
L’arcivescovo di Tolosa, mons. Guy de Kerimel (CharlyTRIBALLEAU / AFP)
Il caso è la nomina a cancelliere diocesano (Tolosa) di p. Dominique Spina dopo la condanna, nel 2006, per abusi su minore a cinque anni di reclusione, tornando poi al ministero senza alcun legame con i giovani. Il problema: quali spazi nel ministero per gli ex abusanti che hanno scontato la pena e onorato un percorso di recupero?
La nomina di Tolosa
La decisione del vescovo di Tolosa, Guy de Kérimel, resa pubblica il 7 luglio, è stata motivata in ragione della misericordia e del possibile riscatto degli abusanti. La scelta ha avviato un largo dibattito, fedelmente ripreso dal quotidiano La Croix.
Nel comunicato della curia il vescovo specifica: «È vero che il sacerdote Spina è stato condannato a una pena di cinque anni (un anno ai domiciliari) per fatti molto gravi avvenuti 30 anni fa […] ma non ha più alcun incarico pastorale se non la celebrazione eucaristica da solo e in via straordinaria con fedeli. Poiché non vi è niente da rimproverare al prete da trent’anni per comportamenti suscettibili di denuncia civile o censura canonica ho scelto di nominarlo in questa funzione amministrativa».
Negli ultimi anni il prete ha lavorato come archivista diocesano. Il ruolo di cancelliere è più impegnativo, perché è l’estensore di molti atti e documenti emessi e firmati dal vescovo. In certi casi la sua firma è obbligatoria per il diritto canonico.
È funzione amministrativa ma non sempre subalterna e, in ogni caso, è parte di decisioni delicate. Non casualmente il canone 483 richiede per questa funzione una reputazione integra e al di sopra di ogni sospetto (“integrae famae et omni suspicione maiores”).
Le molte e importanti decisioni prese dai vescovi francesi in ordine agli abusi (dalla commissione Ciase alle istanze di riparazione, dal tribunale penale canonico nazionale alla formazione dei preti e degli operatori pastorali ecc.) devono arricchirsi di buone pratiche anche per riguardo alla cura e al recupero degli abusanti. Con quali mezzi, con quali ruoli, con quali modalità?
C’è inoltre una variabile indipendente e spesso rilevante: i media. Essi rendono pubblica e trasparente ogni decisione in merito, ben al di là dei confini diocesani e dell’ambito ecclesiale. Talora con un ruolo decisivo di denuncia, talora a vantaggio di reazioni puramente emotive, talora con approssimazioni e pregiudizi. Sempre con un peso non marginale. Tanto da suggerire un commento di un prete della diocesi per il quale «senza la ripresa mediatica non sarebbe successo niente».
Le reazioni in diocesi e nel Paese
Altri preti e fedeli si sono dichiarati sconvolti e scioccati, convinti che la decisione non abbia tenuto conto del tempo necessario per la cicatrizzazione delle ferite sia delle vittime sia dei credenti.
C’è chi ha suggerito l’opportunità di nominare in quel ruolo un laico piuttosto che un prete e chi ha denunciato un calo di credibilità per la Chiesa locale e una ulteriore violenza per le vittime.
Per altri è fuori luogo invocare la misericordia e c’è chi vorrebbe una maggiore condivisione di decisioni che possono avere un simile rimbalzo nelle comunità e nell’opinione pubblica.
C’è chi, invece, non registra una reazione negativa tra i fedeli e riconosce al vescovo un certo coraggio: «Privilegiare la misericordia mi ha fatto molto riflettere».
Un prete ha fatto notare che si è passati troppo in fretta dalla dissimulazione degli abusi alla “tolleranza zero”, fino alla convinzione che simili delitti e peccati sono di fatto irredimibili. Ponendo alla Chiesa e alla società la questione della giustizia riparativa, del perdono e del reinserimento.
L’avvocata Giuliette Gaté è intervenuta per sostenere la possibile riabilitazione dei rei. Ogni vissuto e ogni reazione davanti a simili eventi delittuosi è legata al singolo attore. «Si è passati da una supposta e sistematica misericordia che non era altro che un silenzio colpevole, a una epurazione drastica nella pretesa di una perfezione illusoria». Certi atti appaiono ormai imperdonabili. Si sente dire che chiunque commette simili peccati ne porterà per sempre le conseguenze. Non si vuole più vederli. Non sono più dei nostri. Poco importa della giustizia e del trascorrere del tempo. Negando così agli abusanti la possibilità di riscatto prevista anche del codice civile e dalla crescente richiesta di giustizia riparativa.
Perché urlare in coro contro un uomo che ha accettato la pena e i percorsi restaurativi? «Nell’assordante grido del mondo, faccio silenzio e cerco di trovare, concentrata sul brusio del vento leggero, il cammino stretto che passa attraverso la giustizia, la pena e il perdono».
Pro e contro
Di altro tenore il commento del gesuita Patrick Goujon che ha dato testimonianza in un volume della sua drammatica storia di vittima (In memoria di me. Sopravvivere a un abuso, EDB, Bologna 2023). Ha ricordato che, spesso, sono le cancellerie e gli archivi diocesani a cancellare i documenti relativi agli abusi e che, in questione, non è la legittima convinzione del vescovo e la coscienza dell’interessato, ma la fama integra che viene richiesta per quel ruolo ecclesiale. «Il diritto canonico non giudica la coscienza (il famoso “foro interno”), ma stabilisce le condizioni pubbliche per l’esercizio di una funzione, discreta eppure sensibile […] Se ciascuno è libero di pensare che il prete Spina è persona sicura, nessuno può dire in pubblico che non lo è (sarebbe una diffamazione censurabile secondo il diritto come anche nella Chiesa; cf. can 220 e 1390).
Il diritto serve appunto a queste distinzioni per prendere decisioni prudenti con la conseguenza che la reputazione del sacerdote del caso non è più integra, sinonimo di “intatta”, come testimonia la sua casella giudiziaria. La sanzione data e la pena eseguita non ristabiliscono la reputazione.
E padre Goujon aggiunge la sua esperienza personale. È stato violato nella sua infanzia proprio dall’archivista diocesano le cui inclinazioni erano note ai superiori e che era stato collocato in quel ruolo nell’illusoria convinzione di tenerlo distante dalle sue vittime.
Melanie Debrabant dell’associazione “Fraternité victimes” torna sulla necessaria fama di integrità richiesta per quel ruolo e sulle indicazioni della Commissione Ciase circa la prudenza per ricollocare gli abusanti in contesto di missione ecclesiale. Ricorda che i tassi di recidiva per i pedofili va dal 10 al 40%. Si domanda quali siano le possibilità reali di controllo di una curia o di un confratello sui comportamenti del collega senza tutti gli strumenti e le competenze della polizia. Sottolinea, inoltre, l’urgenza di superare le resistenze e la scarsa accoglienza alle vittime che ancora permangono.
La novità dell’intervento della Conferenza episcopale
Un elemento di significativa novità è stato l’intervento della presidenza della Conferenza episcopale francese, presieduta dal card. Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia. In un comunicato del 10 agosto ha chiesto al vescovo di Tolosa di riconsiderare la nomina di padre Spina.
I responsabili episcopali annotano: «Abbiamo avviato un dialogo costruttivo con mons. Guy de Kerimel, arcivescovo di Tolosa, invitandolo a riconsiderare la decisione presa in ordine alla nomina a cancelliere nella sua diocesi». Ricordano che quel ruolo è importante e che la decisione può riaprire ferite, risvegliare sospetti e sconcertare il popolo di Dio.
Ricordano il cambiamento di prospettiva attuato: passare dall’attenzione all’istituzione a quella per le vittime. «Questa diversa ottica, l’ascolto sconvolgente della loro fragilità e del loro dolore, l’accoglimento del loro invito a proseguire umilmente assieme un cammino di verità, hanno avviato nella nostra istituzione ecclesiale, un lungo ed esigente lavoro di conversione che siamo decisi a portare a termine».
È un passaggio importante perché la Conferenza non ha alcuna autorità impositiva sul singolo vescovo che dipende solo dal dicastero romano. Anche il metropolita che presiede alle conferenze regionali può intervenire solo come consigliere. Ma i dati di fatto sembrano suggerire forme di autorità più vincolanti per la Conferenza nazionale, come è già avvenuto con la creazione di un tribunale nazionale in ordine agli abusi.
La notte oscura degli abusanti
Il dibattito ecclesiale di grande trasparenza e interesse non può rimuovere il drammatico vissuto degli abusanti e il loro possibile futuro. Dall’esperienza della comunità di recupero avviata da mons. Gérard Daucourt “Piccola Betania”, nel dipartimento dell’Aube, è nato un volume di testimonianze, curato da Francesco Strazzari (La notte oscura, Pazzini, Rimini 2024) in cui prendono parola i preti che si sono macchiati di abusi.
Le otto storie raccontate, tutte assai diverse, hanno tuttavia una serie di accentuazioni comuni. Come la sorpresa iniziale, la caduta in un abisso di cui non percepivano la gravità. Poi il dramma di una “discesa agli inferi” con la vergogna e l’isolamento successivo. La difficoltà delle relazioni con la famiglia di origine si sommano al rapporto sfrangiato coi fratelli nel sacerdozio. Rimangono spesso feriti dalla forma del processo canonico e dall’isolamento a cui sono condannati, travolti dall’aggressione dei media che anticipano ed enfatizzano ogni condanna.
Il severo e coerente impegno contro gli abusi e a difesa delle vittime non può rimuovere «la cura pastorale, necessaria e imprescindibile, che la Chiesa deve offrire a quei suoi figli macchiatisi di tali crimini e ora impegnati in un cammino di profondo rinnovamento pastorale che li conduca al riconoscimento sincero delle proprie infedeltà e all’umile richiesta di perdono alle vittime» (card. Pietro Parolin).






Finalmente un vescovo profetico, che va oltre luoghi comuni, non si lascia intimidire dal perbenismo ecclesiale, non soggiace al diktat delle urla dei media, e permette a chi ha già scontato la sua pena, si è pentito, un nuovo inizio. Tutto il ministero di Gesù, o quasi, sta nel regalare nuovi inizi a uomini e donne che altri definivano “rovinati per sempre”. Trovo la frase dell’avvocatessa molto emblematica e decisamente vera per il clima di giustizialismo da diritto canonico che vige nella chiesa attuale, soprattutto nelle sfere gerarchiche, impaurite in fondo quasi esclusivamente dalle conseguenze economiche legate agli abusi: «Si è passati da una supposta e sistematica misericordia che non era altro che un silenzio colpevole, a una epurazione drastica nella pretesa di una perfezione illusoria». La decisione del vescovo francese a me sembra porta il discorso sugli abusi ad una fase successiva, di attenzione alle vittime, e di attenzione agli abusanti. Sono due forme diverse di debolezza. Buttare fuori gli abusanti è proprio la via più evangelica? Non significa in qualche caso esporre altre vittime al “pericolo”? Il cristianesimo non cerca la condanna ma la riabilitazione del peccatore. E questo vale anche per i ministri ordinati.
D’accordissimo con Christian. Ok anche al lavoro di La Croix. Resto sconcertata dal fatto che non essendoci stato alcun segno di pentimento e conseguente richiesta di perdono, il sacerdote venga assegnato ad un incarico. Ma un “sano” nascondimento no? Ma pensare alle vittime? A loro non basterà una vita e non dimenticheranno! Ma questi curiali proprio non ce la fanno a capire! Leggessero almeno nel Vangelo cosa ha detto Gesù di chi scandalizza i piccoli! Altro che lavoro in curia… Almeno Papa Francesco aveva provato di ridimensionarle… Ora chissà…
Non usiamo il Vangelo per giustificare il nostro sdegno. Cristo è morto in croce anche per gli abusanti, la frase “sarebbe meglio per loro se si legassero una pietra al collo e si gettassero in mare” non significa che Dio li uccide, significa solo che la logica umana è quella della morte,
Non uso il vangelo e so perfettamente che Cristo è morto per tutti. Il Padre eterno giudicherà meglio di noi ma resta il fatto di non scandalizzare e resta il non rispetto per le vittime.
Su casi delicati e controversi (soprattutto dolorosi) come questi ci si può pronunciare solo avendone diretta e personale contezza…, non semplicemente leggendone o orecchiandone la notizia… Per il resto l’enfasi che il diritto canonico dà a un incarico curiale come il cancelliere mi sembra il vero problema “ecclesiologico” ed “ecclesiale” nel fatto di cui qui sopra leggiamo: si tratta di un ruolo da scribacchino (non “scriba”, che significherebbe qualcos’altro ancora), che viene indebitamente elevato a un rango gerarchico molto alto, come se la Chiesa diocesana fosse innanzitutto la curia diocesana… È questo l’errore di fondo…, che oggi purtroppo sembra sovradimensionarsi anche a livello mondiale, se si considera l’importanza che persino la curia vaticana tende a riacquistare nel post-Francesco. Probabilmente il vescovo francese in questione è uno dei pochi che intuisce tale squilibrio ecclesiologico ed ecclesiale, relativizzando (direi sensatamente) quel ruolo assolutamente secondario e anzi terziario…
Se fra tutto il clero diocesano ha scelto lui per la Cancelleria, viene da pensare… e gli altri come son messi? Possibile che non ci sia un altro “idiota” da piazzare come “scribacchino” (dici tu) senza scatenare questo vespaio? Io penso che il suo vescovo lo abbia scelto con tutt’altra finalità. Magari proprio quella di “esibire” una linea di “misericordina” istituzionale che lo distingua… il che mi fa semplicemente rabbrividire.
Gli “idioti” forse non sono capaci a fare i cancellieri, o forse ha reputato metterlo li per esperienza, ci sono altre possibilità oltre a definire tutti idioti perché a te fa schifo la misericordia. Cosa si dovrebbe fare dunque uccidiamo sto qua? Forse è il caso di ridimensionare i toni e di darsi una calmata, l’articolo vuole proporre una riflessione, forse più di una, sulla condizione degli abusanti conclamati che in qualche modo dopo aver scontato le pene previste devono pur far qualcosa per campare. A questo si aggiunge la riflessione sullo stato degli abusati che vedrebbero affibbiato un compito a l loro aguzzino, da qua la riflessione sulla appropriatezza del compito, che come il don qua sopra ha detto è nulla più e nulla meno di un semplice ruolo di cancelleria, privo di valore decisionale, oltretutto al prete non è nemmeno concesso un lavoro pastorale ne può dire messa in pubblico. Quindi a sto punto mi chiedo che necessità c’è di dare degli idioti a tutti i preti di quella diocesi? e che necessità ci sia di rabbrividire davanti a un vescovo che da un lavoro a un uomo che si sta riabilitando? pensi sia una pubblicità o forse ti scandalizza che qualcuno sia buono mentre tu condanni?
Rileggi bene l’articolo, soprattutto le osservazioni fatte da padre Goujon. Se poi ti sembra ancora legittimo credere che quello di cancelliere sia un ruolo defilato, minore, adatto a quel tipo di riabilitazione, allora abbiamo un parere molto diverso. Io condivido la perplessità espressa dalla Conferenza episcopale francese. Spero che il mio concetto di misericordia sia affine al loro piuttosto che “improvvisato”.
Non c’è nulla da fare, purtroppo: la concezione giuridica della Chiesa va a braccetto con il giustizialismo…
Da quel che è dato capire sembra che il vescovo abbia mancato di prudenza: egli è ancora vittima di una concezione di Chiesa che si estranea dal mondo, perché si ritiene al di sopra di esso. Certamente il perdono si doveva elargire, ma tra il perdono e la nomina in un ruolo così delicato come quello di cancelliere vescovile ce ne passa… Inoltre se un prete non può entrare in contatto con una comunità di fedeli e per questo motivo deve celebrare messa in solitaria, ecc… che senso ha che sia mantenuto nello stato clericale? Può restare da perdonato nella Chiesa, ma essere riconsegnato tra le file dei laici e guadagnarsi da vivere facendo qualsiasi altro mestiere di questo mondo.
Confesso che da laico mi urta profondamente il vocabolario clericale che insiste nel considerare una pena “la riduzione allo stato laicale”. La trovo un’ espressione a dir poco irrispettosa, specie se usata a proposito di crimini come quello commesso dal sacerdote francese in questione (perché la violenza sessuale è un crimine e non solo un peccato). È come se si instillasse l’idea che criminali e pedofili possono pure esserci ma solo tra laici, mentre i chierici restano “esseri angelici” puri e superiori al vile laicato…..e questa è una terribile e nefasta auto illusione di una parte (purtroppo) ancora troppo consistente del clero cattolico
Nessuno lo ha detto. Comunque il crimine è stato pagato, ha scontato la pena, il peccato a quanto pare perdonato, riparazione? bho, non ci è dato saperlo, forse non c’è riparazione, la vittima si porterà sempre dentro quello che è avvenuto, ed è qua che si vorrebbe inserire la riflessione, se possa essere prudente o meno affidare un compito a una persona quando la sua presenza, nonostante l’aver pagato il crimine commesso e nonostante il perdono, potrebbe creare problemi, pur non creandone lui direttamente. A me non pare sinceramente che l’articolo voglia produrre una risposta netta pro o contro, eppure leggo commenti da folla inferocita. bho.
Il Crimine scontato civilmente non riabilita la Reputazione che rimane macchiata a Vita ,
In effetti…
Il Codice di Diritto Canonico parla chiaro.
Certo che se i primi che non rispettano sono i consacrati (e la cosa è purtroppo appurata…).
Altro che Cancelliere vescovile: cappellano al carcere!
Mi permetto una nota a margine. Chi ha seguito questo caso in Francia ha notato la forte presa di posizione dei media cattolici francesi e in particolare del quotidiano La Croix che con equilibrio e fermezza ha dato conto della vicenda facendo emergere le contraddizioni insite nel caso di un prete abusatore condannato dalla giustizia civile ma “assolto e reintegrato” dal suo vescovo senza che il condannato mostrasse mai il benché minino segno di pentimento o di vicinanza nei confronti delle sue vittime. Personalmente sono rimasto molto colpito (in positivo) dal modo in cui La Croix ha affrontato e presentato la questione, segno di un giornalismo maturo e “professionale”, lontano dal giustizialismo e dall’apologetismo ad oltranza (atteggiamento, questo’ultimo, che invece spesso riscontro in non pochi quotidiani e organi di informazione cattolica italiani)