Se Grillo salta nell’“Avvenire”

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Il fatto che Avvenire, il giornale cattolico per definizione, abbia deciso di dedicare una pagina intera alla narrazione di Beppe Grillo secondo se stesso è certamente da segnalare come una notizia importante.

Nel recente passato l’avvento dei leaders che si sono avvicendati alla guida dell’Italia è stato diversamente trattato su quelle colonne. Berlusconi ebbe un’accoglienza calorosa, se non festosa, per via del suo richiamo all’anticomunismo quando il comunismo era già sepolto. Non serviva a scongiurare quella minaccia, ma un’altra ritenuta egualmente pericolosa: quella di un centrosinistra che voleva riformare il paese. E allora si fece valere la credenziale “cattolica” di una zia suora…

Al suo antagonista, Romano Prodi, viceversa, si fece scontare l’aggettivo che aveva usato per connotare la sua provenienza: «cattolico adulto» aveva detto, in sintonia con il Concilio: e la cosa gli procurò tanta popolarità alla base quanta diffidenza e ostilità ai vertici ecclesiastici.

intervista ad Avvenire Grillo

Le interviste incrociate

Che io ricordi, ad ogni modo, nessuno dei due ebbe la possibilità di rivolgersi direttamente – pensieri, intenzioni, progetti – ai lettori-elettori di un popolo di credenti che era frastornato dalle traversie di tangentopoli.

Ed erano evidenti le irresolutezze di una gerarchia che, ancorata all’abitudine dell’unità in politica, non riusciva ad immaginare il proprio ruolo in un contesto di sempre più esteso pluralismo culturale.

Rispetto a questi precedenti il trattamento riservato a Grillo è doppiamente innovativo: c’è, su Avvenire, il dialogo del comico-politico con due redattori del giornale e c’è, su un altro foglio, il Corriere della Sera, una… intervista sull’intervista rilasciata dal direttore, Marco Tarquinio. Che, in presa diretta, spiega le (buone) ragioni per cui è stata presa la decisione di intervistare il fondatore del Mov5stelle.

Il quale recita con disinvoltura la propria parte nel colloquio diretto rispondendo con diligenza e precisione alle domande che gli vengono rivolte. Che in larga misura sono, va notato, quelle giuste, al netto di quel tasso minimo di cortesia omissiva che è d’obbligo quando si chiede il parere di una personalità di riguardo.

Il “fenomeno naturale”

Nell’intervista ad Avvenire Grillo dice cose interessanti e anche godibili, sforzandosi di non apparire reticente sui punti più scabrosi. Ma è proprio l’andamento… pianeggiante del dialogo che non appaga il desiderio di saperne di più. Anche perché nessuno è tenuto a rispondere a domande che non vengono fatte.

Che cosa leggere, per esempio, nell’affermazione per cui, secondo il Mov5stelle, «non esiste una strategia per arrivare a palazzo Chigi», perché si immagina questo risultato «come un auspicabile fenomeno naturale, generato da gente decisa a scendere sulla terra, lontano dagli incantesimi degli agnellini salvati da Berlusconi o dalle palle seriali che vengono dal partito ora al governo»?

Che vuol dire «fenomeno naturale»? Si pensa davvero che un avvicendamento al potere possa avvenire in una forma sostanzialmente omeopatica in cui il consenso ad una parte si realizza di pari passo con il crescere della disaffezione verso la parte prima preferita?

Quale democrazia?

Qui, dal fautore massimo della democrazia diretta, bisogna pretendere più di qualche slogan. Proprio perché è decisivo il passaggio dalla democrazia rappresentativa (quella che conosciamo, pratichiamo e critichiamo) ad un’altra forma presuntivamente più evoluta e più efficace, è necessario che i concetti e le scelte siano messi in chiaro.

Come si intende realizzare la commutazione del sentimento popolare nella sostanza di un indirizzo politico che resti espressione libera della sovranità? Il ricorso al sussidio del «Pericle elettronico» – l’affidamento cioè alla decisione per via informatica – è solo una variante più veloce della consultazione democratica o pretende di sostituirla?

E quale destino attende il sistema delle garanzie (del voto e delle procedure elettorali) che ha connotato la fatica della costruzione dell’esperienza democratica come noi la conosciamo; o è qualcosa di diverso?

E quale è il ruolo di chi, nel procedimento informatico, è addetto a formulare e aggiornare i quesiti sui quali richiedere le risposte dei cittadini? E chi sono i cittadini: l’intero corpo elettorale oppure soltanto coloro che si aggregano nella formazione che esercita il potere?

In sintesi, il meccanismo democratico va definitivamente archiviato oppure va reimpiantato, riadattato ma con gli stessi fini, nel mutato contesto a dominio tecnologico?

Rifarsi alla Costituzione

Non sono questioni complicate: basta stabilire con certezza chi ha il diritto di voto e come lo manifesta in condizioni di parità con tutti gli altri titolari. E proprio per questa via si può giungere a configurare un’organizzazione delle modalità della formazione della volontà politica che passa attraverso quella configurazione giuridica dei partiti che è una delle sezioni più trascurate della Costituzione.

Alla Costituzione, del resto, ci si può e ci si deve richiamare anche per altri aspetti di contenuto che nella Carta sono e rimangono scritti, anche se c’è qualcuno che oggi pretende di averli scoperti per illuminazione superiore.

La matrice del «reddito di cittadinanza» di cui tanto parlano i grillini è ben visibile nella formula dell’art. 36, insieme al principio del «salario familiare» e anche – perché non rilevarlo? – al diritto irrinunciabile al «riposo settimanale» e alle «ferie retribuite».

Un’entità politica può ben vantarsi di essere “nuova” ma non lo è mai al punto da fare a meno dei richiami del passato. Così, altro esempio, l’idea del “lavorare meno, lavorare tutti”, che oggi è brandita come l’insegna di una nuova lotta alla disoccupazione, venne variamente propugnata da alcuni sindacati e da movimenti di estrema sinistra già nella seconda metà del secolo scorso. Con esiti non esattamente brillanti.

Interessa i cattolici

Decisivo è comunque il richiamo alla centralità del tema democratico sia nelle antiche che nelle nuove versioni. Esso non è una rivisitazione fuori registro delle dottrine liberaldemocratiche. Il tema interessa in modo precipuo anche i cattolici ed è bene non dimenticarlo.

Leggendo l’intervista parallela del direttore di Avvenire si trovano molte sottolineature di alcune sensibilità dei 5Stelle convergenti con valori e istanze che i cattolici hanno variamente propugnato. In particolare, si concede grande attenzione alla posizione dell’on. Di Maio a sostegno dell’iniziativa contro l’apertura domenicale dei centri commerciali. Più in generale, si nota che sui grandi temi, specie il lavoro e la povertà, c’è una larga convergenza. Giusto rilevarlo, salvo approfondimenti. Meno convincente, invece, la segnalazione di una qualche affinità sul «valore della partecipazione», materia non ancora definita negli stessi canoni di Grillo e dei suoi.

La materia richiede attenzione. Nella storia delle vicende cattoliche – e non solo in Italia – è accaduto più d’una volta che l’apprezzamento per una specifica posizione di un partito (ritenuta più omogenea con un’istanza religiosa) abbia lasciato in secondo piano altre istanze più generali e pur decisive.

Il valore pregiudiziale

E qui ritorna in modo dominante il tema della democrazia come condizione pregiudiziale della qualità di ogni scelta.

Per difendere la democrazia Alcide De Gasperi seppe scegliere tra l’alleanza con le forze laiche e il richiamo clerico-fascista. Per lo stesso fine Aldo Moro percorse la difficile via della solidarietà nazionale, pagando tale scelta con la stessa vita.

Una tensione tra alcune delle «istanze cattoliche» più frequentate (dall’antica preoccupazione per l’«ordine» ai più recenti «valori non negoziabili») e la promozione della democrazia è rilevata come una costante storica da studiosi come Pietro Scoppola e altri.

Verso le cose nuove

Che senso ha tutto questo? Non certo l’incitamento al rifiuto o allo scontro o la negazione dell’attenzione verso le cose nuove di questo secolo ormai avviato e, tra esse, in Italia, la vicenda di un comico che si è messo ad agitare questioni terribilmente serie facendosi animatore di un movimento di massa in cui si ritrovano molti cattolici.

Così come molti altri credenti, ma non da oggi, si… spalmano nel voto sull’intera gamma delle offerte politiche in campo.

Convivere con la realtà del pluralismo esercitando in tutte le direzioni una provocazione di radicale umanizzazione o ricercare, di volta in volta, di elezione in elezione, la collocazione più conveniente?

Ieri il sostegno all’agenda Monti e il confuso assemblaggio delle sigle radunate a Todi, oggi un’inedita apertura di credito che si presenta più ricca di incognite che di certezze?

La questione va chiarita rapidamente e in modo trasparente e mette in crisi le perduranti incertezze che attraversano il popolo di Dio in tutte le sue componenti.

Il voto e l’anima

«Meglio perdere un voto che un’anima» era la cifra della saggezza pastorale ai tempi della “scomunica” ai comunisti.

Questo atteggiamento va mantenuto e coltivato anche in un contesto articolato come quello attuale. Ma può esserlo solo se non si confondono e mescolano le carte, ciò che avviene inevitabilmente quando uno dei soggetti non cerca solo valori ma anche e soprattutto voti per il potere.

Non è dato sapere quali saranno i seguiti dell’episodio descritto in queste note. È da auspicare che i suoi sviluppi vengano sottratti agli ondeggiamenti delle vicende politiche ed elettorali. E può giovare in proposito il monito di Luigi Sturzo dopo il Patto Gentiloni (l’alleanza elettorale dei cattolici con i moderati giolittiani nel 1913) e cioè che in certi casi la Chiesa ritiene di divenire più forte ma in realtà si sottomette al volere degli alleati.

L’unico desiderio che si può manifestare è che stavolta si apra davvero nell’area cattolica un dibattito schietto e libero nel quale anche il giudizio sulle proposte in campo, incluse quelle dei Cinquestelle, trovi un riscontro rigoroso tanto nel richiamo ai valori quanto nell’apprezzamento delle circostanze storiche.

Farebbe bene a tutti i soggetti in contesa e, soprattutto, scoraggerebbe le tentazioni di improvvisare soluzioni basate su valutazioni parziali e/o unilaterali dei fatti e delle tendenze.

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