Seminari sì o seminari no?

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formazione nei seminariI seminari minori sono «inutili pensieri di vescovi nostalgici?». È partito da questa provocazione il confronto sul tema della formazione nei seminari, minori e maggiori, animato dal rettore del Seminario vescovile di Padova, don Giampaolo Dianin, e dal direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose, don Livio Tonello.

L’occasione è stata la presentazione, il 25 maggio a Padova, di due volumi della collana editoriale Sophia della Facoltà teologica del Triveneto: Gianni Magrin, Il seminario minore: una sfida educativa per la Chiesa italiana (Emp-Fttr, Padova 2016), e Roberto Reggi, Pedagogia delle vocazioni presbiterali. Analisi socio-psicopedagogica di terreno buono e spine vocazionali dei seminaristi maggiori diocesani (Emp-Fttr, Padova 2016).

«I seminari minori non sono scomparsi – ha esordito Tonello –; c’è una rinascita, una forma nuova di ricomposizione. A fronte di una crisi vocazionale che sembra inarrestabile, almeno in alcune regioni italiane – ha spiegato –, ciò che non è mutato è il concetto di vocazione nella sua radicale essenza, così come lo definisce Balthasar: “L’unico atto col quale un uomo può corrispondere al Dio che si rivela è quello della disponibilità illimitata. Esso è l’unità di fede, speranza e amore”. È mutato però il modo di coltivare l’impulso a seguire Gesù che chiamiamo ancora “vocazione”».

Il seminario, laboratorio di crescita

formazione nei seminariUna parte delle diocesi sta scommettendo su questa proposta, o almeno si sta interrogando in una prospettiva di pastorale giovanile e di formazione alla vita cristiana. Non mancano infatti segnali di novità e di sperimentazione in cui la pastorale vocazionale non ha a che fare solo con il seminario, ma coinvolge la comunità cristiana: «non un settore per gli addetti ai lavori, bensì un laboratorio ecclesiale, dove il seminario minore è il centro e dove si mette in gioco il volto di una Chiesa locale che vuol fare formazione alla vita cristiana».

Vocazione, infatti, non dice solo e immediatamente un riferimento alla consacrazione: esiste una vocazione alla vita che precede ogni chiamata ed è innanzitutto realizzazione della propria singolarità unica e irripetibile. «In questo senso la proposta vocazionale è riconoscimento di sé, della propria vita – afferma Tonello –. L’accompagnamento vocazionale è aiuto alla crescita di un adolescente dentro un orizzonte completo: dimensione umana, spirituale, relazionale, di senso/significato, che si apre alla trascendenza. La chiamata di Dio si inserisce nell’umano. I preti di oggi e di domani devono essere prima di tutto contenti della propria vita e della propria scelta».

In questo senso i seminaristi non sono “preti in miniatura” e il seminario minore non è un “maggiore in miniatura”, ma un laboratorio di crescita a 360 gradi. E la domanda da porre non è “seminario minore sì o seminario minore no?”, ma piuttosto “quale modello educativo?”.

A questo proposito, Tonello riprende le conclusioni del volume di Magrin: è necessario continuare a sviluppare la teologia della vocazione; considerare la proposta vocazionale come un processo per gradi e passaggi successivi di maturazione; valorizzare le scienze umane dentro un orizzonte di fede (principio dell’alleanza educativa); dare spazio a figure formative plurime: famiglie, operatori pastorali, presbiteri, parrocchie, figure nuove come quelle femminili, coppie e laici.

In una Chiesa «che si ri-forma formando» – conclude Tonello – non mancano innovazioni in risposta a questa sfida educativa, e cita alcune esperienze: piccole comunità semiresidenziali per adolescenti; momenti forti mensili realizzati in stretta collaborazione con la pastorale giovanile; esperienze vocazionali periodiche semiresidenziali; la riscoperta del valore del gruppo come luogo imprescindibile entro cui si può maturare una risposta alla vocazione.

Formazione permanente

Il percorso di formazione presbiterale non è solo riempire un vaso, o accendere un fuoco, ma accogliere e far fruttare un seme in un contesto che vede protagonisti il seminarista, i formatori e la grazia.

Da questa visione pedagogica si sviluppa l’analisi sui seminari maggiori fatta da Roberto Reggi per la tesi dottorale discussa alla Facoltà teologica del Triveneto, e sviluppata sullo sfondo del modello di prete conciliare e dentro l’attenzione alla globalità della persona grazie all’aiuto della psicologia.

«Dalla ricerca emerge la difficoltà, ovviamente, di elaborare una figura sintetica, un unico “modello” di prete formato nei seminari – commenta don Giampaolo Dianin –. Le differenze ci sono e sono legate alla storia, alle aree geografiche, alle figure dei formatori, al contesto particolare di ogni diocesi in cui si compongono i diversi ideali sacerdotali: l’imitazione di Cristo; la dimensione umana con le molteplici problematiche collegate (depressione e burnout);  la dimensione spirituale, quella intellettuale con la fatica di affrontare gli studi teologici, quella affettiva con le problematiche dell’omosessualità e della pedofilia; la dimensione pastorale, e poi i temi della povertà, dell’ubbidienza, del sacrificio, della capacità relazionale».

Riconoscere i buoni frutti legati all’introduzione delle scienze umane e la forte attenzione al discernimento e alla valutazione dei candidati, e puntare sullo sviluppo (empowerment) delle potenzialità delle persone e delle comunità, però, non basta.

«La voce degli educatori – spiega Dianin – ci parla del travaglio che stanno attraversando i seminari. Gli educatori sono i primi che vedono le potenzialità ma anche i limiti del modello tridentino di seminario; anche laddove qualcuno ha cercato di modificare qualcosa si trova comunque a fare i conti con strutture che condizionano le scelte educative».

C’è il terreno buono e ci sono le spine che, secondo la parabola evangelica, possono soffocare la pianticella, «ma chi lavora nei seminari sa che ci sono tutti i terreni descritti dalla parabola e che quasi sempre convivono in ogni persona. In questo senso la domanda sull’efficacia formativa è una domanda seria. Oggi c’è la consapevolezza che  il seminario può dare solo una parte di ciò che serve a un prete; il resto è legato alla formazione permanente dentro il ministero».

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4 Commenti

  1. Enrico 20 ottobre 2017
  2. Giuseppe 19 giugno 2017
  3. Ringo 9 giugno 2017
  4. Mario Vais 6 giugno 2017

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