Di sinistra e cristiano: incompatibile?

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Con l’avvento al potere di Pedro Sánchez, che ha sostituito alla guida della Spagna il governo di Mariano Rajoy, si apre un interessante dibattito. Può un cristiano appoggiare una forza politica di sinistra, molto critica nei confronti delle religioni e, in particolare, della Chiesa?

pedro sanchez

Pedro Sánchez, primo ministro spagnolo

C’è un settore di cristiani – difficile da quantificare, anche se può darsi che non sia molto numeroso – che, con l’arrivo di Pedro Sánchez al potere, e dell’ideologia che incarna, si mostrano disposti a collaborare e ad appoggiare tutte quelle iniziative che consentono di far rinascere la vita politica, di amministrare in maniera onesta e responsabile le risorse di ogni genere, accogliere gli emigranti (compresi quelli che si trasferiscono per motivi economici) o promuovere una nuova convivenza nella libertà e nella solidarietà tra le diverse popolazioni che compongono lo Stato spagnolo. Senza dimenticare, ovviamente, le politiche a favore dell’uguaglianza o in difesa dei più bisognosi.

C’è molta più vicinanza – sostengono – tra il Vangelo e questa sinistra con viscere umanitarie di quella presunta tra la fede cristiana e le ideologie e i progetti liberisti o neoliberisti degli ultimi anni. E non sarebbe fuori luogo ricordare – sottolineano – l’esigenza che le diverse Chiese – in particolare quella cattolica – lascino perdere alcune tra le tante eredità del passato che, per essere accomodanti col potere, appesantiscono – come zavorre – la loro radicalità evangelica.

C’è un altro settore – altrettanto difficile da quantificare, ma ho l’impressione che sia più numeroso del precedente – per il quale l’arrivo al governo della sensibilità incarnata da Pedro Sánchez, lascia presagire, prima o poi, un confronto tra la sinistra e i cristiani. E, per estensione, con le religioni in generale.

La belligeranza anticattolica – ricordano – di cui ha dato saggio negli ultimi anni l’attuale presidente (e con lui, alcuni dei suoi compagni di viaggio) è la punta dell’iceberg di una laicità escludente e restrittiva: “denuncia” (in altri momenti “revisione”) degli accordi tra la Santa Sede e lo Stato del 1979; esclusione della religione confessionale dalla scuola; riduzione dell’insegnamento privato a favore di quello pubblico o approvazione di una legge che “regoli” il diritto alla libertà religiosa. Con queste e altre iniziative, sostengono, si cerca di rimuovere la religione dallo spazio pubblico per lasciare campo libero a quella di ordine “civile o laica” soffocando la pluralità e la diversità di concezioni del mondo in questo ambito.

Questa agenda occulta si attiverà quando sarà politicamente possibile, ossia, quando la combinazione dei numeri parlamentari e le aspettative elettorali lo permetteranno.

Ma, parallelamente al dibattito tra questi due gruppi, ne esiste da tempo anche un altro tra le file della sinistra e del liberismo del nostro Paese e dell’Europa. Ci sono, da una parte, coloro che propongono la politica della “religione civile”, sintetizzata in poche parole, o alcuni dei suoi punti più emblematici, senza evitare il confronto e, quando sarà possibile, confinando le diverse visioni del mondo “non laiche” nell’ambito privato: le religioni – e, in concreto, quella cattolica – sono reazionarie, oscurantiste, intolleranti e insopportabili. E lo sono nell’esercizio di una tutela smisurata non solo sulla vita individuale ma anche su quella sociale. Perciò, bisognerà adottare i mezzi necessari per mettere a tacere o rendere impossibili simili influenze e, nel migliore dei casi, relegarle nella sfera privata. Questo è l’emblema della laicità che alcuni caratterizzano come escludente, bellicosa o “laicista”.

Fortunatamente non mancano tra queste stesse file gruppi e aggregazioni che sottolineano la maggior efficacia e intelligenza democratica della collaborazione: quando si favorisce questo clima – affermano – non solo è possibile rivedere senza eccessivi problemi determinati strumenti legali e giuridici necessari per adeguarsi ai tempi, ma si possono anche utilizzare senza mettere a repentaglio la convivenza. Questo – ricordano – fu il quadro entro cui nacque il patto costituzionale che sfociò nel riconoscimento della natura non confessionale dello Stato nella transizione politica e favorì gli accordi Chiesa-Stato. In quel tempo molto peso ebbe il rinvio del confronto che aveva caratterizzato i duri anni della seconda repubblica spagnola o i tragici tempi della guerra civile.

Se fa parte della laicità intesa come articolazione della natura non confessionale dello Stato e come collaborazione con le religioni oppure come confronto e bando delle confessioni nell’ambito privato, è molto discutibile che siano riveduti, tra gli altri aspetti, gli attuali accordi con la Santa Sede. Bisogna superare la crescente impressione che si tratti di un “dispositivo di copertura” con cui continuare a conservare presunti privilegi ecclesiastici al riparo di una incompleta e ancora incombente transizione politica.

Capisco che ci sono molti cittadini – cristiani o no – che a questo punto della storia sarebbero contenti se si abbandonasse lo scontro e si studiasse la possibilità di nuovi patti. E se questi non fossero possibili, che si salvaguardi almeno il bene superiore della convivenza, rispettosa delle legittime differenze.

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