Chronicon – 34. Certificati

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Riporto per intero uno scambio di mail tra me e un parrocchiano. Siamo nel mese di agosto, con le segreterie parrocchiali ormai chiuse.

Buongiorno Don Giuseppe, come stai? Il 21 agosto io e mia moglie faremo da padrino e madrina di battesimo per la nostra nipote. La parrocchia ci ha richiesto un certificato di idoneità. Puoi rilasciarmelo? Un caro saluto. A.D.

Ciao. Il certificato che ti chiedono è del tutto inutile, comunque te lo faccio volentieri e te lo mando via mail. Mi serve sapere il cognome da nubile di tua moglie, che non ricordo con precisione. Buona estate.

Grazie mille, in effetti non ho capito bene neanch’io a che cosa servisse. Comunque, mia moglie si chiama T.G. Spero di non dover più disturbarti. Buona estate anche a te! A.

Ciao. Allego il certificato di idoneità per te e tua moglie. Buona estate!

Ti ringrazio tanto. Si sta scatenando una disputa dottrinaria intorno alla questione del certificato di idoneità – di cui ti racconterò a settembre – per cui mi viene chiesto dal parroco di fare due certificati distinti, uno per me e uno per mia moglie. Mi spiace davvero farti perdere altro tempo ma se puoi rifare i due certificati te ne sono grato.

Un caro saluto. A.

Questo è solo l’ultimo episodio di una lunga serie. La tipologia del “certificato di idoneità” per fare il padrino al battesimo e alla cresima è poi del tutto particolare. In una parrocchia grande come la mia, con una popolazione spesso di passaggio, mi capita sovente di dover “certificare” l’idoneità di persone che non conosco neppure, magari appena arrivate o che dicono di frequentare altre parrocchie. Il più delle volte sono semplicemente imbarazzato e irritato.

Quello dell’“idoneità” rimane un criterio molto vago. Non raramente mi sono trovato di fronte a situazioni contraddittorie: qualcuno doveva scegliere tra un padrino “regolare” ma che non offriva nessun tipo di garanzia di vita spirituale significativa (il nonno decrepito che abita a mille km di distanza, o la cuggina tamarra regolarmente battezzata e cresimata) e una sorella “irregolare” ma che viene ogni domenica a messa e ha un cammino di fede incidentato, difficile ma continuo e consapevole. Al riguardo, io non ho mai avuto dubbi sulla scelta: so che il diritto canonico mi dà torto, ma penso che un rimando serio alla coscienza, mia e del soggetto in questione, sia assolutamente da preferire. A volte sembra che, nella Chiesa, il diritto canonico abbia preso il sopravvento sul discernimento pastorale.

Ma, torniamo ai certificati. Gli episodi citati sono solo gli ultimi di una lunga serie di timbri, carte, bolli e sigilli che infestano ogni giorno la mia vita di parroco: certificati di battesimo, di cresima, di preparazione al matrimonio e ai sacramenti, permessi per celebrare gli stessi in altra parrocchia, permessi per frequentare il catechismo altrove, stato libero religioso alla presenza di testimoni improbabili ecc. ecc. Le mie segretarie cercano di barcamenarsi come possono ma il più delle volte mi chiamano in soccorso per dirimere le questioni.

Capisco la necessità di procedimenti che diano ordine e che siano minimente seri, che diano alcune garanzie rispetto a sacramenti che chiedono di essere ben celebrati. La situazione si è fatta intricata anche per il grande tasso di mobilità che vivono le nostre parrocchie e i nostri parrocchiani. Una volta chi nasceva e moriva nella stessa parrocchia era ben conosciuto ed era più semplice basarsi sulla parola e sulla coscienza personale. Oggi non è più così. Ma il rischio è che l’aspetto burocratico prenda il sopravvento e diventi preponderante rispetto alla sostanza. È triste vedere i fidanzati tutti presi dalla ricerca dei certificati da produrre e poco concentrati sulla preparazione della celebrazione vera e propria.

Sempre riprendendo il caso dei certificati di idoneità, mi sembra che il confratello che li chiede voglia semplicemente lavarsi le mani. Suo sarebbe il compito di un discernimento pastorale da fare con i soggetti interessati, interagendo con la loro coscienza e prendendo le opportune decisioni. Rimandare a me è come scaricare la responsabilità.

Senza contare che finiamo col dare un’immagine di Chiesa molto più attenta alla forma che alla sostanza, e a creare un’ulteriore barriera e ostacolo alla fede già fragile di chi si accosta alla parrocchia per dei sacramenti. Ma mi fermo qui: non voglio prendermela con i confratelli ed esprimere giudizi sul loro operato. Meglio riflettere su come penso di comportarmi io in queste circostanze.

Quando riesco a superare l’irritazione momentanea per l’ennesima richiesta di un certificato di idoneità magari fatta in orari improbabili e all’ultimo momento, capisco che la mossa migliore è un gioco al rilancio. Mi è capitato più volte: esprimere il mio disagio circa il profilo burocratico e impersonale ha come effetto quello di incrociare la sensibilità dell’interlocutore. Questa inaspettata sintonia dà il via ad un dialogo più profondo e mi permette di entrare più da vicino nella storia, nella coscienza e nelle ragioni di chi mi sta di fronte. Alla fine tutto si concentra in una questione di fiducia. Io non posso fare altro che fidarmi delle ragioni addotte da chi mi sta di fronte, lui nei miei confronti guadagna una fiducia legata ad un rapporto non formale. A questo punto posso anche cercare di far comprendere che ciò di cui si tratta sono beni preziosi, degni di essere presi seriamente, e forse anche un “certificato” ha il suo senso, se preso come assunzione di responsabilità e impegno. Penso che, all’interno di questo intreccio tra fiducia interpersonale e presa di coscienza della serietà dell’impegno, ci stiano sia il rispetto delle forme che le eccezioni possibili.

Devo ogni volta riprendere con più serietà io stesso le pagine di Vangelo nelle quali Gesù ci viene mostrato in polemica con le leggi e le norme della pratica religiosa del tempo. Lui sapeva coniugare una grande fedeltà allo spirito della legge con una grande libertà nell’accostarsi ad essa. E se, da una parte, diceva che «non passerà neanche uno iota» della legge dei padri, dall’altra, non cessava di rimandare ad un «ma io vi dico» che andava ben al di là della legge stessa.

Io non sono Gesù e rischio ogni volta nei due sensi: a volte mi permetto una libertà che sfiora l’arbitrio, in altre mi attacco rigidamente alle norma per non rischiare nel discernimento. Stasera chiedo il dono di uno spirito libero e coerente, sapendo che Dio “certifica” in ogni caso quel po’ di bene che passa attraverso le mie mani

don Giuseppe

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