Francesco alla Chiesa che è in Congo

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Nei diversi discorsi di papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), ci sono alcuni temi che tornano con sfumature diverse, a riprova che il papa ha voluto conoscere la reale situazione del paese.

Corpo diplomatico, società civile, giovani e catechisti

Presentando brevemente la situazione del paese, il presidente Tshisekedi aveva messo in evidenza aspetti positivi e situazioni di difficile soluzione. Illustrando la ricchezza delle culture e delle diverse etnie, non ha accennato alle difficoltà di farle convivenza. Francesco, invece, ha toccato il tema della difficoltà della convivenza etnica, sottolineando che va superata facendo leva sul proprio essere cristiani.

Se nel primo discorso al Corpo diplomatico e alla società civile Francesco aveva utilizzato l’immagine del diamante, nell’incontro con i giovani e i catechisti allo stadio ha usato l’immagine della mano, assegnando ad ogni dito un’identità particolare. Al pollice la preghiera (aspetto sul quale si è intrattenuto a lungo), all’indice la comunità (richiamando la necessità di superare le divisioni etniche), al medio l’onestà (con una chiara denuncia della corruzione). Va ricordato come a questo punto Francesco abbia fatto gridare più volte ai giovani lo slogan “no alla corruzione”. All’anulare ha legato il tema del servizio e al mignolo quello del perdono.

Le vittime della violenza e della guerra all’Est

Un momento molto carico di emozione e di commozione è stato l’incontro con dei rappresentanti delle vittime delle guerre tuttora presenti all’Est del paese, in Ituri, nel Nord e nel Sud Kivu.

Le esperienze terribili raccontate dalle vittime hanno reso il volto di papa Francesco molto triste e i suoi occhi lucidi. Le vittime hanno portato ai piedi della croce gli strumenti con i quali i carnefici hanno mutilato e ucciso (coltelli, lance, machete, martelli, uniformi militari…). Le loro storie sembrano impossibili, storie di orrore estremo.

Francesco le ringrazia per il loro coraggio. Lamenta l’oblio del mondo per tutte queste tragedie. La pace del paese dipende dalla pace nella parte orientale. Il papa condanna la violenza a tutti i livelli. Violenze personali e collettive. Ricorda che le cause sono interne ed esterne alla nazione. La sua preghiera è anche per la conversione degli autori di queste storie tristi. La violenza armata è provocata dalla bramosia di beni per sé stessi.

Si rivolge quindi agli autori della violenza e li invita a mettere fine alla guerra creata e alimentata per arricchirsi sulle spalle dei più poveri. Basta! Basta! Ma allora, cosa fare? No alla violenza senza se e senza ma. Odio e violenza sono inaccettabili, soprattutto per i cristiani. Dio è Dio della pace. L’avidità, l’invidia e il rancore sono alla base della violenza, e occorre estirparli.

L’invito è quello di disarmare il cuore, mantenendo però la forza di indignarsi davanti al male e di denunciarlo. No allo scoraggiamento e alla paura. Mai più violenza, rancore e rassegnazione. Sì alla riconciliazione, al perdono, perché questi rompono il cerchio della violenza.

Infine, sì alla speranza, che ha una sorgente in Gesù che ha fatto della sua tomba un giardino pasquale, una culla per la vita. Si ha diritto alla pace, ma questa è anche una conquista. Cita come seminatori di speranza l’ambasciatore Attanasio e coloro che sono stati uccisi con lui. Offendere o uccidere una donna è toccare direttamente Dio.

Coloro che hanno partecipato a questo momento, ossia le vittime delle violenze, hanno proclamato il loro impegno per perdonare i loro carnefici e per chiedere la pace per il Congo.

Gli operatori di carità

Francesco paragona gli operatori di carità agli alberi della foresta, che permettono al creato carico di violenza, di respirare e di moltiplicare la speranza. I media devono dare più spazio a quello che si vive in Africa, e la sua visita ha lo scopo di far conoscere di più questo continente.

Ci sono discriminazioni dove gli operatori di carità arrivano a portare amore, ma, a volte, due domande possono sorgere nel loro animo.

La prima: vale la pena impegnarsi in questo oceano di bisogni? Certamente, perché il bene si diffonde. Si riceve e si dona. Bisogna guardare l’altro dal basso, tranne quando l’altro è caduto e si vuole sollevarlo. Sanità e educazione sono servizi importanti che, a volte, lo Stato non si assume. L’impegno per questi due settori è anche un richiamo a chi governa: il potere è servizio. La carità è disinteressata. Chi sta bene è chiamato a condividere. Non per bontà, ma per giustizia; non è filantropia, ma fede.

La seconda domanda: come fare il bene? Con l’esempio e con la trasparenza si afferma che l’amore è espressione di ciò che si è. Con la lungimiranza si scelgono progetti che aiutano veramente coloro che li realizzano. Con la connessione, col mettersi in rete, lavorando insieme senza alcuna preclusione, si dona un servizio più autentico.

Celebrazione eucaristica

Anche nell’omelia della messa celebrata all’aeroporto di ’Ndolo, le sottolineature per la pace sono state ribadite.

Tre sono le sorgenti della pace: il perdono, la comunità e la missione. La riflessione parte dall’incontro di Gesù con i discepoli quando dona loro la pace, li perdona e li manda a perdonare.

È necessario perdonare se stessi, gli altri, la storia. Bisogna deporre le armi e abbracciare la misericordia.

Il papa invita i presenti a scrivere fuori della porta di casa e ovunque all’interno di essa “pace a voi”. Ai feriti suggerisce di portare le proprie piaghe e quelle del Paese intero a Cristo, per condividerle con le sue.

La comunità. Non c’è pace senza fraternità. C’è il rischio di stare assieme ma di vivere seguendo il proprio io, mirando al potere, alla carriera e all’ambizione (anche nella Chiesa). Come superare carrierismo, ricerca di piacere e stregoneria? Guardando ai poveri e sostituendo lo spirito mondano con lo spirito di Cristo.

La missione è quella di essere coscienza di pace nel mondo, testimoni di amore, missionari del folle amore di Dio per ogni essere umano.

Il Padre ha mandato Gesù per tutti. Per ben sette volte Francesco ripete “tutti”.

I religiosi, il clero e i seminaristi

Papa Francesco inizia il suo discorso a partire dall’affermazione del card. Fridolin Ambongo che, aprendo l’incontro, presentava una Chiesa con sfide impegnative da affrontare. Il papa coglie anzitutto come segno della grazia di Dio le numerose vocazioni, la sua fedeltà verso il suo popolo, e invita ad aprire strade nuove nella storia della gente vivendo la compassione, la misericordia e la tenerezza.

Essere consacrati vuol dire essere portatori dell’amore di Dio, servitori del suo popolo. La vita religiosa diventa arida se ci si fa servire anziché essere servitori. Non è ricerca di una migliore posizione sociale, né occasione per sistemare la propria famiglia d’origine. Essere consacrati è offrire la propria vita per i fratelli e per le sorelle.

Il papa indica poi tre tentazioni da vincere, tre sfide: la mediocrità spirituale che si affronta con la preghiera, con l’incontro personale con Gesù; la comodità mondana caratterizzata da una scandalosa ricerca del denaro, da un celibato non vissuto, da una fredda burocrazia dello spirito, ma che si può vincere con la sobrietà, col distacco dal denaro e con la vicinanza ai poveri; la superficialità, che va combattuta con una formazione continua e con la passione per il vangelo.

Il primo impegno deve essere la testimonianza di pace e di fraternità, per mostrare che è possibile superare le divisioni etniche. Testimonianza di docilità, di vicinanza a chi è ferito.

I vescovi

L’ultimo incontro è avvenuto con i vescovi. Papa Francesco utilizza l’immagine della foresta equatoriale, polmone per il mondo intero. Chiede di difenderla contro la rapacità degli umani. La foresta è immagine che parla alla nostra fede: abbiamo bisogno di respirare l’aria pura del vangelo. La Chiesa è molto importante nella RDC, ma essa è anche un polmone per la Chiesa universale. Essa appare con un volto sofferente, perché vicina al cuore di chi piange.

Il papa denuncia ancora la corruzione, fonte di sofferenza. Sull’esempio di Geremia che sperimenta la vicinanza di Dio, la sua compassione, la sua consolazione e la sua riconciliazione, così da avvicinarsi egli stesso al popolo con gli stessi atteggiamenti, Francesco invita i vescovi ad avere dei momenti forti di incontro con il Signore. È importante che esperimentino la sua vicinanza attraverso la preghiera. L’episcopato non li deve rendere autosufficienti, carrieristi, mondani, attaccati al denaro. I vescovi sono la voce di Dio, che tocca le ferite della gente. Essere vicini a Dio li rende vicini alla gente con la compassione, la consolazione e la riconciliazione.

Il papa suggerisce alcune piste per una pastorale efficace: sradicare le piante dell’odio e dell’egoismo, del rancore e della violenza; ribaltare gli altari consacrati al denaro e alla corruzione; costruire una coesistenza sulla giustizia, la verità e la pace. Annunciare la parola, denunciare il male, risvegliare le coscienze, confortare chi è afflitto e senza speranza. Consolare il popolo. Vicinanza e testimonianza vanno di pari passo. Vicinanza ai preti, anzitutto, agli operatori pastorali e alla gente per costruire l’armonia senza mettersi su un piedestallo. No al commercio e all’affarismo. Non uomini d’affari ma pastori, in mezzo alle pecore, portandone l’odore; davanti ad esse per guidarle e dietro per aiutare le più affaticate. Niente calcoli e compromessi col potere. Per il popolo e per la giustizia bisogna alzare la voce.

L’ultimo invito è a superare il tribalismo.

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