dopo 21 mesi di carcere e ha lasciato l’Etiopia per assumere una cattedra in un’università negli Stati Uniti, tornando dopo che Abiy è entrato in carica. Berhanu Nega è uno dei membri fondatori dell’organizzazione eversiva nota come Ginbot 7 che ha coordinato azioni terroristiche contro il governo per 10 anni. Il suo orientamento politico è di fatto subordinato alla dirigenza nazionalista Amhara.

Oltre a questo nutrito esercito di mini partiti fatti sorgere ad hoc, ovviamente parteciperà il Prosperity Party con sicura e preventiva vittoria stimata tra il 62 e il 70% dei consensi secondo indiscrezioni interne ricevute. Fonti diplomatiche occidentali condividono il sospetto che tutti questi partiti e candidati non siano altro che attori di quarto piano il cui compito è quello di offrire una parvenza di inclusività democratica delle elezioni. La maggior parte di questi partiti sarebbero stato convinti a partecipare (con incentivi) dalla dirigenza nazionalista Amhara che è la vera detentrice del potere in Etiopia e domina in toto il Prosperity Party di cui Abiy risulta essere solo una comoda bandiera di rappresentanza.

A rafforzare i dubbi nutriti nell’ambiente diplomatico è la sistematica esclusione dalla competizione elettorale dei principali partiti di opposizione della regione più popolata, l’Oromia, costretti a boicottare le elezioni in quanto la metodologia imposta dalla Commissione Elettorale e l’esclusione di una grandissima fetta degli elettori consegnano la vittoria al Prosperity Party prima ancora di aprire i seggi. Tra questi principali partiti di opposizione troviamo il Oromo Liberation Front, che ha circa il 80% dei sui dirigenti in prigione per dissenso politico, e l’Oromo Federalist Congress, il partito di Jawar Mohammed.

La sola detenzione del leader Jawar Mohammed è sufficiente per mettere in dubbio queste elezioni. Jawar, alleato politico e amico personale di Abiy nel 2018 – 2019 al fine di estromettere al potere il TPLF, dal gennaio 2020 entra in contrasto con Abiy, denunciando un piano di dominio etnico Amhara dietro alla apparente svolta democratica e alla volontà di eliminare la Federazione per sostituirla con un Governo forte capace di mantenere l’unità nazionale e di difendere l’armonia tra le varie etnie etiopi.

In pochi mesi, Jawar conquista la maggioranza dell’opinione pubblica che si sta progressivamente dissociandosi dal iniziale sostegno del Premier. Jawar diventa un pericoloso avversario che metterà a serio rischio la vittoria di Abiy alle elezioni. Per eliminare questo rischio il 30 giugno 2020 Jawar viene arrestato dalla polizia federale a seguito dell’assassinio di Stato del popolare cantane e attivista Oromo Hacalu Hundessa che provocò una rivolta in Oromia e presso la capitale Addis Ababa soffocata in un bagno di sangue ordinato dal Premier Abiy.

Nel settembre 2020 Jawar viene accusato di terrorismo e incitamento alla violenza assieme ad altri leader del suo partito e del Oromo Liberation Front. Jawar intraprenderà uno sciopero della fame ad oltranza senza però riuscire ad ottenere la libertà. La sua detenzione, assieme ad altri leader di spicco dell’opposizione aventi basi elettorali nazionali, di fatto rappresenta la decapitazione della concorrenza elettorale.

Le elezioni non si terranno nel Tigray, dove i combattimenti continuano nonostante Abiy abbia dichiarato vittoria nel novembre 2020. Lo stato è ora sotto un’amministrazione provvisoria dopo che il parlamento ha dichiarato illegale l’amministrazione del Tigray e ha votato per sostituirla. Il voto è stato rinviato al 6 settembre anche in altri 54 collegi elettorali in tutto il paese, con la commissione elettorale che ha citato difetti nelle schede elettorali.

In totale, 110 dei 547 collegi elettorali non voteranno, riporta l’agenzia di stampa Reuters, citando la commissione elettorale che ha citato problemi logistici e di sicurezza. Si stima che quasi 29 milioni di elettori (su 50) non potranno votare. Le esclusioni dal voto riguardano anche la Somali Region, l’Oromia e la regione occidentale di Benishangul-Gumuz dove sorge la contestata mega diga GERD. L’opposizione afferma che nel tentativo di aumentare la registrazione dei votanti il Premier etiope abbia offerto buoni sconto su benzina e derrate alimentari di base.

La campagna elettorale è stata studiata per limitarla temporalmente. I partiti hanno avuto a disposizione circa 12 giorni. Un lasso di tempo considerato del tutto insufficiente. Gli spazi di intervento sui media nazionali per i partiti di opposizione sono minimi, mentre Abiy e i dirigenti del suo partito sono onnipresenti in qualsiasi trasmissione televisiva e radiofonica partecipando anche a programmi che non hanno nulla a che fare con le elezioni.

Abiy (esperto conoscitore del controllo su internet grazie al ruolo di spionaggio svolto per  anni per conto del TPLF) si è assicurato anche il predominio sui social media, oscurando tutti i siti dell’opposizione e gli account social a lui sfavorevoli. Operazione estremamente facile visto che nel Paese esiste una sola compagnia Telecom controllata dal Governo. Non contento ha creato estesa rete di account falsi che ha costretto Facebook Incorporation a sopprimerli.

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