Novena di Natale. 21 dicembre: “O Oriente”

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La luce che sorge da Oriente è il riverbero di una luce che è “eterna”, l’immagine perfetta dell’atteso Messia, chiamato “Sole di giustizia”.

Dopo le immagini delle radici e della chiave, oggi la tappa di avvicinamento al Natale ci invita a fissare lo sguardo su ciò che rende ogni cosa visibile: la luce, salutata come la “prima creatura”, senza la quale il mondo resterebbe «informe» (Genesi 1,2), una massa indistinta, come fosse senza voce.

Il riverbero della luce

Come potremmo cantare la creazione, scorgervi le bellezze che Dio vi ha seminato, contemplarne le infinite meraviglie, se non ci fosse la luce?

Da Dio esce la luce, Gesù si è presentato come luce, e ai suoi discepoli chiede di risplendere nel mondo come luce, e solo a chi si fa trovare pronto con le lampade accese è concesso di entrare nella sala delle nozze, il banchetto eterno, le nozze che Dio celebra con il suo popolo.

La luce, ai giorni nostri, è diventata una banalità. Ci siamo così abituati che, appena un guasto toglie l’elettricità, entriamo nel panico. Credo che, per apprezzare la bellezza della luce, occorra fare qualche esperienza seria del buio, e ritrovare in questo la preziosità anche solo di una candela, che è luce viva e fuoco che irradia.

Forse, alla fine, è ciò che forma l’incanto della messa di mezzanotte, che trova il suo cuore nell’annuncio che la caratterizza: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce» (Isaia), quella luce che avvolge gli angeli e si riflette sui pastori (Luca), e che già trasmette per se stessa la bellezza confortante del loro messaggio.

La luce è l’oggetto della quinta antifona, punto focale che pervade tutto il breve testo:

«O Oriente,

splendore della luce eterna e sole di giustizia:

vieni e illumina noi,

che siamo seduti nelle tenebre e nell’ombra di morte».

A tutta prima sembra solo un doppione della richiesta già vista nell’invocazione rivolta solo ieri alla “chiave di Davide”, con la sola modifica per cui l’orante singolo si estende alle dimensioni dell’intera umanità.

Le tenebre e i popoli

Già questo, comunque, aggiunge una nota nuova e per niente trascurabile, perché dice che lo stare nelle tenebre non è una condizione che riguarda qualche individuo, e solo ogni tanto, ma è un paesaggio permanente che avvolge tutti i popoli del mondo.

Come già si ricordava, l’uomo è una creatura cieca dalla nascita (Gv 9), si direbbe cieca per costituzione. Questo è il senso di una ferita “originale” presente in noi, che ci porta a non vedere sempre bene dove sta il male, ciò per cui cadiamo in peccato. Proprio per questo il battesimo, che ci innesta sull’uomo “nuovo” che è Gesù, si chiama da sempre “illuminazione”.

Tale innesto, che fa di noi i tralci di una vite “vera”, oltre e più che lavare una “macchia” morale, difficile da vedere in un bambino, toglie un velo e immette in noi una radice di luce tale da farci da guida nelle nostre scelte di vita.

Questa luce è chiamata Oriente, che non è solo un nome che designa un punto cardinale, ma è, soprattutto in questo caso, un participio che traduce un’azione che continua, esattamente il “sorgere” della luce come “movimento”.

La giustizia dell’Oriente

L’Oriente è un punto del cosmo dove la luce sorge, ed è insieme il dinamismo per cui la luce continua a sorgere. Il fondamento che garantisce il perenne sgorgare della luce sul mondo è che essa è semplicemente il riverbero di una luce che è “eterna”, e dunque non si esaurisce mai, ed è immagine perfetta dell’atteso Messia, chiamato giustamente «Sole di giustizia».

C’è di che rimanere abbacinati davanti allo spettacolo evocato dall’antifona. Il contrasto con chi abita le tenebre e l’ombra di morte non potrebbe essere più marcato. Si potrebbe dire, paradossalmente, che quella di Dio è una luce che acceca! I mistici parlano del mistero di Dio come di un’“oscurità abbagliante”.

Ma qui torna in aiuto la benignità di Dio che, entrando nell’umanità, per così dire si “restringe”, onde poter essere contemplato dai nostri poveri occhi. Per dirla con san Bernardo, il sole si “riduce” a una lanterna, in grado comunque di trasmetterci quel poco di lui che siamo in grado di sopportare.

È l’immagine che troviamo nella Seconda Lettera di Pietro, dove siamo esortati a tenere gli occhi fissi sulla «parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino» (1,19). La luce rimane sempre contenuta; la stella del mattino è pur sempre annunciatrice del sole pieno, ma non è il sole.

Il discorso si avvolge, dunque, attorno a un segnale luminoso che è annuncio e profezia di una pienezza da attendere.

Torno al momento in cui la luce sorge, quello che chiamiamo alba o aurora, quella luce che lentamente riveste il mondo di cose e di colori. Ricordo quando d’estate, nelle route di montagna con gli scout, mi capitava di svegliarmi presto il mattino, e di pregare fuori dalla tenda immerso nel silenzio e davanti allo spettacolo del sorgere lento del sole dietro i crinali, e al miracolo della luce che pian piano dilagava su cime e vallate.

L’antifona è un invito a “rimanere” nella luce dell’aurora. Il battezzato è uscito dalla notte, ma non è ancora nella pienezza del meriggio. Viviamo una situazione in bilico tra due possibilità: essere di nuovo fagocitati dal richiamo del male, o lasciarci attrarre dal fascino della luce. Gregorio Magno chiama questa una situazione mista, una realtà fluida in cui procedere sulla “via della prudenza”, come ci ha insegnato la prima Antifona:

«L’aurora, o primo mattino, annunzia che è trascorsa la notte, e tuttavia non mostra ancora il pieno splendore del giorno, ma, mentre caccia la notte e accoglie il giorno, conserva le tenebre mescolate alla luce. Cosa siamo dunque in questa vita noi tutti che seguiamo la verità, se non l’aurora? Compiamo già alcune opere della luce, ma in alcune altre non siamo ancora liberi dai residui delle tenebre” (Commento a Giobbe XXIX,3).

L’aurora

Potrà sembrare paradossale, ma il linguaggio dell’antifona suggerisce di rendere per così dire stabile una situazione in movimento: che è quanto dire vivere in uno stato di “aurora” perenne, rivestendoci ogni mattino del dinamismo, del fervore e dello slancio degli “inizi”.

L’immagine del sole che sorge, del resto, arriva direttamente dal Benedictus, il Cantico di Zaccaria che conclude ogni giorno la preghiera delle Lodi mattutine, ove ci viene detto che saremo salvati perché «grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge (oriens) dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,78-79).

La bellezza dell’aurora non è solo uno spettacolo da contemplare con gioiosa sorpresa, ma il segno di una “visita”, quella di Dio che, allo spuntare del sole, lui, che è “sole di giustizia”, viene a prenderci per mano per guidarci con cura materna e paterna «sulla via della pace».

C’è forse un modo più bello di iniziare la giornata? La notte alle spalle, un sole eterno davanti a noi. Ogni giorno, con il sole che sorge, noi risorgiamo!

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