Cisgiordania: mons. Shomali contro le violenze dei coloni

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Un colono israeliano armato a Kyriat Arba (Hazem Bader/AFP)

Un colono israeliano armato a Kyriat Arba (Hazem Bader/AFP)

Ferma condanna di mons. William Shomali, vicario patriarcale per Gerusalemme e Palestina, dell’attacco contro la comunità cristiana di Taybeh. Il 7 luglio scorso alcuni coloni israeliani hanno appiccato un incendio nei pressi del cimitero e della chiesa di San Giorgio del V secolo. Un gesto che si colloca all’interno di una lunga serie di violenze e intimidazioni dei coloni contro gli abitanti di numerosi villaggi palestinesi della Cisgiordania.

Molte organizzazioni non governative e attivisti per i diritti umani denunciano, tra le varie cose, crescenti restrizioni all’accesso all’acqua e al pascolo che rendono quasi impossibile la permanenza delle famiglie. Non si tratta, affermano, di episodi isolati ma di una più ampia strategia di coercizione – caratterizzata anche dalla diffusione di avamposti illegali e dalla complicità dello Stato di Israele – che sta rendendo la vita impraticabile per i palestinesi. Gli sfollamenti che ne risultano equivalgono a trasferimenti forzati, una grave violazione del diritto internazionale umanitario.

Per Angelita Caredda, Direttrice Regionale del Norwegian Refugee Council (NRC) per il Medio Oriente e il Nord Africa «si sta assistendo all’annessione della Cisgiordania da parte di Israele, mentre intere comunità palestinesi vengono cacciate dalle loro terre attraverso la violenza, l’intimidazione e un ambiente deliberatamente plasmato per costringere le persone ad andarsene».

Sul tema il SIR ha intervistato mons. William Shomali, il quale ha annunciato che lunedì prossimo il card. Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme e quello greco ortodosso, Teofilo III, «sono attesi a Taybeh per un atto di solidarietà, non violento. La solidarietà è importante, non solo nelle parole, ma anche nei fatti, con la presenza».

  • Quale significato attribuisce a questi attacchi ripetuti dei coloni, l’ultimo contro il villaggio cristiano di Taybeh?

Con questi attacchi i coloni israeliani vogliono ribadire che sono presenti, che sono forti, che possono fare quello che vogliono. Lo ripetono spesso e chiaramente: questa è la nostra terra. Dunque, a detta loro, hanno il diritto di entrare e di uscire liberamente. Anche i loro animali possono entrare e uscire. Infatti, il bestiame è entrato e ha mangiato dagli ulivi e dai terreni di Taybeh. Hanno appiccato il fuoco per ricordare ai palestinesi: noi siamo i più forti, non provate a opporvi a noi. Dicono di avere il potere e il diritto.

  • L’esercito israeliano non interviene mai per fermare queste violenze. Come spiega questa impunità?

C’è un silenzio dell’esercito, questo è sicuro. Non fanno nulla o fanno molto poco per impedire questi attacchi, per due motivi. Primo, non hanno interesse a difendere i palestinesi. Secondo, i coloni sono armati e i soldati non vogliono avere confronti e problemi con loro. Dunque, fanno finta di non vedere, di non sapere. C’è una locuzione latina che recita, «Qui tacet, consentire videtur», che significa «chi tace sembra acconsentire».

  • Si tratta di una strategia deliberata?

Questa violenza vuole rendere la vita impossibile ai palestinesi, per spingerli a partire, a sfollare. È la stessa strategia del 1948, quando l’esercito entrava nei villaggi dicendo: uscite per salvare la vostra vita. La gente era terrorizzata e usciva. Settecentomila palestinesi lasciarono Haifa, Jaffa, Akko, Ashkelon con la speranza di ritornare.

shomali

Mons. William Shomali

  • Oggi si ripete: vogliono la terra e allontanarne gli abitanti.

Israele ha provato con Gaza, spingendo i gazawi nel Sinai. La Cisgiordania potrebbe essere la seconda fase di questa strategia. Ma prima c’è Gaza, gestire le due fasi insieme sarebbe troppo per Israele che così preferisce agire più lentamente.

  • Nella totale impunità e nel silenzio della comunità internazionale che resta impotente di fronte a tutto questo…

Tutto è nelle mani degli americani, i più grandi amici di Israele. Finora hanno sostenuto al 100% questa ideologia. L’Europa oggi ha poca influenza, ha poco peso. La comunità internazionale è spettatrice. Anche le Nazioni Unite: quante volte il segretario generale dell’Onu, Anton Guterres ha chiesto di fermare questa guerra e di dare da mangiare alla popolazione di Gaza allo stremo. Inutilmente.

Israele si presenta sempre come vittima, giustificando ogni atto come autodifesa. Ogni cittadino di Gaza è visto come un potenziale terrorista. Questa è la logica che prevale. Per motivi che ignoro, l’Europa e l’America non riescono a opporsi a questa ideologia, forse per la memoria ancora viva dell’Olocausto.

  • In questa situazione, cosa vorrebbe dire ai cristiani della Terra Santa?

Prima di tutto una verità: quello che è capitato a Taybeh è meno grave di quanto accaduto a Kfar Malik, dove sono stati uccisi tre giovani palestinesi che hanno tentato di opporsi ai coloni. A Taybeh non si sono opposti perché conoscono le conseguenze. Hanno solo filmato e fotografato da lontano. Non voglio alimentare false speranze ma solo dire la verità: reagire potrebbe essere peggio.

Noi dobbiamo perseguire la via diplomatica e dire sempre la verità che è tagliente come una spada. Dobbiamo farlo davanti a Dio, nella preghiera, perché il Signore è l’Onnipotente. Noi dobbiamo praticare la nonviolenza: questa è la nostra strategia. Parliamo, ci opponiamo con la parola, diciamo la verità e preghiamo.

Lunedì il card. Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme e quello greco ortodosso, Teofilo III, sono attesi a Taybeh per una visita di solidarietà. La solidarietà è importante, nelle parole ma anche nei fatti, con la presenza.

  • Agenzia SIR, 11 luglio 2025
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