Siria: uso criminale del terremoto

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Semper fidelis, non poteva mancare la voce dei patriarchi siriani nel coro che chiede di togliere le sanzioni internazionali a cui è sottoposto il regime del presidente siriano Bashar al-Assad. La finalità dichiarata, ovviamente, è quella di consentire i soccorsi e di liberare il massimo degli aiuti umanitari indispensabili al Paese travolto dal sisma che ha devastato l’intero nord della Siria.

Eppure, i conti non tornano – non possono tornare agli occhi più attenti – posto che nessuna sanzione riguarda attualmente gli aiuti umanitari, né da parte degli Stati Uniti, né dell’Europa.

Il gioco di Assad

Il regime siriano fa appello alla Carta delle Nazioni Unite, che, essendo stilata tra Stati nazionali, prevede che siano i governi a gestire gli aiuti umanitari di soccorso alle popolazioni, in ogni dove.

Ed è così pure in Siria, ove è ancora in corso un conflitto armato e ove sussiste il più gran numero di cittadini deportati e assiepati nell’estremo nord del Paese – cioè nella provincia di Idlib -, da quando i territori in cui erano nati e cresciuti sono stati violentemente riconquistati, anche col gas, dall’esercito siriano.

Proprio in quella provincia – ora doppiamente devastata – erano giunti dopo il loro pellegrinaggio del dolore, a differenza dei miliziani jihadisti voluti – sempre nella provincia di Idlib – dallo stesso regime. Rapidamente costoro con le bandiere nere ne hanno preso il controllo con la complicità dei turchi, di cui sono diventati una sorta di avamposto in territorio siriano.

Ma l’emergenza umanitaria così determinatasi ben difficilmente può essere affidata ad Assad che definisce la gente riparata a Idlib – sicuramente siriana del suo stesso popolo – «terrorista», tenendola all’assedio e alla fame da anni. Nessuno può credibilmente pensare che Damasco possa e voglia aiutare umanitariamente chi considera ostile e combattendola da anni, con armi pesanti e con tutto il sostegno militare dei russi che – proprio da quelle parti – hanno brillantemente testato la distruzione civile sistematica di scuole, ospedali, campi coltivati, prima di andare in Ucraina.

In sede Onu si è deciso di far giungere gli aiuti internazionali dalla Turchia attraverso i quattro valichi transfrontalieri su cui le Agenzie umanitarie sono in grado di operare in maniera sicura, per portare tende, brandine, coperte, medicamenti, alimentari, acqua potabile, ecc. Consideriamo che a Idlib ci sono già milioni di persone ammassate in campi profughi senza alcuna forma di assistenza igienico sanitaria.

Eppure, Damasco pretende appunto che gli aiuti tornino a essere veicolati direttamente dal proprio regime di Stato e portati a Idlib dall’esercito con armi in pugno.

frontiere1Le Nazioni Unite nel corso degli anni hanno istituito i quattro corridoi dalla Turchia verso il nord della Siria. Ma i continui veti russi hanno di fatto ridotto i quattro varchi ad uno soltanto: quello di Bab al -Hawa.

Ad oggi – a tre giorni dal terremoto del 6 febbraio – dal valico di Bab al-Hawa non è passato ancora nulla. Secondo i turchi le strade sarebbero disconnesse e il transito dei mezzi pesanti impedito da cause di forza maggiore.

Nascono allora, in me, tante indignate domande. Perché i siriani non stanno reagendo? C’è un accordo turco-russo ad impedire le operazioni transfrontaliere? Perché Damasco non chiede aiuto umanitario all’Europa, che proprio dal valico potrebbe rapidamente arrivare?

Il discorso serio non riguarda, dunque, soltanto la sacrosanta richiesta di cessate il fuoco invocata dal nunzio apostolico in Siria, monsignor Mario Zenari: riguarda le sanzioni!

Le sanzioni

Quelle statunitensi toccano le aziende dei notabili e neppure sfiorano il settore umanitario: interessano – eccome! – le società con cui il regime vorrebbe gestire la ricostruzione del Paese distrutto dalla guerra e, ora, pure dal terremoto. Le sanzioni europee sono invece mirate contro le società e gli individui responsabili di crimini contro l’umanità, come si legge nella delibera dell’Unione Europea n. 255 del 2013. Ad essere oggetto di sanzione sono dunque aziende e individui ben precisi, non la Siria in quanto tale, né tanto meno il martoriato popolo siriano.

Le sanzioni dovrebbero concernere soprattutto le armi, quelle utilizzabili per compiere nuovi massacri. Nei testi si specifica chiaramente che le misure sono restrittive e non punitive.

È proprio questo il punto caldo di tutta evidenza: Assad intende usare questa catastrofe umanitaria per ottenere la piena rilegittimazione politica e poter gestire di nuovo, col sostegno della comunità internazionale, la ricostruzione in Siria: come sempre schiacciando il suo tallone sul capo della povera gente siriana, quella sopravvissuta. La mia indignazione raggiunge il culmine.

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