Morto il vescovo più anziano d’Italia

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Don Dante Bernini, vescovo emerito della diocesi di Albano, già presidente della Commissione Giustizia e pace della CEI e già membro della COMECE (Commissione degli episcopati della Comunità europea), è stata una delle figure più illustri dell’impegno di pace, solidarietà, nonviolenza. Ci ha lasciati lo scorso 27 settembre all’età di 97 anni.

Venerdì 27 settembre 2019 è morto nella sua casa di La Quercia, a Viterbo, monsignor Dante Bernini che il 20 aprile di quest’anno aveva compiuto 97 anni ed era il vescovo più anziano d’Italia.

Don Dante Bernini, già vescovo emerito di Albano, è stata una figura significativa per tante persone, in particolare per tanti preti della diocesi di Viterbo e non solo, che lui aveva educato e cresciuto nella fede come rettore del Pontificio seminario maggiore della Quercia negli anni ’60 e ’70, prima di essere nominato, nel 1971, vescovo ausiliare di Albano e poi titolare della diocesi di Velletri nel 1975.

È tornato ad Albano da vescovo ordinario nel 1982, rimanendoci fino al 13 novembre 1999. Per tanti anni è stato quindi «il vescovo dei papi», come amava definirsi scherzando, dato che nella sua diocesi c’è la residenza estiva dei papi. Nel luglio di quest’anno, quando inaspettatamente ha ricevuto la gradita telefonata di papa Francesco, tra le varie cose che si sono detti anche quella che «offriva la sua vita» per la difficile missione di pontefice. Il giorno e la data di quel colloquio, don Dante l’ha scritta in grande su un foglio appeso davanti al suo letto: 22 luglio, ore 19,15.

Nonostante i suoi 97 anni e la malattia, che soprattutto in quest’ultimo periodo lo obbligava a sottoporsi a pesanti cure, don Dante è stato sempre vigile e pronto a rispondere al telefono e alle mail delle tantissime persone che lo hanno sempre cercato e stimato, fino alla fine. La sua semplice casa natale della Quercia era diventata un punto di riferimento costante per tanti degli ex giovani che lo avevano conosciuto come insegnante e rettore del seminario, e che hanno continuato a considerarlo la loro guida spirituale. Qualcuno di loro scherzando, diceva che «alla Quercia ci sono due santuari: quello della Madonna (La Quercia è un importante santuario mariano, caro ai viterbesi) e la casa di don Dante».

Per tutti, credenti e non, era rimasto “don Dante”, il geniale insegnante di matematica e fisica del seminario, poi nominato rettore, che aveva formato generazioni di preti e di buoni laici non solo del viterbese, ma anche del resto del Lazio e della Toscana.

Da vescovo di Albano si era fatto benvolere per la sua umiltà e disponibilità a dialogare con tutti, ma soprattutto per l’attenzione alle persone più deboli e bisognose. Non è un caso se, nel 2018, la diocesi di Albano abbia inaugurato una struttura a favore dei padri separati, e l’abbia intitolata “Casa di Accoglienza mons. Dante Bernini”.

Anche il suo impegno a favore della pace è stato sempre costante, non solo come presidente del Commissione Giustizia e pace della CEI, ma anche in seguito.

Uomo di profonda cultura e grande fede, don Dante lascia un ricordo indelebile in tutti quelli che lo hanno conosciuto.

Una delle cose che mi hanno sempre molto colpito di lui è la sua curiosità, in particolare nel settore scientifico, tenendosi sempre aggiornato, e la sua profonda umanità e umiltà, attento a non dare importanza all’esteriorità e a cogliere l’essenziale in tutto e in tutti.

Tra i tanti “fioretti” che ricordo di lui ce ne è uno che penso sia completamente sconosciuto, e riguarda proprio il giorno della sua consacrazione episcopale,# avvenuta a La Quercia l’8 dicembre 1971.

Dopo la cerimonia, piantando tutto e tutti, con molta discrezione mi ha chiesto se potevo accompagnarlo in macchina al cimitero perché voleva «far vedere alla mamma l’anello episcopale», che teneva avvolto in un fazzoletto.

Don Dante era così, un grande uomo di Chiesa, capace di gesti molto semplici, ma che sapeva anche dare la priorità giusta alle cose. Fino all’ultimo, tutte le telefonate che faceva o riceveva, chiedeva espressamente che terminassero con una preghiera: il Padre Nostro o l’Ave Maria. Anche quella con papa Francesco è terminata così.

In un’intervista di qualche anno fa pubblicata in Se Vuoi n.2/2016 ‒ la rivista delle Apostoline di Gastelgandolfo di cui don Dante era grande amico ‒ rispondeva così a dei giovani di Albano che erano andati a trovarlo e gli avevano chiesto come rendere la vita significativa: «Nella vita dobbiamo cer­care di essere: 1. Attenti; 2. Intelligenti; 3. Ragione­voli; 4. Responsabili; 5. In­namorati. È l’itinerario che vorrei consegnarvi; è l’eredità che adagio ada­gio siamo chiamati a crea­re in ciascuno di noi. Queste parole le riprendo da Bernard Lonergan, un gesuita canadese, filosofo, teologo, economista. Nella vita sono infatti chiamato a essere attento a ciò che mi circonda, alla realtà, alle persone; intel­ligente, capace di legge­re dentro gli eventi; ra­gionevole, capace dì leg­gere in concordanza di un passato, di un presen­te e di un futuro; respon­sabile di quello che ac­cade nel mondo, nell’u­manità, nella storia; e, per ultimo, innamorato di questa storia, anche se questa storia è fatta qual­che volta di lacrime e di sangue, piuttosto che di sorrisi e di pace».

Questo era mons. Dante Bernini, un grande testimone di umanità e di fede, fino alla fine.

Grazie di tutto, don Dante e da lassù, prega per noi.

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