
Sede dell’Istituto San Bernardino a Venezia.
Fra Lorenzo Raniero è Preside dell’Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” di Venezia dal 2020. È docente di Etica ecumenica da circa vent’anni. Di seguito ci presenta la storia e le caratteristiche dell’Istituto nell’attuale contingenza storica, in vista del nuovo anno accademico.
– Fra Lorenzo, vuoi ricordare le origini storiche del “San Bernardino”?
Il “San Bernardino” è uno dei frutti della linfa abbondante che percorreva la Chiesa italiana del dopo-Concilio. Si era, allora, nel convento francescano “San Bernardino” a Verona, che preparava i frati al sacerdozio col primo ciclo di baccellierato. Erano gli anni Settanta. Già qualche laico aveva preso a frequentarlo per interesse personale. Tra i docenti circolava l’idea che si dovesse ripensare la teologia sulla scia del Concilio e dei suoi documenti.
Il preside del tempo – il professor fr. Vetrali Tecle, biblista – era convinto che un profondo ripensamento dovesse nascere da documenti come Unitatis redintegratio e Nostra aetate, Dei Verbum e Lumen gentium, col nuovo primato della Parola di Dio.
Così, al momento di elaborare un nuovo piano di studi – dentro il Consiglio di presidenza – si è affermato il progetto di fare e insegnare teologia in maniera aperta alle altre confessioni cristiane, anche con docenti protestanti e ortodossi.
L’assunto fondamentale era e resta quello di una chiara distinzione tra l’unica fede e le diverse teologie che la interpretano. In questa fase, i programmi dello studio teologico del 1980 vedevano inseriti nella rosa dei docenti i nomi di I. de la Potterie, L. Sartori, G. Pattaro e P. Ricca.
Io mi sono formato in anni successivi, ma ancora in quel clima. Ho cominciato a studiare teologia nel 1987: avevo 20 anni ed ero un giovane frate del convento di Verona.
– Come l’Istituto è arrivato ad ottenere il riconoscimento?
I fermenti del “San Bernardino” di Verona non hanno mancato di suscitare gli interessi della Conferenza episcopale italiana, specie nella persona del vescovo Giuliano Agresti, allora presidente della Commissione per l’ecumenismo. È venuta da lui la proposta e la sollecitazione di istituire un titolo di Licenza in Teologia Ecumenica. Fra Tecle, con i docenti del tempo, si è messo così a formulare i programmi.
L’iter per giungere al riconoscimento non è stato, tuttavia, né breve, né semplice. Non nascondo che agli entusiasmi si sono intrecciate anche resistenze e paure, che sono state, man mano, superate.
Il riconoscimento ufficiale è arrivato nel 1990 grazie al particolare impegno, all’interno della CEI, del vescovo Alberto Ablondi: altra figura che mi sta a cuore ricordare.
Il riconoscimento ecclesiastico ufficiale riguarda il secondo ciclo di studi teologici, col rilascio del titolo di Licenza.
– Perché il passaggio di sede da Verona a Venezia?
La condizione posta dalla CEI per far partire i corsi prevedeva il consenso e il coordinamento tra i vescovi locali. Il patriarca di Venezia di quel tempo, il card. Marco Cé, si è mostrato da subito disponibile ad accogliere nella sua diocesi i frati professori che stavano animando il progetto. Il trasferimento negli ambienti del convento di San Francesco della Vigna è avvenuto tra il 1989 e 1990.
All’inizio, e per alcuni anni, i corsi si sono tenuti in ambienti ristretti. Negli anni Duemila ha avuto luogo un’importante ristrutturazione, quella che ora mette a disposizione spazi di scuola, di segreteria, di biblioteca, di studio e di socializzazione, molto accoglienti e funzionali.
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– Perché tanto impegno da parte dei francescani per l’ecumenismo?
La radice della disposizione ecumenica – universale – dei francescani è san Francesco stesso. Possiamo ravvisare persino un evento fondativo al riguardo: l’incontro del Santo con Malik al Kamil del 1219, quando Francesco superò il fronte delle crociate per andare a parlare col “diverso” religioso.
Sta, quindi, nella nostra spiritualità, francescana o semplicemente cristiana, considerare l’altro come un fratello col quale parlare, anche e forse soprattutto di Dio.
C’è poi un’attitudine francescana alla continua conversione a Cristo e al Vangelo, come Francesco ha mostrato: non basta la conversione degli inizi. Ogni cristiano, comunità e Chiesa deve sapersi continuamente convertire, ripensare e ripensarsi nel mondo.
– Perché l’Istituto ha conservato la denominazione originaria di San Bernardino?
In fondo, perché anche san Bernardino da Siena – da riformatore dell’Ordine – ha ben saputo interpretare il senso di riforma permanente della Chiesa e del suo pensiero.
– Puoi precisare le potenzialità del titolo – o dei titoli – rilasciati dall’Istituto di Studi Ecumenici?
Il “San Bernardino” rilascia il titolo di Licenza in Teologia con specializzazione in Studi Ecumenici. È incorporato alla Facoltà di teologia della Pontificia Università Antonianum di Roma. Siamo, in pratica, sede distaccata dell’Antonianum. Oltre alla Licenza, l’Istituto organizza anche due Master Universitari di primo livello in Dialogo Interreligioso e in Teologia Ecumenica che rilasciano un diploma.
La licenza (secondo ciclo degli studi teologici) apre alla facoltà di conseguire il dottorato in teologia (terzo ciclo). Attualmente, chi prosegue per il dottorato va a frequentare i corsi preparatori a Roma, ma ci stiamo organizzando per portarli anche qui a Venezia.
La licenza abilita all’insegnamento della teologia nei seminari e negli Istituti di scienze religiose, oltre a preparare e a specializzare nell’impegno pastorale.
– C’è, ora, anche un riconoscimento statale del titolo?
Per effetto di un accordo relativamente recente tra Stato e Chiesa, è possibile il riconoscimento della equipollenza tra licenza e laurea magistrale: il fatto, tuttavia, non è automatico; bisogna, infatti, richiederlo, e ciò comporta un iter burocratico presso la Santa Sede e il Ministero. Il riconoscimento statale però non offre, oggi, di per sé, immediati sbocchi lavorativi.
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– Per la pastorale, quali sono gli sbocchi che è possibile costatare?
Osservo che, spesso, chi consegue qui la licenza, facilmente riceve dal proprio vescovo un incarico di direzione o di partecipazione alla direzione/équipe dell’Ufficio dell’ecumenismo e/o del dialogo interreligioso: sto parlando di presbiteri diocesani soprattutto, ma anche di alcuni laici. Dipende molto dall’attenzione e dall’interesse per l’Istituto da parte dei vescovi: diversi di loro prestano già molta attenzione alla formazione del “San Bernardino”.
– Quali titoli previ sono contemplati per l’ammissione?
Il baccellierato è il titolo naturale previo della licenza. Ma anche chi, dopo i prescritti studi teologici, non possedesse tale titolo, può accedere alla licenza con un esame integrativo di ammissione basato su sei quesiti proposti in chiave ecumenica nelle tre aree teologiche della dommatica, della Bibbia e della morale.
– Il ciclo di studio quale livello di impegno comporta?
I corsi della licenza sono articolati in 4 semestri di frequenza, quindi 2 anni di studio. Vanno frequentati almeno per i due terzi delle lezioni in presenza: dopo la vicenda del Covid, inoltre, viene permessa, secondo il regolamento, la partecipazione online ad una parte delle lezioni, per la quale l’Istituto è oggi perfettamente attrezzato.
Le lezioni hanno luogo il mercoledì pomeriggio per 4 ore, il giovedì mattina e pomeriggio per 8 ore, il venerdì mattina per altre 4 ore, per un totale di 16 ore settimanali.
Parte integrante dei corsi di licenza sono le 2 giornate semestrali di studio residenziale e il Convegno annuale di marzo che dedichiamo ad approfondimenti ecumenici di maggiore attualità, a cui vengono invitati docenti e figure di rilievo anche dall’estero. In questo 2025, ad esempio, ci stiamo molto dedicando allo studio del Concilio di Nicea.
Oltre ai corsi e agli esami, prevediamo lavori scritti – “papers” – per un totale di 10 crediti, come in tutti i cicli specialistici universitari.
L’impegno è importante. Ma vedo che, in media, in 2 anni e mezzo circa – 3 anni al massimo – gli studenti riescono a conseguire il titolo.
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– Il “San Bernardino” è in grado di offrire ospitalità residenziali ai frequentanti?
Certamente. Ospitiamo regolarmente gli studenti dall’estero ai quali offriamo noi stessi le borse di studio (6–7 all’anno), ma anche chi proviene dal territorio italiano – in genere Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna – nelle giornate e nelle notti utili alla frequenza e allo studio.
L’ospitalità consente un’esperienza molto bella, importante, di conoscenza reciproca, al di fuori delle aule, tra studenti e docenti delle varie confessioni.
– Qual è la composizione del corpo docente?
I docenti sono in maggior numero italiani, presbiteri, cattolici; ci sono tre frati, un religioso e un gruppo di professori laici. La collaborazione più stabile è con alcuni docenti della Facoltà valdese di teologia di Roma per quanto riguarda il mondo protestante, come anche con un docente della Facoltà di teologia evangelica di Monaco (Germania).
La collaborazione con alcuni professori della Facoltà di teologia ortodossa di Salonicco ci dà pure modo di godere del contributo dei docenti ortodossi.
– Mentre la composizione tra gli studenti qual è?
Gli ultimi 5-6 anni hanno visto crescere la presenza di studenti africani, preti cattolici e qualche anglicano, mandati da vescovi che conoscono e apprezzano il “San Bernardino”: attualmente provengono da almeno quattro diocesi del Congo, da due diocesi del Camerun, dalla Costa d’Avorio, dalla Nigeria e dal Kenia. Mentre negli ultimi 2-3 anni sono diminuite o quasi sparite le iscrizioni degli studenti ortodossi, specialmente romeni, ucraini e russi, come avveniva fino a qualche anno fa. La guerra ha evidentemente esteso i suoi effetti negativi anche qui.
C’è sempre poi un certo numero di studenti italiani, sia preti che laici cattolici, animati dagli intenti pastorali di cui abbiamo detto.
Il numero complessivo degli iscritti ai corsi di licenza si aggira intorno alle 20 persone.
Se aggiungo gli iscritti ai Master di specializzazione giungiamo a 35 iscritti in questo anno.
– I corsi sono in lingua italiana?
Sì, le lezioni si tengono in lingua italiana. Chiediamo agli iscritti stranieri di studiarlo e di impararlo abbastanza presto: i francofoni ce la fanno più facilmente, gli anglofoni fanno più fatica.
Tuttavia, c’è aiuto e comprensione da parte dei docenti e degli altri studenti in tal senso: i lavori scritti, come anche la tesi finale, sono scritti nella propria lingua e, a volte, specialmente nel primo semestre del primo anno, quando è possibile, anche gli esami sono fatti in lingua.
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– Non abbiamo ancora detto quali sono le materie e i contenuti fondamentali.
Il primo anno di licenza è dedicato alla sacramentaria, mentre il secondo all’ecclesiologia: sono i due ambiti più sensibili per l’ecumenismo. La teologia sistematica è distinta in: teologia cattolica, protestante, ortodossa e dialoghi ecumenici (corso specifico). Particolare attenzione dedichiamo anche al dialogo nei suoi fondamenti teologici e filosofici. Come detto, ogni corso è tenuto da un docente specialista della materia, secondo le rispettive confessioni di appartenenza.
Ciò che voglio tuttavia evidenziare – e che costituisce la caratteristica del “San Bernardino” – è che ogni specifica materia è trattata in prospettiva ecumenica, per trarne così tutte le potenzialità ecumeniche. Non si tratta, quindi, di “teologia interconfessionale” dove prevale un metodo comparativo con punti di convergenza e di divergenza: noi ci sforziamo di elaborare una teologia cristiana ecumenica, con finalità di dialogo e di comunione.
Altro esempio: in ambito storico c’è il corso di “Storia del cristianesimo”, anziché di “Storia della Chiesa”, e quello dedicato alla “Storia del movimento ecumenico”.
– Mi sembra che una prospettiva di questo tipo comporti un continuo confronto tra i docenti delle diverse confessioni. È così?
Infatti, al “San Bernardino” teniamo seminari interni tra i docenti nei quali ci interroghiamo sul genere di ecumenismo che intendiamo insegnare e trasmettere.
In questo modo, in tutti questi anni, abbiamo potuto vedere come sono cambiate le cose: è maturato un modo di stare nelle Chiese e nella Chiesa più dialogico, ospitale, inclusivo; è maturato soprattutto uno stile ecumenico congiunto, almeno qui. Ma non vogliamo che queste siano solo parole tra pochi, tra noi.
I tempi, peraltro, ci impongono di praticare un dialogo effettivo quale via della pace. Aspiriamo ad una “teologia pubblica ecumenica”, ossia ad una elaborazione di pensiero teologico che possa avere, davvero, rilevanza e incidenza pubblica.
– Ecumenismo, al “San Bernardino”, vuol dire anche dialogo con l’ebraismo?
Il primo ecumenismo si fa col dialogo ebraico-cristiano: ne siamo convinti. Nei corsi di licenza sono inclusi i corsi di “Teologia del dialogo interreligioso” e di “Dialogo ebraico-cristiano”. Il tema ritorna, poi, nei seminari, nei corsi del Master (anche con docenti ebrei) o nelle Giornate di studio.
– I tempi, non sembrano molto propizi per il dialogo, sia con una parte dell’ortodossia che con l’ebraismo. Quanto pesano i fatti della storia, le guerre?
Le guerre in corso certamente non aiutano. Stanno ingenerando sfiducia e sconforto. Ma proprio per questo, l’impegno delle diverse Chiese deve farsi, ora, ancora più forte. Come cristiani siamo chiamati – insieme – a dare una testimonianza al mondo che sia “diversa” rispetto a ciò che si vede.
Quello che stiamo vivendo, da questo punto di vista – dal punto di vista cristiano – può essere un Kairos, un tempo opportuno per dare finalmente una testimonianza congiunta di Cristo al mondo.






Secondo il mio modesto modo di vedere le cose questa è proprio l’ora dell’ecumenismo, perché è l’ora dell’amore e il tempo del dialogo e della pace. Quindi è fondamentale formarsi una mentalità profondamente aperta ed ecumenica. Mi pare che quest’istituto veneziano abbia questa finalità e serva proprio bene questa causa.