Heinrich Böll e la “trummerliteratur”

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«C’era stata la guerra per sei anni, noi tornavamo da quella guerra e trovavamo delle macerie… noi non avevamo gli occhi bendati e le vedevamo: avere occhi buoni è uno dei requisiti di chi scrive».

Così rispondeva Heinrich Böll a chi lo definiva, in maniera riduttiva, esponente della “letteratura delle macerie”, un movimento letterario nato in Germania al termine della Seconda guerra mondiale.

Ricorre nel dicembre di quest’anno il centenario della nascita del grande scrittore di Colonia, premio Nobel nel 1972, morto nel 1985.

È tra gli intellettuali tedeschi che non si sottrassero al difficile e doloroso confronto con la memoria del nazismo, con le sue devastanti conseguenze e con i relativi sensi di colpa; fu anche tra quelli che si scagliarono con decisione contro l’opulenza e il capitalismo seguito alla ricostruzione.

Uno scrittore che incarna una memoria drammatica segnata dall’indelebile trauma della Germania hitleriana, ma che, nello stesso tempo, è capace di affermare, talvolta contro ogni evidenza, persino contro ogni speranza, un’indistruttibile speranza di amore per l’uomo.

Heinrich Böll

I temi

La narrativa di Heinrich Böll è riconducibile a tre grandi temi: quello, molto amaro, dei ricordi bellici; lo smarrimento e la lenta ripresa dopo la guerra; infine il racconto del miracolo economico, il culto del benessere e l’umiliazione e l’emarginazione dei poveri.

Amore, rabbia, il coraggio e l’amarezza della denuncia civile, una fede libera e profonda in Gesù Cristo sono cifre caratteristiche di tutta la sua opera. Una produzione copiosissima, tra romanzi e saggi, che conta capolavori indiscutibili della letteratura del ’900.

Una scrittura attaccata alla realtà, senza troppi orpelli, nello stesso tempo rude, dolce, poetica, spietata. Una parola volutamente povera, per essere pronunciata sui poveri.

Gli scritti

La sua carriera di scrittore inizia appena terminato il conflitto, nel 1947, con una serie di racconti brevi pubblicati da alcuni giornali. Due anni dopo esce il suo primo romanzo: Il treno era in orario. Si respira in queste pagine sofferte la vivida memoria della guerra, esperienza vissuta in prima persona dal giovane Heinrich Böll, arruolato a forza nell’esercito, schierato su diversi fronti, più volte ferito e fatto prigioniero dagli americani.

Un romanzo breve, sobrio e intenso, il canto di amore e di morte di Andreas, un soldato che va incontro consapevole alla fine. Terrore, tristezza, rimpianto di una vita mancata lo assalgono. L’orrore della guerra riflesso nel volto, più ancora nell’anima dei suoi compagni di viaggio, lo porta a chiedersi «non è una pazzia che il sole splenda su questo cumulo di orrori?». L’ultima notte della sua vita incontra Olina, una ragazza polacca che si prostituisce per carpire informazioni al nemico. Due povertà che si uniscono, la scoperta e la sorpresa dell’amore capace di trasfigurare la vita anche in prossimità della morte. È visibile, non in filigrana, uno dei temi ricorrenti dell’intera opera di Heinrich Böll: neanche le tenebre più oscure e indicibili possono oscurare la pietà umana.

Cristianesimo silenzioso

Indimenticabile «E non disse nemmeno una parola», romanzo riconducibile direttamente al filone della “trummerliteratur”, la letteratura delle macerie provocate dal più terribile e feroce conflitto della storia. Un universo abitato da personaggi distrutti interiormente dalla guerra che continua la sua opera oscura anche quando è finita. I reduci, in preda a incubi e ossessioni, vagano tra le macerie come spettri, incapaci di vivere una vita ordinaria. Il protagonista del romanzo, Fred Bogner, è tornato dalla Russia, irriconoscibile anche a se stesso. Vaga senza meta nei dintorni della stazione della città, si ferma in squallide bettole e con quel poco che ha beve, per stordirsi. È la triste realtà dei reduci attaccati a bisogni primari che consentono l’esistenza: un pasto, possibilmente caldo, un giaciglio dove sprofondare nel sonno, la carezza di una donna. Fred è un uomo di mezza età, impiegato come telefonista presso la curia arcivescovile, ha una moglie e due figli. Lo squallore delle condizioni di vita alle quali è costretto e la fragilità dei suoi nervi scossi lo portano, talvolta, a perdere il controllo. La vergogna lo fa scappare di casa: non può sopportare le sue azioni, che non riesce a trattenere ma che non lo rappresentano, ma soprattutto lo sguardo della moglie, Kate.

Fred si sente un vinto e si abbandona allo squallore delle bettole, lo straniamento aumenta la nostalgia di casa, specialmente di sua moglie. In un’anonima stanza di albergo, dove si incontrano, Fred e Kate comprendono la bellezza profonda del matrimonio. Fred torna finalmente a casa con la sua Kate, gigantesca figura che sogna di ballare col marito e si profuma prima di incontrarlo. È grazie al silenzio di Kate, pieno di comprensione e lontano dal giudizio, colmo di sofferenza e di amore, che il ritorno è possibile. L’atteggiamento della donna sottolineato dal titolo, intende rimandare a un segno cristico: come Gesù, Kate soffre, ama, redime senza dire nemmeno una parola. Sono i cristiani autentici che non appaiono, ma fanno. È uno dei temi più sentiti di Heinrich Böll: il cristianesimo non è quello farisaico che si mostra e non è; tantomeno quello che va a braccetto col potere politico, quasi una religione sociale, fatta di un creduto buon senso e di una ritualità vuota. È quello del Vangelo che scandalizza i benpensanti, di coloro che non adattano la Scrittura sulla linea della propria convenienza o al proprio credo, che non pongono innanzi alle questioni che coinvolgono gli uomini la garanzia del proprio benessere, che non sbandierano la fede a sostegno delle proprie convinzioni politiche.

Cristianesimo consapevole

In Lettera a un giovane cattolico, un piccolo saggio contenuto nel purtroppo introvabile volume Rosa e dinamite, Heinrich Böll si scaglia con veemenza contro la contiguità della Chiesa col potere politico e la morale borghese con la quale non si può compromettere. «Per essere cattolici si deve realizzare innanzitutto il comandamento dell’amore verso il prossimo, l’essenza della morale cristiana è tutta riconducibile a questo».

Un documento che svela bene il pensiero dello scrittore da una parte intento a demolire un cattolicesimo legato a norme e tradizioni e attento, dall’altra, alla costruzione di una coscienza cristiana, autentica, riferita alla Parola. Un atteggiamento consapevole, come scrive, appena ventiquattrenne alla fidanzata: «Noi avremo il compito di preservare il patrimonio cristiano per la Germania; credo che andiamo incontro a un tempo in cui senza mezzi termini e con tinte apocalittiche assumeremo per il resto del mondo il ruolo di pazzi» .

Emblematico, per la critica al miracolo economico seguito alla ricostruzione, è il famoso e molto citato Opinioni di un clown. Hans Schnier, il protagonista della storia, è il rampollo di una ricca famiglia d’industriali. Per fuggire al suo mondo, e per irriderlo, decide di fare il clown. Provato da una crisi artistica torna a nella sua Bonn dove trova gelida accoglienza, ipocrisia perbenista e imbarazzante pietismo.

È perdutamente innamorato e fedele a Maria, la quale gli preferisce un uomo più rispettabile e compatibile con “l’aria cattolica”. Hans, il clown fedele a se stesso che fa collezione di attimi, nella intensa, ultima pagina del romanzo, sistema a terra il cappello per raccogliere le offerte e continua per la sua strada. «Mi spaventai quando la prima moneta cadde nel cappello: era un soldo, colpì la sigaretta, la sospinse troppo da parte. La rimisi al posto giusto e ripresi a cantare».

Denunciatore denunciato

L’attacco al sistema capitalistico della società borghese si fa ancora più violento. La forza del romanzo è nella sua forma che non assume mai toni predicatori e apocalittici, la sua voce sembra piuttosto quella di un testimone che non può tacere quello che vede.

Le dure, spesso impietose, critiche alla Chiesa cattolica e le sue opinioni politiche manifestate, in piena guerra fredda, con la solita provocante chiarezza, contro la corsa agli armamenti, apprezzate dall’Unione Sovietica, gli attirano molte antipatie.

Il disappunto espresso contro la dura politica repressiva del governo tedesco negli anni segnati dalla banda Baader Meinhof e l’attacco alla stampa di destra per come tratta il terrorismo, gli valgono l’accusa di marxismo e di essere amico dei terroristi, accuse facilmente smontabili per le denunce, senza mezzi termini, del comunismo reale.

La vicenda sottolinea la libertà di pensiero di un intellettuale che non esita a prendere posizione contro gli idoli di sempre, qualsiasi nome assumano: devozione, democrazia, miracolo economico, obbedienza , ordine ma anche, come si è visto, religione e patria.

Il suo pensiero, sempre influenzato dall’educazione cattolica e pacifista, è orientato a una fede profondamente centrata su Cristo «l’unico fratello che abbiamo mai avuto» e non intende altre vie che quelle di vivere nell’orizzonte del suo avvento.

Distanze e abbandono

Impossibile non citare, infine, Foto di gruppo con signora, pubblicato nel 1971, un anno prima il conferimento del premio Nobel per la letteratura.

Il romanzo è la rappresentazione della storia della Germania dagli anni Venti del Novecento, fino agli anni Sessanta, attraverso la storia della protagonista Leni Grutyen, donna con forti valori di riferimento che vive con smarrimento, in contrapposizione al capitalismo sempre più imperante.

Comprendere la storia, consapevole di farne parte è un tratto fondamentale di Heinrich Böll, uno scrittore di strada che vive e opera all’aperto, non chiuso nel suo studio. Ha sempre mantenuto un vivo contatto con il reale e preso parte e posizione rispetto a problemi politici, non solo tedeschi. Il sofferto rapporto con la Chiesa cattolica lo porta ad abbandonarla, senza rinnegare la fede e solo nel teologo Karl Rahner ritrova un punto di riferimento.

L’eredità dello scrittore rimane attuale. Un’opera che interroga sempre i fondamenti etici dell’uomo, che registra la loro corruttibilità, che richiama alla vigilanza. Un’opera che rimanda la suggestione e il fascino dell’incompiuto della natura umana e il desiderio di arrivo e compimento, che solo in un orizzonte più grande, la fede, può essere placato.

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