Montenegro: vince il metropolita

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Le elezioni politiche del Montenegro (30 agosto) si sono concluse con la vittoria delle opposizioni al partito di governo (partito democratico dei socialisti, DPS) e la sconfitta del padre-padrone del paese, Milo Dukanović. Seppure di misura, la variegata opposizione si è assicurata 41 seggi al parlamento, di contro ai 40 della vecchia maggioranza.

Il risultato è, secondo alcuni esperti, la «cartina di tornasole» dell’orientamento in atto nel Balcani. Il vincitore morale dello scontro è il metropolita della Chiesa ortodossa, legata alla Chiesa serba. il vescovo Anfiloco di Cetinje. Il conflitto elettorale, più che sui temi della legalità, dell’economica e della crisi indotta dalla pandemia, si è focalizzato su questioni etniche, religiose e geopolitiche.

Utilizzando il malcontento diffuso, la minoranza serba (30% dei 630.000 abitanti), guidata dalla Chiesa ortodossa locale e dal partito filo serbo (DF, presieduto da Zdravko Krivokapić) ha trainato gli elettori a rafforzare l’opposizione che, oltre al DF, contiene l’alleanza liberale e pro-europea de «La pace è la nostra nazione» e i progressisti di «Nero su bianco».

L’altissima partecipazione delle aree geografiche serbe (nell’insieme si è arrivati al 77%) ha permesso a Krivokapić di affermare «il regime è caduto» e al presidente serbo, A. Vucic, di sottolineare: «il popolo serbo ha iniziato a proteggere la propria identità».

Finisce l’era Dukanović?

L’insofferenza di un «regime» che data dal 1990 e di una presidenza familista di Dukanović che ha occupato gli spazi economici e finanziari del piccolo stato (arrivato all’indipendenza nel 2006, entrato nella NATO nel 2017 e dal 2008 in attesa di entrare nell’Unione Europea) è esplosa attorno alla decisione del governo di penalizzare la Chiesa ortodossa di obbedienza serba che raccoglie 450.000 persone (i musulmani sono 118.000, i cattolici 21.000).

Il 26 dicembre 2019 il parlamento approva una legge che mette in questione i titoli di proprietà di 650 siti religiosi in uso della Chiesa ortodossa, fra cui una sessantina di monasteri e tutte le chiese principali del paese. La risposta è durissima. Per mesi, prima e dopo la decisione, processioni, dimostrazioni, preghiere pubbliche, dibattiti accesi, scontri fisici (compresi i preti, le carcerazioni temporanee di vescovi e un interrogatorio di polizia per il metropolita che dura 6 ore) segnano e alimentano lo scontro civile. Due cicli di colloquio fra governo e Chiesa non arrivano a spegnere la tensione.

Poco prima delle elezioni il metropolita Anfiloco diffonde una lunga lettera per accusare il governo di volere affossare la Chiesa e di proporre una chiesa scismatica autocefala sulla scorta di quanto avvenuto in Ucraina.

«All’età di 82 anni, per la prima volta andrò a votare e invito tutti i montenegrini a votare in difesa dei luoghi santi di Dio, che sono ora sotto attacco in Montenegro da parte di chi non riconosce la sacralità dei templi». Il metropolita, arrivato in Montenegro nel 1990 ha dato grande impulso alle attività ecclesiali, ha triplicato il numero dei preti (spesso serbi) aprendo la Chiesa alle attività sociali. Discepolo del teologo dell’identità serba Justin Popović, ha mostrato una notevole capacità politica.

Ha fatto difendere il suo convento dalla milizia di Arkan, il capo sanguinario delle “tigri” serbe durante le guerre etniche, ma è anche stato professore all’Istituto San Sergio a Parigi e alleato “nicodemico” di Dukanović nel referendum per l’indipendenza del paese.  Le sue posizioni sono state difese da tutti i patriarchi ortodossi e, in particolare da Cirillo di Mosca.

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Un nuovo protagonismo ortodosso

L’affermazione di identità religiosa si salda con la dimensione etnica e con la collocazione geopolitica. Il DF guarda più a Belgrado e a Mosca che a Bruxelles e all’Occidente. Ma nella coalizione vittoriosa non mancano le voci più di sinistra e esplicitamente pro-europee. Per questo si aspetta con attenzione il possibile nuovo governo. Tutti i responsabili della coalizione hanno condiviso l’idea di un governo «tecnico» di transizione a cui hanno chiamato a partecipare i partiti delle minoranze etniche (finora interni alla precedente maggioranza) per garantire i 5-6 voti necessari per la stabilità dell’esecutivo.

Dukanović, che può contare sul partito maggiore (seppur penalizzato), rimane presidente dello stato fino al 2023. Il compromesso sembra inevitabile, a meno di un nuovo scontro etnico con il ceppo montenegrino (45% della popolazione) con esiti drammatici per tutti. Il vescovo Anfiloco ne è consapevole e assieme al consiglio episcopale ha scritto in un comunicato del 1° settembre: «Il cambiamento avvenuto nel Montenegro non giustifica la propagazione di alcuna intolleranza. La pace e l’intesa nazionale sono le cose più importanti per arrivare alla pacifica formazione di un potere realmente democratico, per la prima volta dopo 75 anni. Alcun interesse, alcun entusiasmo o scontento rispetto ai risultati elettorali sono una motivazione per scontri fra i cittadini.

Auspichiamo che nei prossimi giorni non si produca alcun tipo di manifestazione massiccia. Proprio per dimostrare che il cambiamento compiuto in Montenegro è vero e per permettere ai responsabili di portare a termine autentici e nuovi atteggiamenti umani. Non sarà facile ridare al popolo quello che gli è stato tolto, di guarire la società da una corruzione orribile e dall’egoismo, costruendo l’avvenire di tutti nell’amore di Dio e del fratello».

Il tratto più originale degli eventi è il protagonismo ortodosso (filo serbo e filo russo) su cui è tornato a riflettere il patriarca Cirillo in una celebrazione a Mosca il 28 agosto. Sottolineando la centralità del vescovo ha auspicato che la Chiesa «occupi un posto particolare nella vita della società».

«Abbiamo la possibilità di influire sul nostro popolo, non solamente su quelli che partecipano alle celebrazioni domenicali e alle feste liturgiche, ma su tutti coloro che guardano la nostra televisione, ascoltano la nostra radio o avvertono con altri mezzi la parola di Dio annunciata dalla Chiesa». Ma ammette che ad ogni azione ecclesiale si deve attendere una reazione. «Più l’influenza della Chiesa sulla vita della società è forte, più forte è la reazione». E conclude: «Quello che ci attende non è una vita facile e confortevole… Abbiamo davanti anni difficili per il nostro ministero e questo deve essere compreso da tutti, compresi i vescovi».

È alla vista un nuovo protagonismo anche politico per le Chiese ortodosse di ceppo russo, una forma finora inesplorata di egemonia.

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