Trinità, la “grammatica” di Dio

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Dalla collana Fondamenta, diretta da Pier Luigi Cabri e Roberto Alessandrini, ai primi di gennaio è uscito per i tipi delle EDB di Bologna l’interessante manuale di teologia trinitaria firmato da Jean Paul Lieggi, presbitero della diocesi di Bari-Bitonto e docente nella Facoltà Teologica Pugliese di Cristologia e Trinitaria e Teologia patristica.

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Una panoramica

Il manuale si segnala per diversi punti di originalità, primo fra tutti l’essere stato studiato precisamente nella sua struttura. Rispetto ai manuali tradizionali, l’a. non sceglie la classica ripartizione – sezione biblica, storica e sistematica – proponendo invece un percorso quasi esperienziale: nel senso che, mentre fa entrare all’interno di una riflessione e sistemazione dei nuclei e modelli di teologia trinitaria, offre spunti e piste di indagine invitando il suo lettore a continuare la ricerca, verificare prospettive, iniziare percorsi a partire dalla propria esperienza nello Spirito del Mistero di Dio. In questo modo il testo non ha una forma conclusa, ma aperta.

Questa immagine ariosa prosegue anche a livello lessicale: prendendo a prestito termini musicali – preludio, interludio, ouverture, fughe – usa l’analogia musicale per ritmare la disposizione del materiale della ricerca (cf. p. 184). Eppure, l’a. opera qui un’interessante inversione: ciò che ci si aspetterebbe fosse all’inizio – l’ouverture appunto – è posto invece alla fine suggerendo, quindi, come tutto il materiale altro non sia che «una introduzione allo studio della teologia trinitaria» (p. 305), un continuo e sempre nuovo ingresso nel Mistero del Dio Uno e Trino. Che la teologia, e forse a maggior ragione proprio quella che riflette sul Mistero di Dio Unitrino, sia di fatto un’esperienza è affermato dal ricorso, dapprima, alla relazione tra pensiero e preghiera così come è testimoniato dalla forma liturgica e, successivamente, dalla ricerca patristica, che mai ha separato il creduto dall’atteggiamento adorante.

Così il manuale mostra il pregio di essere stato davvero pensato per una doppia funzione: come introduzione offre un ingresso ragionato e ritmato, nei suoi tre focus, dalla tipica forma dossologica “nello Spirito, per il Figlio, al Padre”; come sintesi permette non solo di muoversi agevolmente nei passaggi storici che hanno contribuito alla formazione del dogma ma cerca soprattutto di rendere ragione delle diverse angolazioni prospettiche con cui ci si è posti di fronte al Mistero Santo – la prospettiva dossologica, il rapporto tra economia e immanenza, la dimensione antropologico religiosa radicale – e, quindi, della costruzione di modelli en-tro cui dire l’inesauribile mistero a partire dalle sue polarità costitutive – unità e trinità, comunione e distinzione, sostanza universale e individuazione personale, gerarchia e ritmo, asimmetria e ordine.

Infine, il presente manuale è l’occasione per presentare un percorso di ricerca con l’elaborazione di un nuovo paradigma, la sintassi trinitaria. È questo il «cuore della proposta teologica originale di questo manuale» (p. 263) che vogliamo qui recensire e con cui vogliamo entrare in dialogo. Da ultimo, il presente testo è un vero e proprio manuale: sta in una mano; è leggero e, rispetto ad altri manuali, breve: 320 pagine in totale. La brevità non compromette, in nessuna di queste pagine, la profondità e la chiarezza dell’esposizione, fedele quindi alla mission della collana, fondamenta appunto.

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La «grammatica di Dio»

Il manuale si apre con un preludio dedicato al cuore della «grammatica di Dio». Che il trattato abbia vissuto un’importante evoluzione nel secolo scorso è conseguenza della rinnovata coscienza di come il mistero della Trinità costituisca «la somma dell’intero mistero cristiano di salvezza ed al contempo la sua grammatica» (W. Kasper), per cui occorre, secondo Lieggi, offrire «un’occasione per sperimentare la nostalgia e assaporare la bellezza di un ritrovamento della “patria trinitaria” nella teologia e nella vita, senza perdere il gusto di narrare Dio e il mistero insondabile del suo amore» (p. 11). Da qui l’andare alla “grammatica di Dio” quale connessione tra il darsi e dirsi di Dio nella storia, libero dischiudersi del Mistero come storia. In questo tessuto narrativo ricercare la “grammatica” ha il senso di andare alle “regole” di questa auto-comunicazione; l’a. ne propone tre: la prima è quella fornita dalla lex orandi, la seconda inerisce al rapporto tra rivelazione e storia, la terza è l’esperienza di Gesù, il Figlio di Dio che «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo» (Gaudium et spes, n. 22).

Proseguendo nella direzione di C. Vagaggini (p. 58), prima, e di G.I. Gargano (p. 56), poi, è dalla lex orandi che si può apprendere come l’atto di rendere gloria a Dio apra ad un dire da parte dell’uomo di fronte all’ineffabilità di Dio, all’impossibilità umana di comprendere e quindi circoscrivere Dio. L’a. recensisce come la tradizione teologica occidentale e orientale abbiano percorso sostanzialmente due vie: l’analogia, con il suo triplice dinamismo di affermazione, negazione ed eccellenza, e l’apofatismo di matrice antinomica dionisiana. In entrambe, l’esperienza di arrestarsi di fronte al limite del dire – ora nello scarto evocato da una sempre più grande dissomiglianza, ora presi in scacco dall’aporia antinomica, esponendo alla realtà dell’ineffabilità di Dio – porta a coltivare un atteggiamento di timore e adorazione.

Riprendendo J. Moltmann (Trinità e Regno di Dio. La dottrina su Dio, Queriniana, Brescia 1983), proprio della dossologia è il movimento che, partendo dal ringraziare il donatore per il dono ricevuto, conduce a magnificare Dio per la sua bontà, amarlo per la salvezza sperimentata ed infine adorarlo per se stesso. Su questo movimento si costruisce la teologia dossologica come «teologia di risposta» (p. 56), una teologia in dialogo: il balzo in avanti rispetto alle precedenti due vie è compiuto passando da un dire Dio dal basso ad un dire Dio non semplicemente dall’alto ma per come si è detto e si lascia dire in Gesù Cristo: tutto prende avvio dal Padre per il Figlio nello Spirito e quindi ogni dire sta nel movimento di ritorno che nello Spirito, per il Figlio, conduce al Padre. Il movimento teo-logico si concentra sul dinamismo cristologico-trinitario e il Mistero di Dio si fa comprensibile e dicibile nel nexus tra mysterium salutis e historia salutis.

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Linee prospettiche

Le prospettive di ricerca che secondo l’a. vale la pena percorrere ruotano attorno al tema del linguaggio teologico: «una volta che si apre un modo diverso di pensare e di scrivere di teologia, a partire dall’Ineffabile, tutte le strade, anche quelle alternative alle vie classiche, diventano percorribili e, a volte, si rende forse necessario – paradossalmente – seguirne simultaneamente due tra loro in apparente contraddizione» (p. 62). Sarà questo un principio cui Lieggi rimarrà fedele nel proseguo del testo conducendo, prima, attraverso il rapporto tra immanenza e trascendenza, parola incarnata e parola spirituale, poi, lungo la scelta di modelli e paradigmi – unità assoluta e personale, comunione interpersonale e pericoretica, infine uguaglianza di onore, potenza, azione in una differenza gerarchica – sempre però con questa stessa attenzione ad una sorta di principio polare di guardiniana memoria.

La seconda linea prospettica, come scrivevamo sopra, coglie nel grundaxiom rahneriano la possibilità di dire qualcosa circa il mistero divino a partire dall’economia della salvezza. Riprendendo B. Forte, Lieggi mostra la fecondità del modello rahneriano che individua, nel luogo dell’incarnazione, il piano su cui si fonda ogni forma di conoscenza del mistero divino e riconosce, nel piano esperienziale umano-divino, la membrana osmotica entro cui l’eterno amore divino diventa salvezza come storia.

Dopo un necessario passaggio sulla recezione dell’assioma e una sua equilibrata presentazione dei punti di forza e dei limiti di espressione del noto “viceversa”, a partire dal testo della Commissione Teologica Internazionale Desiderium et cognitio Dei del 1982, Lieggi si concentra sull’invito ivi rivolto ad evitare «ogni separazione tra la cristologia e la dottrina trinitaria» e a «guardarsi ugual-mente da ogni confusione immediata tra l’evento Gesù Cristo e la Trinità» in nome di un “più” trinitario. Così l’a. presenta le forme in cui questa se-parazione e confusione non è stata evitata nel passato: da un lato quindi l’arianesimo e l’agnosticismo, quali forme di mancata separazione, dall’altro i nodi inerenti il mantenere o sciogliere il rapporto tra libertà e necessità in Dio, volontà e generazione del Figlio.

Il primo guadagno cui giunge l’a. è di mostrare, sulla scorta della riflessione di Ladaria, come ciò che Dio è in sé è proprio ciò che Dio vuole essere, volendo essere proprio ciò che è (p. 93); in questo modo non c’è una identità ontologica tra il piano immanente e quello economico ma una coincidenza libera, per cui a quella esperienza kenotica del Figlio nella storia della salvezza corrisponde una libera e volontaria condiscendenza del figlio ad essere uomo nella condizione della umanità segnata dal peccato. Il secondo è che la teologia non può abdicare alla sua vocazione di narrare una storia, ad essere una teologia narrativa proprio perché il soggetto narrante è il soggetto narrato (p. 106).

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Itinerari nell’itinerario

Qui Lieggi inserisce il primo dei suoi Focus dedicati a ciascuna delle tre divine persone partendo dallo Spirito Santo: è lui il narratore, ogni narra-zione avviene in lui, l’incontro stesso – come scriveva H. Mühlen – che avviene nel Cristo che sta di fronte all’uomo. Se quindi la teologia ha un dire, allora questo avviene nello Spirito: colui che, come ebbe a scrivere E. Jüngel, fa dell’umano l’espressione dell’essere in movimento di Dio in se stesso (p. 108). Pertanto, nel suo primo Focus, Lieggi fa entrare il lettore in relazione con due autori: J. Moltmann e la E. Johnson.

Nei suoi Focus l’a. proporrà sempre un itinerario all’interno di altri testi per rendere ancora più evidente la sua proposta e mostrare la bontà del percorso. Ecco perché quello sullo Spirito è di fatto dedicato all’esperienza dello Spirito quale luogo di partenza per parlare di Dio (pp. 112-120) e, partendo dall’assioma fondamentale della teologia trinitaria, porre l’attenzione sul darsi dello Spirito proprio al crocevia del darsi e dirsi di Dio nel Figlio Gesù (pp. 120128), nella Chiesa e, infine, su quel «venire a contatto, nel modo che solo Dio conosce, col mistero Pasquale» (Gaudium et spes n.22) di tutto il genere umano.

Così il Focus apre il capitolo successivo, l’ultimo degli avvii prospettici, dedicato alla “Trinità radicale”, ovvero all’esperienza – secondo le parole di R. Panikkar – teantropocosmica o cosmoteandrica: l’unità intima e complementare di divino e umano per come il mistero dell’incarnazione, passione, morte, resurrezione, ascensione ce lo ha narrato, ossia l’esperienza di una radicale identità di umano e divino che chiama l’universo tutto a rileggersi, ritrovarsi e comprendersi nel dirsi e darsi di Dio. In questo capitolo Lieggi afferma che «la riflessione che si proporrà in queste pagine intende essere solo un avvio al compimento dell’integrazione auspicata da Panikkar, in quanto, dal suo invito ad assegnare adeguata attenzione a tutta la realtà, si è solo raccolto lo stimolo a porre nel giusto rilievo l’esperienza […] ritenere il mistero di Dio come co-appartenente alla realtà dell’uomo e del cosmo, senza separarli (visione cosmoteandrica, per l’appunto), pur nella loro necessaria distinzione» (p. 149).

Qui si dimostra bene come il testo sia stato accuratamente pensato in tutti i suoi passaggi portando il lettore, passo dopo passo, dal linguaggio alla realtà passando per il rapporto tra questi. È l’esperienza nello Spirito il luogo proprio in cui l’evento, il darsi e dirsi di Dio, si fa auto-comunicazione, intelligenza e godimento del Mistero. In questo modo le esperienze nello Spirito, come la mistica, il sentimento religioso-popolare e il desiderio di promozione umana (pp. 155-176), non sono qualcosa a margine rispetto alla riflessione teologica sul Mistero di Dio ma una vera e propria «officina del pensiero» (p. 177). Qui il criterio suggerito da papa Francesco – «la realtà è più importante dell’idea» (Evangelii gaudium n. 231) – viene giustamente richiamato per esplicitare come l’esperienza della Parola incarnata è sempre in cerca di incarnarsi, spinge la realtà alla sua méta, alla sua realtà come liberazione e desiderio, quasi per una certa connaturalità – come suggerisce A. Cozzi (p. 160).

A questo punto, a mo’ di interludio, il secondo Focus si concentra sulla assialità dell’esperienza di Gesù e questa è l’occasione per l’a. di presen-tare un’antologia del testo di De Candia (Trinità. Le consonanze di un Dio musicale, Tau Editrice, Todi 2011). La scelta ha una duplice funzione. Da un lato, offrire un legame tra le due parti del manuale all’insegna della narrazione, in quanto è solo dalla narrazione di Gesù che si deve passare per dire il Mistero delle tre persone e l’essere Dio Uno, segnando anche un cambio di registro, uno stile che nella differenza lasci il Differente essere ospite ospitante e ospitato ospite (p. 189). Dall’altro, «rappresentare un pentagramma nel quale collocare, con la fantasia suggerita dallo Spirito, le note della propria esperienza di fede […] consegnare un compito al lettore: dedicarsi a tempo pieno a redigere, con lo stile della personale “sensibilità” teologica e spirituale, una propria “narrazione cristologica” raccogliendo dal proprio vissuto e dalla frequentazione della Scrittura, i necessari elementi da intrecciare nella trama del racconto» (pp. 189-190).

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Modelli interpretativi

La seconda parte del manuale è dedicata alla ricognizione dei modelli interpretativi del mistero trinitario: (1) quello di unità personale; (2) il modello di unità assoluta o intrapersonale; (3) il modello interpersonale; ed infine (4) il modello pericoretico-comunionale. Questi quattro modelli verranno presentati due a due come fossero dittici o, utilizzando ancora la metafora musicale, contrappunti di una stessa melodia.

I primi due – unità personale e assoluta – modulano la curvatura trinitaria impressa alla nozione di unità divina. Il modello orientale la vede realizzata dalla persona del Padre, principio proprio della distinzione senza cadere in una sorta di separazione o emanazione subordinata; l’unità qui è però pensata indipendentemente dalle altre due persone divine. Nel modello di unità assoluta, più presente e con diverse sfumature in occidente, l’unità di Dio è legata all’essenza stessa divina, ciò che è uno tranne là dove si oppongono le relazioni; in questo modo si presta il fianco a derive modaliste accogliendo il principio secondo cui le differenze personali devono essere reinserite nel-l’unità sostanziale e così cadere in immagini vuote o solo manifestazioni che elidono ogni distinzione personale nell’ineffabilità.

Interessante in questo capitolo la riflessione che Lieggi propone intorno a una funzione di riequilibratura di un modello sull’altro partendo dal termine che, nell’una e nell’altra, serve ad indicare il modello stesso di unità – ipostasi e substantia – ma che di fatto sono sinonimi: entrambi indicano ciò che sta sotto (p. 226) per cui il comune e fonte di una unità che non è solo unente – al modo di un principio – ma anche unita – al modo di una comunione, cumunio.

Questo apre di fatto all’altra coppia: il modello interpersonale e quello pericoretico-comunionale. Il primo trae origine dalla riflessione di Riccardo di San Vittore. Spostando il concetto di amore dall’amor sui ad essere ciò che permette di pensare e realizzare una distinzione intrapersonale senza diminuire né la dignità dell’amato né l’identità dell’amante nell’amare un altro; questa prospettiva sembra non rendere ragione efficacemente dell’unità essenziale e pericoretica delle divine persone, lasciando all’amore così la sola forza personale centripeta (p. 243). Il modello pericoretico-comunionale pone invece l’accento proprio sulla pluralità trinitaria, sulla differenziazione delle persone nel loro dire la loro profonda unità: questa non può essere elisa né elusa dalla reciprocità delle relazioni personali stesse divenendo, di fatto, unità come unificazione (J. Moltmann), nella coincidenza di essere-sé e essere-con propria dell’amore personale (W. Kasper), comunione come realtà originaria dell’unica vita divina, gioco giocato che mentre individua costituisce (G. Greshake; A. Ganoczy).

Il limite qui sta proprio nel pensare una sorta di reciprocità mettendo in ombra ciò che i padri indicavano normante partendo proprio dalla dossologia: la taxis, l’ordine delle persone; inoltre, come mostrava già E. Salmann, non sembra entrare in gioco una riflessione sulla natura (p. 260) e neppure circa l’uso troppo univoco dell’identità personologica delle tre divine persone laddove invece si ravviserebbe, come P. Gamberini suggerisce, un’attenta analisi dell’uso analogico interno alla stessa identità personale delle tre divine persone (pp. 257-259).

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Comunione e gerarchia

A questo punto Lieggi, partendo da un’intuizione di Basilio di Cesarea, offre il suo contributo all’attuale dibattito. La questione che appare al nostro a. centrale è il rapporto tra comunione e gerarchia (p. 264). I modelli precedenti hanno punti di forza e debolezza, ma è indubbio che partire dal Padre comporti un ordine, una gerarchia, che il modello di unità assoluto non individua riposare all’interno del concetto ‘persona’ e che la prospettiva pericoretica offra la possibilità di rileggere il concetto di reciprocità connesso invece alla dottrina delle processioni.

Sembra quindi che al cuore delle difficoltà ritorni il senso da attribuire al termine persona divina e di come questo non possa essere più così univoco per tutte e tre (p. 267). Da qui l’assunzione di un nuovo paradigma: Lieggi lo propone a partire dalla rilettura di ciò che è comune e proprio secondo la dottrina basiliana secondo cui in Dio la differenza personale non interrompe la continuità, né la comunanza della natura divina elimina l’individualità (cf. Ep. 38). Neppure le differenti proposizioni (ἐκ/da, διά/per, ἐν/in) possono essere applicate in modo esclusivo ad una sola persona, pena prestare il fianco ad un approccio subordinazionista della differenza personale.

È qui che Basilio offre, secondo Lieggi, con l’uso di un’altra preposizione (σúν/con), il suo contributo più originale alla questione nel suo De Spiritu Sancto: le persone del Padre e del Figlio cooperano così da far risaltare la pariteticità e la co-glorificazione dello Spirito, colui che è il corifeo della sinfonia, il capo del coro cui spetta il primato per la sua dignità che gli deriva dal suo essere Dio proprio come il Padre e il Figlio. «La scelta di far partire la teologia trinitaria dallo Spirito consente a Basilio di porre al centro del suo pensiero non l’essenza astratta di Dio, ma l’esperienza personale e comunitaria delle “energie” divine, e cioè delle opere delle persone divine, che rivelano la comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito a cui il mondo deve la sua esistenza, mostrando così come fra di esse “esiste una comunione ontica, una “synápheia”, […] una unione dinamica, un ritmo di vita e un consenso continuo”» (p. 277). È qui che appare il termine chiave in Basilio e su cui si fonda il nuovo paradigma della teologia trinitaria: la σύνταξις/sintassi (DSS XXVI,63).

Secondo Lieggi il padre Basilio sceglie «oculatamente di non limitarsi a parlare di consustanzialità, […] è ben consapevole, infatti, che l’assoluta pariteticità delle tre persone divine deve essere in qualche modo “temperata” dalla taxis trinitaria» e che «non deve assolutamente far pensare che qui “l’ordine sia rovesciato”» (p. 278), bensì «dare credito all’esperienza del cristiano» (p. 279) Che il Padre, il Figlio e lo Spirito operino insieme nella loro sinergia mostra come la sintassi debba essere così intesa quale «espressione dell’unità e della comunione trinitaria. Non semplice comunione tuttavia, non semplice unità; ma unità (σúν-) nella taxis» (p. 282), l’espressione più appropriata per rendere ragione della differente unità e unione delle persone divine.

Così ancora Lieggi: «non basta, sembra suggerire Basilio, parlare di unione e comunione. Lo si deve fare non tralasciando la taxis che lega indissolubilmente e inseparabilmente le persone divine tra loro» (p. 283). Secondo l’a. con il paradigma della sintassi trinitaria si recupererebbero i concetti di comunione e pericoresi unendoli proprio alla distinzione delle persone nell’unità di essenza, l’asimmetria svelerebbe una reciprocità relazionale con-tenuta proprio dalle relazioni di origine che distinguono e ordinano le divine persone. Da qui l’ultimo Focus: è proprio questa sintassi a richiedere che la stessa taxis non sia una mera successione, permettendo di fatto un ritorno proprio sulla divina persona del Padre per la sua fontalità, oblatività, adeguata origine della filialità e della spirazione. Da qui il passaggio a due autori e ai loro due studi sul Padre: G. Inguscio e M. Bracci.

Il manuale di Lieggi termina, come dicevano, con un’ouverture: la sintassi chiede infatti di rileggere il rapporto che la Trinità intrattiene con il mondo per una rinnovata lettura cosmoteandrica. La fecondità della sintassi per il pensiero teologico Lieggi l’aveva già delineata come compito nel suo precedente saggio La sintassi trinitaria. Al cuore della grammatica della fede, edito per i tipi di Aracne nel 2016. Qui aveva prospettato esiti interessanti a diversi livelli: da quello cristologico, quale rilettura del rapporto tra le due nature, a quello antropologico ed ecclesiologico, fino a rileggere il rapporto stesso tra Scrittura e tradizione.

Con la sintassi Lieggi cerca di pensare all’interno di quello spazio segna-to, sinteticamente, da quattro paletti capaci di delimitare l’area entro cui giocano le polarità costitutive: la pericoresi, la monarchia del Padre, l’ordine evinto dal rapporto tra missioni e relazioni ed infine il concetto analogico e catalogico di persona divina. L’intuizione è che sia solo specificando l’accento distintivo delle tre persone che si possa apprezzare l’unità e la distinzione al di là dell’analogia e dell’ineffabilità. Sembra quindi, in prospettiva, interessante la proposta anche se occorre ancora, come afferma lo stesso Lieggi, chiedersi se la sintassi sia «un concetto fondazionale o, piuttosto, un luogo prezioso per ricapitolare la teologia trinitaria, magari favorendo una feconda circolarità pericoretica tra i diversi modelli interpretativi» (pp. 294-295).

Personalmente riteniamo che la pista segnata dall’a. vada attentamente esplorata convinti che sia proprio nella ricerca dell’apertura del senso di “persona divina”, del rapporto che questa ha con la persona umana, di come un’accentuazione del proprio di ciascuna sia più che una strada feconda.

Chiudiamo la presentazione avvertendo il lettore che, se cercasse una se-zione dedicata alla fondazione primo e nuovo testamentaria classica, in questo manuale non la troverebbe.

Jean Paul Lieggi, Teologia trinitaria, collana Fondamenta, EDB, Bologna 2019, 328 pp., 25,00 euro. La recensione è ripresa da Urbaniana University Journal, 72(2019)3, 221-229.

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