Santificare il Nome

di:

lazzarin

Ripetiamo quotidianamente la preghiera del “Padre nostro” e normalmente rinunciamo all’esegesi di questo testo che Matteo e Luca ci hanno regalato. Perdiamo così l’opportunità di sollevare un poco il velo che ricopre la luce della Parola destinata a illuminare la nostra vita, la nostra storia.

Giorni fa la pagina di un libro ha rotto per un momento la consuetudine della ripetizione senza meditazione. E, ancora una volta, sono stati i profeti che profetizzano nell’accampamento (Nm 11,24-29) ad alimentare i pensieri teologici. Sto leggendo ‘Il prezzo del monoteismo’ di Jan Assmann[1] e inaspettatamente mi imbatto in questa considerazione: «per gli ebrei e per i cristiani… il nome di Dio, anche quando è proibito nominarlo, rimanendo quindi occulto, ricopre un ruolo fondamentale, al punto di decidere tra vita e morte: Kidush Hashemsantificar o nome – per gli ebrei è la formula del martirio, mentre i cristiani pregano sia santificato il tuo nome».

Senza perdere tempo, rammendo una rapida ricerca nella rete e trovo conferma dell’accenno di Assmann.

Kidush Hashem è un precetto del giudaismo: «Non profanerete il mio santo nome, affinché io sia santificato in mezzo agli Israeliti. Io sono il Signore che vi santifico, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto per essere vostro Dio. Io sono il Signore» (Lev 22,32-33).

La santificazione del nome diventa cifra martiriale non nelle narrazioni bibliche, ma, ben più tardi, nelle tragiche vicende dell’ultima rivolta degli zeloti contro le legioni di Roma. Il Talmud babilonese definisce il martirio degli ebrei durante le persecuzioni dell’imperatore Adriano (132-135 d.C.) come santificazione del Nome.

Si santifica il nome di Dio quando l’ebreo è disposto a perdere la vita piuttosto che disobbedire ai tre comandamenti cardinali: il divieto dell’adorazione degli idoli, la proibizione dell’incesto e dell’adulterio, l’omicidio. Mentre tutti gli altri 610 comandamenti possono essere violati per salvare la propria vita – e devono essere violati per salvare anche una sola vita – in questi tre casi bisogna essere pronti ad affrontare il martirio.

Gli ebrei, che testimoniarono con il martirio la fedeltà alla Legge, sono chiamati kedoshim, santi, che hanno santificato il Nome di Dio. Anche gli ebrei assassinati e sterminati perché ebrei, come i sei milioni dell’Olocausto, sono ricordati come kedoshim.  Così come gli ebrei che vennero uccisi o esiliati durante le Crociate o dall’Inquisizione spagnola e portoghese, che sono considerati santi, perché non tradirono la loro fede.

Molto si è discusso, in questi ultimi cento anni, se anche la resistenza zelota di Masada (73 d.C.), raccontata da Flavio Giuseppe, fu segnata dall’opzione del Kidush Hashem, la morte in santificazione del Nome, piuttosto dell’obbedienza all’invasore romano.

Il suicidio di massa avvenuto a Masada fu inizialmente motivo di orgoglio nazionalista per lo stato di Israele, come se fosse una metafora del persistente confronto con nazioni vicine e ostili, ma successivamente autorità israeliane – quali Ben Gurion – criticarono il suicidio de Masada come scelta politica disperata e strategia militare fin dall’inizio senza vie di uscita.

Inoltre, la morte dei novecento zeloti fu criticata da religiosi autorevoli che considerano il suicidio un’infedeltà alla Torah e un’illegittima risposta religiosa all’oppressione politica. Insomma, per molti ebrei l’alternativa ortodossa al suicidio collettivo di Masada fu la scelta del rabbino Yochanan Ben-Zakai, che fuggì, nascosto in una bara, dalla Gerusalemme assediata dalle legioni romane per fondare la scuola di Yavne, luogo di studi e di preghiera, semente dell’autonomia ebraica e custode fedele della memoria.

Di fatto, resta l’autorevolezza delle antiche testimonianze storiche e teologiche che ci parlano della santificazione del Nome solo nel caso dei martiri della seconda rivolta antiromana del 135 d.C.

Il legame profondo tra santificazione del Nome e martirio è una profezia che ci è donata dai fratelli ebrei. Esegesi questa che alimenta la spiritualità e la riflessione teologica. Bisognerebbe, allora, ampliare il commento al ‘Padre nostro’ del Catechismo della Chiesa Cattolica[2], ed esplicitare – con radicalità – che quando preghiamo “sia santificato il tuo Nome” parliamo della nostra fragile e sempre minacciata decisione di stare alla sequela di Gesù di Nazareth, affrontando i poteri di questo mondo fino alla Gloria della Croce.

Il martirio, che scaturisce dalla Pasqua di Gesù, è dono gratuito dello Spirito e non frutto della nostra radicalità ideologica. È vocazione donata che pone il fedele sempre dalla parte dei perseguitati e mai dalla parte dei persecutori e lo invita a vincere quotidianamente la tentazione politica di reagire alla violenza e all’ingiustizia con le stesse attitudini e le stesse armi dei malvagi.

Scopriamo, anche nella storia recente delle Chiese dell’Abya Ayala, non solo i martiri assassinati, ma, ben più numerose vite interamente dedicate – martirialmente – alla testimonianza.

Solo l’agape disarmata e ostinatamente fiduciosa nella Misericordia può vincere, anche quando siamo sconfitti e tutto sembra perduto. Bisogna davvero andare ben oltre e contro la bestemmia constantiniana che riduce la croce ad un vessillo di guerra e alla celebrazione magica di una vittoria militare.

La bestemmia costantiniana riappare, purtroppo, nelle riedizioni più attuali del tradizionalismo cattolico, alleato delle nuove destre nemiche della vita e dei poveri.


[1] Assmann Jan, O preço do monoteísmo, Contraponto, Rio de Janeiro, 2021, p. 36.

[2] “Il termine « santificare » qui va inteso non già nel suo senso causativo (Dio solo santifica, rende santo), ma piuttosto nel suo senso estimativo: riconoscere come santo, trattare in una maniera santa. Per questo, nell’adorazione, tale invocazione talvolta è sentita come una lode e un’azione di grazie.57 Ma questa petizione ci è insegnata da Gesù come un ottativo: una domanda, un desiderio e un’attesa in cui sono impegnati Dio e l’uomo. Fin dalla prima domanda al Padre nostro, siamo immersi nell’intimo mistero della sua divinità e nel dramma della salvezza della nostra umanità. Chiedergli che il suo nome sia santificato ci coinvolge nel disegno che egli « nella sua benevolenza aveva […] prestabilito » (Ef 1,9), « per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità » (Ef 1,4). Nei momenti decisivi della sua Economia, Dio rivela il suo nome, ma lo rivela compiendo la sua opera. Questa però si realizza per noi e in noi solo se il suo nome da noi e in noi è santificato” (CCC 2807-2808).

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2 Commenti

  1. Tobia 3 giugno 2023
    • Anima errante 3 giugno 2023

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