I ruoli nella comunità /2

di:

nardello1

Una delle difficoltà più significative nella vita di un pastore è quella di mettere insieme la capacità di accogliere le persone, rispettando il loro vissuto e le loro scelte, con la necessità di operare un discernimento sul loro stile di vita alla luce del Vangelo.

In altri termini, un ministro ordinato deve dimostrarsi accogliente e comprensivo ma, nello stesso tempo, non può venir meno al suo compito di guida, anche quando questo comporta l’assumere posizioni ferme e chiare nel deprecare comportamenti non in linea con le esigenze della vita cristiana.

La qualità dell’accoglienza

A volte, poi, la difficoltà è ulteriormente alimentata dal fatto che la vicinanza a persone in situazioni di grave immoralità o che hanno vissuti fortemente problematici può impattare molto pesantemente sulla vita di un pastore, sia sul piano psicologico che spirituale, al punto che questi può sentire il bisogno di allontanare tali persone per custodire la propria identità e i propri valori.

Forse per queste ragioni tanti individui in situazioni complicate fanno fatica ad accostarsi ad un ministro della Chiesa, come se fossero convinte di non poter ricevere nulla di più di uno sbrigativo giudizio di condanna, o temessero di metterlo in imbarazzo o addirittura di scandalizzarlo.

Su questa complessa questione Gregorio Magno ha una parola importante da offrirci. Nella sua Regola pastorale scrive: «La guida delle anime sia vicino a ciascuno con la compassione e sia più di tutti dedito alla contemplazione, per assumere in sé, con le sue viscere di misericordia, la debolezza degli altri, e insieme, per andare oltre sé stesso nell’aspirazione delle realtà invisibili, con l’altezza della contemplazione. E così, se guarda con desiderio verso l’alto, non disprezzi le debolezze del prossimo o se viceversa, si accosta ad esse, non trascuri di aspirare all’alto. […]

Poiché la carità si eleva a meravigliosa altezza quando si trascina con misericordia fino alle bassezze del prossimo, e con quanto maggior benevolenza si piega verso le infermità tanto più potentemente risale verso l’alto. Coloro che presiedono si mostrino tali che quanti sono loro soggetti non arrossiscano di affidar loro i propri segreti, affinché, quando si sentono come bambini nella lotta contro i flutti delle passioni, ricorrano al cuore del Pastore come al seno di una madre; e col sollievo della sua esortazione e le lacrime della sua preghiera lavino le impurità della colpa che preme e minaccia di contaminarli» (Regola pastorale, II, 5).

Contemplazione e compassione

Secondo Gregorio Magno, dunque, il pastore deve essere compassionevole, cioè essere vicino alle persone senza mai disprezzare le loro bassezze. Questa compassione, però, deve essere completata dalla contemplazione, cioè dal pregustare nella preghiera le realtà invisibili, ovvero quella vita che Dio ci darà al termine del nostro pellegrinaggio terreno e che in qualche modo è già possibile sperimentare fin d’ora in virtù dell’azione dello Spirito Santo. I due atteggiamenti devono stare insieme perché si sostengono a vicenda.

È importate notare, però, che, se la contemplazione è fondamentale per custodire il pastore nella sua identità evangelica, anche la compassione lo santifica. In altri termini, l’accoglienza misericordiosa delle persone non è un’attività che, pur necessaria, è pericolosa per la propria vita spirituale, e che quindi deve essere risanata dalla preghiera. Al contrario, la carità che si piega con benevolenza verso le infermità del prossimo eleva verso l’alto, cioè è fonte di santificazione per il pastore esattamente come la contemplazione, pur non potendo prescindere da questa.

Come accogliere

Nello stesso tempo, il citato passaggio di Gregorio sottolinea quasi le caratteristiche di un autentico stile di accoglienza. Questa dev’essere caratterizzata dall’assenza di disprezzo per le miserie del prossimo, cosa che rende il pastore una persona a cui si possono confidare senza vergogna anche gli aspetti meno nobili del proprio vissuto. In effetti, si possono accogliere le persone in modo formalmente corretto, ma con uno stile che pregiudica la qualità di tale accoglienza.

Ad esempio, si può accogliere qualcuno semplicemente pensando di fare il proprio lavoro. Lo si ascolta e si dice quello che il proprio ruolo pastorale richiede di affermare, aspettando che il tempo del colloquio finisca per poi dedicarsi a cose di maggior interesse. È ovvio che un’accoglienza non empatica come questa, in cui il vissuto dell’altra persona viene accostato in modo cordiale ma in fondo disinteressato, non serve a nessuno.

Vi è poi lo stile di chi si sente così in difficoltà davanti a certe scelte di vita immorali o vissuti devastati che sente il bisogno di rimettere immediatamente le cose a posto, senza permettere ad una persona di esistere così com’è, anche con le sue scelte più sbagliate o più drammatiche. In questo caso l’ascolto non è che una breve parentesi, perché il dialogo si trasforma rapidamente in correzione e in reiterati inviti a cambiare vita.

Non è scomparso del tutto, poi, lo stile del giudizio adirato, caratteristico di un certo modo passato di presiedere la celebrazione del sacramento della penitenza, con il quale si umilia la persona per le sue colpe, nella convinzione che in questo modo ci penserà bene prima di tornare a peccare. In realtà, ci penserà bene prima di tornare a confessarsi.

L’atteggiamento di benevolenza a cui allude Gregorio è quello che sa accogliere le persone con le loro bassezze in modo empatico, così che queste possano aprire fino in fondo il loro cuore con serenità e fiducia, e che poi le aiuta a fare un passo avanti a partire dalla situazione in cui si trovano. Questa capacità è fondamentale per un pastore.

Si arriva però a questa meta esercitandosi a vivere sia la carità, cioè a coinvolgerci con il vissuto anche drammatico delle persone, sia la contemplazione, nella quale si fa esperienza della potenza di Dio e del fatto che, al di là di tutto quello che può essere successo, egli non smette mai di aprire ai suoi figli strade possibili di conversione e di vita.

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