USA, Cina e Nord Corea: l’accordo impossibile

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crisi USA-Nord Corea

Cosa succede se la maggior potenza economica e militare al mondo, quella che ha detenuto questo ruolo per 70 anni, si accorge che un’altra potenza sta per superarla e toglierle la leadership? Succede quello che stiamo vedendo oggi: la sciagurata possibilità di una terza guerra mondiale. La crisi USA-Nord Corea, in realtà, è l’ultimo tentativo possibile per Washington di stoppare la corsa di Pechino alla supremazia mondiale, cosa che potrà accadere nel giro di cinque o sei anni.

«Ci fosse stata Hillary Clinton al posto di Trump, avremmo visto quello che stiamo vedendo oggi» dice al Il Sussidiario Francesco Sisci, editorialista di Asia Times. Un quadro, cioè, assolutamente caotico che può sfuggire di mano in ogni momento: «L’unica cosa chiara al momento è che Pechino non sa cosa fare, Pyongyang non fa passi indietro ma pensa chissà perché di poter ricattare tutti, e l’America fa pressioni sulla Cina perché anch’essa non sa che altro fare».

– Trump ha parlato di escalation difficilmente evitabile. A che gioco stanno giocando? Cosa ci tengono nascosto i grandi della terra?

Bisogna inquadrare tutti gli ultimi avvenimenti e metterli in fila, partendo dal vertice cino-americano di due settimane fa, i cui contenuti sono stati completamente oscurati dalla campagna montante sulla Corea del Nord. Questi sono i fatti. Questa campagna è certamente dovuta al pericolo nucleare che rappresenta la Corea, ma anche alle pressioni americane che apparentemente mirano a coinvolgere la Cina in qualche modo nella soluzione del problema coreano. Ad oggi gli USA non sembrano voler agire da soli; sembrano volere che in qualche modo Pechino agisca. Ma come? La Cina agirà? Come agirà? Non agirà? Sono tutte domande al momento senza risposta.

– Al momento Pechino sembra aver tenuto una posizione molto moderata, è così?

Certo, ma questo perché per la Cina sulla questione non ci sono soluzioni buone. Ci sono varie soluzioni, ma tutte cattive. Non è detto che, una volta entrata in azione la Cina, gli USA, la Corea del Sud, il Giappone o la Russia possano poi essere contenti dell’azione ottenuta.

– Ci vorrebbe un accordo preliminare fra tutti quanti?

Sì, ma al momento non è possibile. È proprio questo il problema: la Cina, qualunque azione pratichi, sarebbe la variante di una pessima azione. Un intervento militare? Un tentativo di golpe? Al momento a Pechino studiano il dossier, ma non è detto che vogliano prendere delle misure concrete. Certo, trovare un accordo sarebbe ottimo. Lei ha presente quello che accadde nel 1979?

– Intende la guerra tra Cina e Vietnam?

Esatto, un antecedente che ha ancora un peso. Pechino intervenne militarmente contro il Vietnam che aveva invaso la Cambogia, pochissimo tempo dopo che Den Xiaoping aveva concluso una visita in America. Gli americani diedero carta bianca ai cinesi contro il Vietnam. Il risultato di quella guerra fu che ancora oggi il Vietnam ha pessimi rapporti con la Cina, anche se non è solo colpa di quella guerra visti i problemi secolari tra i due paesi, e il Vietnam ha buoni rapporti con gli USA. Con la Corea sarebbe la stessa cosa? Ciò che è chiaro è che Pechino non sa cosa fare, Pyongyang non fa passi indietro ma pensa chissà perché di ricattare tutti, e l’America fa pressioni sulla Cina perché non sa che altro fare.

– C’è chi dice che Trump stia facendo tutto questo per rinegoziare rapporti più vantaggiosi per le aziende americane con la Cina. È possibile?

No, non credo che le questioni commerciali siano quelle strategiche. In tutta questa situazione c’è un problema strategico molto più grande, e riguarda il futuro della Cina.

– Cioè? Ci spieghi. 

L’America è fortemente preoccupata di quello che Pechino potrebbe essere fra 5 o 6 anni, cioè un’economia più grande di quella americana. La Cina diventerebbe così un problema strategico immenso. La presidenza Trump è quasi l’ultima finestra per avere un confronto con la Cina, un confronto prima che abbia un’economia più grande di quella americana.

– Questo cosa comporterebbe?

Un problema enorme per tutti i paesi vicini che, senza appoggio americano, temono di essere sottoposti alle soverchierie cinesi come ai tempi dell’impero. Dunque, la priorità oggi è arginare questa ascesa cinese.

– In tutto questo la Russia che fa?

Soffia sul fuoco.

– In che senso?

Anche per la Russia una Cina forte che cresce sempre di più rappresenta un pericolo: significa perdere la Siberia, cioè due terzi del suo territorio. Già oggi la crescita cinese ha attratto la Mongolia nella sua orbita, domani questa crescita travolgente porterebbe, senza bisogno di guerre, la Siberia nell’orbita cinese. Oggi i ricchi di Vladivostock vanno in vacanza nelle isole cinesi, non certo in Crimea. È un problema vitale anche per Mosca, e la Cina stessa non può pensare di crescere ignorando le preoccupazioni di tutti i vicini.

[Testo pubblicato su Il Sussidiario il 29 aprile 2017]

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