La croce, segno di speranza

di:

Stefano Zeni – Chiara Curzel, La speranza della croce

Un biblista e una patrologa, docenti all’ISSR Guardini di Trento, hanno curato il volume che raccoglie gli Atti del convegno La speranza della croce: stile del cristiano, svoltosi a Trento il 29 febbraio e il 1° marzo 2016, nella sede del Vigilianum, il nuovo polo culturale dell’arcidiocesi di Trento appena inaugurato.

La scansione del mistero pasquale – passione-morte-risurrezione – è stata esaminata sotto varie angolature, con la precedenza data alle testimonianze dei vangeli.

Dopo l’Introduzione (pp. 9-12) di Andrea De Carli, delegato diocesano per la cultura, che ha presentato l’apertura del Vigilianum come sede in cui si esercita la carità intellettuale di una Chiesa diocesana, il biblista francescano minore Giulio Michelini, docente all’Istituto teologico di Assisi, ha esaminato (pp. 13-54) la passione di Gesù nei vangeli sinottici, tentando di fornire un aggiornamento e un bilancio delle ricerche recenti sulla morte di Gesù. Ha sottolineato la necessità di un accostamento ai testi che non sia puramente teologico o narratologico, sincronico, ma che dia spazio anche alle domande di tipo storico, anche se scomode. I testi necessitano di essere visti come intreccio inscindibile fra storia e interpretazione teologica, senza porre in opposizione la ricerca di una spiegazione storica con il significato teologico evincibile con i vari metodi di indagine a disposizione.

Massimo Grilli, docente di teologia biblica alla Gregoriana – e direttore della tesi di dottorato di tutti i biblisti relatori al convegno… – si è soffermato sulla morte di Gesù nella tradizione sinottica e in Giovanni, titolando il suo contributo col titolo efficace: “Il rantolo di un morente o le doglie di una partoriente?” (pp. 55-72). Dopo aver esaminato le testimonianze sinottiche e della Lettera agli Ebrei, Grilli si è soffermato su Gv 19,28-30 contestualizzandolo nella teologia giovannea della croce. Per Gv la croce non è “abominio” e “maledizione”, ma “innalzamento” ed “esaltazione”. Ciò comporta come implicazioni il fatto che in Gv è carente la visuale del sacrificio espiatorio e totalmente mancante l’idea dell’espiazione e della soddisfazione vicaria. La ragione ultima della missione e della morte di Gesù è l’amore. Il momento dell’“ora” – quello della croce – è anche il momento massimo dell’amore, della fiducia che il Padre porterà tutto a compimento. Il senso del dolore può essere intravisto nel riferimento a Gv 16,21, dove la donna che soffre per partorire, al momento della nascita del suo bimbo si dimentica del proprio dolore. Grazie all’amore, la morte è trasformata in vita: anche le tenebre testimoniano la fedeltà e la presenza di Dio e un’esistenza segnata dal dolore può trovare senso (non spiegazione!) nella fede e nell’amore. Il seme che marcisce fa fiorire la vita.

Leonardo Paris, filosofo e teologo docente a Trento e direttore del Vigilianum, ha interpretato in modo originale la passione del Figlio con la categoria dell’“ereditare/eredità”. Se il Padre è il testatore, che però non muore, il Figlio è l’erede e i fratelli co-eredi. Il patrimonio trasmesso in eredità è la benedizione, la terra, il Regno, la vita eterna, soprattutto la figliolanza stessa, gratuita. Guardare a Cristo è l’unico modo per capire che cosa significhi diventare figli adulti. L’erede è il Figlio e la modalità per diventare figli adulti che hanno fatto propria l’eredità del Figlio consiste nel contemplare le relazioni vissute da Gesù nella passione: relazione col Padre e relazione coi fratelli. Queste due dinamiche relazionali sono l’eredità del Padre «in quanto Gesù pone al centro il nome della paternità del Padre in cui è custodita la sua e la nostra figliolanza» (p. 85). Il testatore, il Padre, non muore ma, in un silenzio drammatico, consegna il Figlio che si autoconsegna. Il Padre consegna nelle mani del Figlio tutto, il nome, cioè il nome stesso del Padre, l’identità stessa di Dio. «Questo ben si accorda con l’intuizione centrale del cristianesimo che in Gesù e nella sua morte ne vada non di un aspetto di Dio, ma del suo nome, del centro della sua identità» (p. 88). Il Padre consegna a Gesù il suo nome “di Padre, ovvero indica la relazione e la cura rispetto a dei figli (ivi). La categoria di “eredità” mette in luce le relazioni che vengono poste in essere. Nella passione emerge la centralità del Figlio erede, l’eccentricità della soggettivazione adulta del Figlio-erede e il carattere co-istitutivo della relazione. Paris suggerisce due istanze metodologiche precise (pp. 92-94): 1) la prima è «quella di concentrarsi sulle dinamiche relazionali e trovare categorie teologiche in grado di renderne conto»; 2) la seconda «riguarda invece la possibilità di leggere la croce come rivelazione trinitaria» (pp. 92-93).

Paul Renner, teologo e docente allo Studio teologico accademico di Bressanone, ha illustrato il tema della “Via Crucis – Via lucis ieri e oggi” (pp. 95-108), commentando con delle slides le varie sculture della Via Crucis posta in Val d’Aurina, riportando il commento positivo – «luminoso», vorrei dire – (p. 96) della vicenda terribile della passione di Gesù, evidenziando le virtù del Nazareno, sulla falsariga di uno scritto classico di Romano Guardiani. Ne risulta una Via Crucis delle virtù: la giustizia, l’accettazione, la fedeltà, l’assenza di intenzioni, la bontà, il rispetto, la pazienza, la riconoscenza, l’ascesi, la veracità, il coraggio, il raccoglimento, il disinteresse, il silenzio, la virtù: cioè la forza! (cf. p. 97). L’attualizzazione di una Via Crucis “luminosa” può avere delle ricadute positive per la società, per il singolo e per il morente. L’elemento pasquale della risurrezione è stato esaminato nel Vangelo di Marco e nel vangelo di Luca.

Il biblista cappuccino Maurizio Guidi, docente alla Gregoriana, ha illustrato l’enigmatico testo di Mc 16,1-8 (la finale “breve” di Marco”), proponendo una strutturazione del testo, sottolineando come, al cammino delle donne dopo il silenzio, succeda la domanda che avvia la duplice esperienza vissuta nel sepolcro: visione e parola. La conclusione è data dalla fuga delle donne e dal loro enigmatico silenzio.

Guidi illustra i nodi pragmatici del testo, il suo intento comunicativo. Egli appartiene alla scuola della “esegesi pragmatica”, di cui in Italia è primo esponente proprio il suo direttore di tesi dottorale Massimo Grilli. «Mediante l’espediente letterario del v. 8, l’evangelista non rimanda semplicemente a un’esperienza che deve realizzarsi al di là della narrazione (effetto retorico di una finale lasciata aperta), ma introduce concretamente i discepoli in una dinamica di fallimento, riconducendo quest’ultima al mistero di Dio. Il fallimento umano dei discepoli e delle discepole, al pari del paradosso di fede di un Signore crocifisso, non può cancellare la possibilità di incontro con il Risorto. E questo – per chiunque abbia esperienza reale di vita e di discepolato – è un lieto, lietissimo annuncio!» (p. 121).

Carlo Broccardo, docente presso la Facoltà Teologica del Triveneto – Padova, propone infine una lettura di Lc 24, presentandola come esempio dello stile ecclesiale nell’esperienza di Gesù risorto. Egli si sofferma soprattutto su Lc 24,1-12, l’esperienza “inutile” delle donne, e dimostra la funzione di ponte esercitata da Lc 24 fra le due parti dell’opera lucana.

Un convegno interessante, che vede degnamente la pubblicazione degli Atti per una fruizione più larga possibile dei risultati raggiunti e delle nuove prospettive.

Ricordiamo che il 24 ottobre scorso sono stati inaugurati i corsi del nuovo ISSR “Romano Guardini” – collegato con la Facoltà teologica del Triveneto –, per la formazione degli insegnanti di religione cattolica, che sostituisce il Corso superiore di scienze religiose prima attivato presso la Fondazione Bruno Kessler.

Stefano Zeni – Chiara Curzel (a cura), La speranza della croce, Collana «Echi teologici», EDB, Bologna 2017, pp. 142, € 17,00. 9788810214022

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