Ramadan

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La sera di martedì 13 aprile è iniziato per i musulmani il mese di digiuno del Ramadan e terminerà il 12 maggio prossimo.

Questo evento cade nel nono mese dell’anno lunare islamico, ed è uno dei cinque pilastri della loro religione accanto al pellegrinaggio alla Mecca, ai tempi della preghiera quotidiana, alla professione di fede in Allah come unico Dio e all’elemosina. Il Ramadan si conclude con una festa di tre giorni che segna la fine del digiuno, in arabo ’Id al Fitr.

Il digiuno ha lo scopo di mettere in risalto che la dedizione di sé a Dio ha un valore superiore ai bisogni umani. Il Ramadan è anche il mese dell’amore al prossimo e delle buone azioni.

L’inizio del mese di digiuno dipende dal momento in cui appare la nuova falce di luna. Secondo la tradizione islamica, il Ramadan ricorda la rivelazione del Corano da parte dell’arcangelo Gabriele al profeta Maometto.

Questo evento si ritiene sia accaduto durante la cosiddetta Notte di Qadr (Notte in cui è sceso il Corano), il 27 del mese di Ramadan.

Tra l’inizio dell’alba e il tramonto, ai musulmani è vietato mangiare, bere, fumare e avere rapporti sessuali. Il digiuno si conclude quotidianamente con la cena in comune. I fedeli si incontrano spesso la sera per pregare insieme o recitare a casa le sure del Corano. Sono esclusi dall’obbligo del digiuno solo coloro che si trovano in viaggio, le donne incinte, le madri che allattano, i bambini, i malati e gli anziani.

Il digiuno con significato religioso non è solo un fenomeno musulmano. I cristiani osservano un digiuno di 40 giorni prima della Pasqua. I fedeli delle Chiese orientali osservano quattro tempi di digiuno durante l’anno liturgico. Anche nel buddismo c’è una tradizione di digiuno.

Intervista al professor Mouhanad Khorchide

Il teologo musulmano Mouhanad Khorchide (responsabile del Centro di teologia islamica a Münster, Germania), in un’intervista all’emittente cattolica DomRadio di Colonia, – raccolta da Katharina Geiger – ha spiegato il significato del digiuno del Ramadan e qual è il modo più consono per incontrarsi in questo tempo di pandemia.

– Prof. Khorchide, come si prepara personalmente al Ramadan? C’è qualcosa da fare prima o è necessario mangiare di più?

Non mangiare, al contrario: alla fine uno è contento di aver perso qualche chilo. Ma ci si prepara, almeno sbrigando le cose più importanti prima del Ramadan, per vivere il mese in modo più spirituale e contemplativo possibile. Io considero il Ramadan come il mese della spiritualità, della contemplazione e dell’ascesi.

Non ha senso non mangiare e bere nulla durante il giorno per poi recuperare tutto la sera, come purtroppo sono soliti fare molti.

Piuttosto, il punto sta nel vivere tutto il mese limitandosi al minimo. Non come fine a se stesso, non per mortificarsi, ma per dare più spazio ad altri valori. Non esistono solo i valori materiali o i bisogni del corpo, ma anche i valori etici, e soprattutto quelli spirituali: riconciliarsi con se stessi e il mondo, con l’ambiente. Tutto questo richiede tempo. Prendere del tempo per se stessi, per questo viaggio interiore, ecco il significato del digiuno.

– Come possiamo immaginare che uno trascorra il mese senza mangiare o bere qualcosa durante il giorno? Come riuscire a lavorare e ad affrontare lo stesso la vita di tutti i giorni?

In effetti, una constatazione che si fa di solito è che ci si sente fiacchi. È certamente un po’ vero che uno si sente “a terra” perché si soffre un po’. Ma il senso del problema è anche che si sviluppi un po’ di empatia con la sofferenza di chi soffre, che uno esperimenti cosa avviene quando si soffre, in modo da vivere questa religiosità nella sua dimensione sociale ed etica nella vita di tutti i giorni anche di fuori del Ramadan.

La religiosità non si esprime solo sul tappeto della preghiera o nel fatto che durante il Ramadan non si mangia né si beve, ma in questa solidarietà sociale con i poveri, i bisognosi, coloro che soffrono. E, naturalmente, se uno soffre durante il Ramadan, è perché si ricordi anche di tutti coloro soffrono.

Ciò dovrebbe aiutare a rafforzare l’empatia verso il prossimo. Ma per rispondere alla sua domanda in modo più dettagliato: sì, ci si sente un po’ più deboli, ma d’altro canto ci si abitua. Non è così male. La sfida più grande è avere questa volontà di guardare dentro se stessi. Infatti, questo è anche il significato del viaggio da compiere dentro di sé, per conoscersi meglio. E questo è molto più difficile che non dire: adesso per due ore non mangerò né berrò niente.

Tutto ciò che è fisico è gestibile. Ma sconfiggere questo “mostro interiore”, prendere nuove risoluzioni, attenersi ad esse, e disciplinare se stessi, non è così facile, è una vera sfida.

– Qual è il modo migliore per comportarsi verso i fratelli musulmani e come possiamo, anche come cristiani, parteciparvi? In quanto estranei, quali errori dobbiamo evitare?

I musulmani a volte si sentono un po’ estranei se vengono continuamente interrogati durante il Ramadan o se devono spiegare perché è così affascinante e, insieme, così stressante; se non sarebbe meglio digiunare come i cristiani oppure lasciar perdere tutto. Io penso che sia bene mostrare loro anche il riconoscimento e l’accettazione di questa varietà di forme di digiuno.

Personalmente non vorrei che i miei colleghi e colleghe di lavoro si sentissero in dovere di adattarsi a quello che io sto vivendo, pensando anch’essi di digiunare o di non pranzare o di non mangiare niente in mia presenza dal momento che io digiuno, Mi piacerebbe che essi vivessero in maniera normale.

Ovviamente, non si dovrebbero invitare i musulmani a pranzo o alle feste durante i giorni del Ramadan. Bisognerebbe avere una certa sensibilità, sapendo che questo per loro è il tempo del Ramadan. Ma la vita dovrebbe continuare ad andare avanti come al solito. Così non si può sbagliare. E questo è anche un appello agli stessi musulmani.

Lo dico anche ai miei studenti, perché alcuni tendono a credere che non si possano sostenere esami o fare qualcos’altro durante il Ramadan. No, al contrario, questo è il momento della contemplazione, in cui uno effettivamente può trovare qualcosa di nuovo in se stesso. Pertanto, la vita dovrebbe seguire il più possibile il suo corso normale.

– E questo in tempo di coronavirus. Già per il secondo anno con le restrizioni. Come vivere nel miglior modo possibile i riti del mese di digiuno?

Questo è un punto centrale, perché normalmente durante il Ramadan si prega di più in comunità la sera. E molti, sempre in comunità, rompono il digiuno la sera. Questi aspetti devono ora essere ridimensionati a causa della pandemia, in modo che le preghiere non vengano più fatte nelle moschee di notte, ma ciascuno a casa sua. Anche l’interruzione del digiuno deve avvenire ciascuno a casa propria.

Penso che ci siano anche abitudini interessanti e talvolta divertenti che si sono sviluppate. Anch’io ho visto ho notato tra alcuni amici che tutti si collegano via Zoom la sera e si incontrano in questo modo. Ciascuno si siede davanti al proprio apparecchio, in modo da poter conversare un po’ e parlare con la famiglia in una cerchia più stretta senza incontrarsi di persona. Sarebbe deleterio se il rischio di infezione aumentasse proprio durante il Ramadan.

– È contento quando il 12 maggio il Ramadan finisce? Come musulmano ha un’attesa un po’ febbrile che arrivi?

C’è sicuramente anche una ragione soprattutto per i bambini perché – come avviene per il Natale – ricevono i regali. La gente, dopo un mese intero, è contenta di poter “mangiare e bere normalmente”. Certamente, a causa della pandemia, è un handicap non poter più far festa in comunità. Ma bisogna accettare questo fatto per motivi di salute, per non mettere in pericolo nessuno.

Ed è per questo che anche il Ramadan viene celebrato in qualche modo in maniera ridotta. Ma le possibilità offerte da Internet oggi consentono alle persone di incontrarsi, anche se non al cento per cento. Ma almeno ci si può prendere del tempo da dedicare alla famiglia e agli amici, e incontrarli personalmente, seppure a distanza.

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