
Nell’intricata vicenda che interessa il monastero ortodosso del monte Sinai, meta di molti pellegrinaggi in Terra Santa, sono apparse due novità: la richiesta di dimissioni dell’abate da parte dell’assemblea monastica e il riconoscimento da parte del parlamento greco di “personalità giuridica” del monastero.
Il 30 luglio è stata convocata un’assemblea monastica che, in ragione degli statuti interni, ha votato per le dimissioni dell’igumeno (superiore) mons. Damien che da 52 anni presiede la comunità. È l’unico monaco con cittadinanza egiziana della ventina che compongono il gruppo dei residenti, provenienti da molti paesi e, in particolare, dalla Grecia.
Canonicamente dipendente dal patriarca di Gerusalemme, Teofilo, l’istituzione fa riferimento giuridico al governo greco di cui gode il patrocinio. Un equilibrio che, in forme diverse, dura dalla fondazione dell’imperatore Giustiziano nel 549, confermato dal profeta Maometto nel 623, dal sultano Selim nel 1517 e da tutti i potentati successivi. Fino al “terremoto” della sentenza della corte d’appello del Cairo che, il 28 maggio scorso, riconosce allo stato egiziano la proprietà del sito, sottrae al monastero alcuni territori e sottopone alla giurisdizione civile lo stabile e l’intera area del Sinai.
Sono i “fratelli musulmani” che da decenni perseguono il progetto di smantellare la presenza cristiana sul monte santo, mentre l’interesse dell’attuale governo è lo sviluppo turistico dell’area (cf. qui).
Dopo la decisione, i monaci scrivono al patriarca Teofilo le loro ragioni. Da quanto si può intuire, accusano mons. Damien di non aver saputo evitare la devastante sentenza.
L’igumeno scrive, a sua volta, al patriarca in cui esprime il rammarico e la protesta per il comportamento di una parte della comunità (le firme monastiche sarebbero 15) che non avrebbe rispettato i canoni che guidano la storia del monastero, minando la pace monastica, inventando false accuse nei suoi confronti e mettendo in atto comportamenti arbitrari.
«Il loro comportamento anti-canonico scandalizza il popolo fedele, avvelena l’unità della comunità, spinge il monastero nella “cattività babilonese” e, soprattutto, offre un ottimo servizio per coloro che perseguono il calvario del santo monastero affinché esso non abbia mai fine».
Teofilo risponde a mons. Damien confermando la pertinenza del ricorso al patriarcato per dirimere le questioni aperte e decidendo di «mettere in moto una procedura ecclesiastica appropriata, inviando una delegazione di tre membri affinché, in spirito di verità, di riconciliazione e di cooperazione con la fraternità sinaitica, siano fatti tutti gli sforzi possibili per una soluzione pacifica e armoniosa della questione sollevata».
Il parlamento greco all’unanimità
Il 1° agosto, il parlamento greco, quasi all’unanimità, approva una legge che garantisce personalità giuridica al monastero che, da oltre quindici secoli, garantisce ininterrottamente la presenza ortodossa sul Sinai. Il conferimento è concesso al «monastero ellenico ortodosso consacrato regalmente del santo monte del Sinai teobatista in Grecia» e si sviluppa in 20 articoli.
L’archimandrita Porfirio, rappresentante in Grecia dell’igumeno Damien, ha salutato con enfasi il risultato legislativo: «Grazie alla cura del governo greco e con il sostegno di quasi tutta l’opposizione, il monastero entra nel quadro giuridico greco passando dall’inesistenza all’esistenza». Consente ad esso di operare in modo affidabile e stabile, pur restando fisicamente dove si trova.
L’approvazione della legge ha ottenuto un pieno assenso del primate ortodosso di Atene, del patriarcato di Costantinopoli e di Teofilo di Gerusalemme.
Non ha però convinto del tutto la comunità monastica che ha rilasciato una dichiarazione critica. «Posso dirvi – risponde Porfirio – da persona che conosce a fondo il disegno di legge, che esso è eccellente. Fornisce esattamente ciò di cui il monastero ha bisogno in Grecia. Non si può sabotare qualcosa di così vitale senza valide ragioni».
Questo non risolve il contenzioso circa il quadro giuridico in Egitto. L’intervento delle massime autorità nelle settimane scorse e l’incontro del 6 agosto fra i due ministri degli esteri (il greco George Gerapetritis e l’egiziano Badr Abdelatty) dovrebbero chiarire in via definitiva la questione. Sperando che la mediazione di Teofilo di Gerusalemme porti a soluzione la grave tensione interna alla comunità. Evitando così il pericolo che lo straordinario patrimonio culturale (4.500 volumi antichi e oltre 2.000 icone del V-VI secolo) e religioso possa andare in rovina.





