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L’onda lunga dello sciame guerrafondaio partito da Gaza ed estesosi all’Iran potrebbe avere un impatto durissimo in Africa, in grado di determinare una radicale ricomposizione degli equilibri geopolitici in Libia così come in altri Paesi del Continente dove le comunità sciite ricoprono un peso politico ed economico di spessore.
Il conflitto inoltre potrebbe avere effetti a lungo termine sui traffici marittimi, in particolare nel Mar Rosso, aggravando la crisi economica che sta strozzando Egitto e Sudan. In caso di escalation della guerra le conseguenze potrebbero essere addirittura devastanti per gli scambi via mare con un «effetto domino» a cascata.
Iran e Israele si accusano a vicenda di mettere in pericolo con i rispettivi raid aerei le attività marittime nel Golfo Persico, nel Canale di Suez e nel Mar Rosso. Teheran accusa Gerusalemme di aver espanso gli attacchi alle infrastrutture petrolchimiche e del gas nel Golfo. Le conseguenti minacce sono la chiusura dello Stretto di Hormuz, se il conflitto dovesse continuare – anche se mentre scriviamo è in atto una tregua – e la promessa di colpire le navi delle Nazioni fiancheggiatrici di Israele negli attacchi aerei.
Ipotesi quest’ultima che porterebbe a un coinvolgimento globale nel conflitto. Del resto, una consistente riduzione del commercio marittimo globale che attraversa il Mar Rosso e la deviazione delle rotte per migliaia di navi cargo sono una triste realtà da quasi due anni, ovvero dall’inizio dell’operazione su Gaza.
Sono le milizie Houthi (il gruppo armato yemenita schierato a fianco di Hamas e Hezbollah nel cosiddetto Asse della resistenza) a colpire gli obiettivi in transito tenendo tutti sotto scacco e imponendo una nuova agenda politica e geografica degli scambi via mare.
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Lo scontro tra Israele e Iran influirà anche sugli aiuti finanziari destinati ai movimenti sciiti nel mondo da parte delle ricche e numerose comunità di seguaci di Ali, il venerato cugino del profeta Muhammad e considerato il suo legittimo successore. Comunità coese e organizzate (in quanto minoritarie rispetto ai sunniti) molto presenti in Africa occidentale, in particolare Benin, Guinea, Costa d’Avorio così come in Nigeria.
Proprio da questi settori sciiti sono stati destinati aiuti (anche militari con l’invio di milizie armate di al-Quds, una componente del corpo dei cosiddetti Pasdaran, cioè delle Guardie della Rivoluzione islamica di Teheran) al Fronte Polisario per la liberazione del Sahara occidentale dal Marocco, che invece è da tempo impegnato nella edificazione di saldi rapporti con Israele.
Senza dimenticare la capillare presenza sul Continente africano (fin dagli anni Ottanta dello scorso secolo) degli sciiti libanesi che hanno potenziato la loro presenza economica inanellando rapporti commerciali (di ogni tipo) in particolare con l’America latina: una fluidità e pluralità di relazioni che ha consentito loro di finanziare gli Hezbollah, custodi dell’ortodossia sciita in Libano.
I flussi di finanziamento dall’Africa al Medio Oriente avevano fatto registrare una diminuzione già prima del conflitto dello scorso 13 giugno, dopo l’inserimento degli Hezbollah nella lista dei gruppi terroristici da parte degli Stati Uniti e per le sanzioni imposte ai Pasdaran, rafforzate poi da Trump a inizio mandato.
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In un brodo di coltura così intenso non va dimenticato il ruolo di alcune Nazioni continentali fortemente critiche con le politiche del premier Netanyahu su Gaza, tanto che hanno indotto il Sudafrica a portarlo sul banco degli imputati della Corte penale internazionale.
Va dunque letta in questa complessa chiave politica la Dichiarazione congiunta di 21 Paesi (di cui 10 africani) con cui si condannano gli attacchi israeliani contro l’Iran. I firmatari chiedono una de-escalation regionale, il disarmo nucleare, il rispetto del diritto internazionale e della sovranità̀ nazionale, l’integrità territoriale e la risoluzione pacifica delle controversie.
Tutti preoccupati inoltre di preservare la libertà di navigazione negli stretti internazionali, già minacciata nel Mar Rosso con l’inizio della guerra a Gaza. Le Nazioni africane che hanno sottoscritto il documento sono Ciad, Gambia, Algeria, Comore, Gibuti, Sudan, Somalia, Libia, Egitto e Mauritania. Solo il Marocco non ha firmato nell’area Nord.
Quel che è certo, è che l’Africa non resterà alla finestra contribuendo alle politiche di disallineamento globale.
Enzo Nucci, giornalista, già corrispondente RAI per l’Africa subsahariana. Articolo pubblicato sulla rivista Confronti, 14 luglio 2025





