
Fabrizio Sinisi (Barletta, 1987) è drammaturgo, poeta e scrittore. Collabora con i maggiori teatri europei. Ha ottenuto la menzione dell’American Playwrights Project (2017), il Premio Testori per la Letteratura (2018) e il Premio Nazionale dei Critici di Teatro (2021). Collabora con il quotidiano Domani. Il prodigio è il suo primo romanzo (Mondadori, 2025). Ha scritto per Appunti di Stefano Feltri questo pezzo che condensa le riflessioni alla base del suo romanzo.
Quando dico ad amici e conoscenti che il protagonista del mio primo romanzo, Il prodigio, è un prete cattolico, vengo accolto da uno strano stupore. Qualcuno s’incuriosisce, qualcuno tira una battutaccia; qualcuno dice: idea originalissima, personaggio spiazzante.
Per molte persone che hanno meno di quarant’anni nel 2025, un prete non è simbolo di niente: piuttosto una figura stravagante e bizzarra, culturalmente esotica, certo più enigmatica, più misteriosa, più sessualmente drammatica di un cartomante o un guerriero maori, ma quasi altrettanto priva di visibili ricadute nel mondo reale. Un prete, oggi, in molti non sanno neanche più bene cosa sia, cosa faccia, come ragioni o cosa amministri.
Un amico cattolico mi ha detto: «Bello un prete come protagonista, in libreria te lo metteranno nella sezione fantascienza».

È da questo sconcerto, da questo vago senso di esotismo che vorrei partire per questa sommaria escursione nel sentimento religioso della mia epoca: di cui questo romanzo aspira ad essere una parabola.
I lettori più anziani ricorderanno che, fino a quarant’anni fa, la presenza di un sacerdote cattolico – in un romanzo d’invenzione così come in un qualsiasi ambiente pubblico – funzionava come un dispositivo automatico di setaccio ideologico: da un lato i pro, dall’altro i contro, con poca gradazione nel mezzo.
La diarchia Peppone-Don Camillo, per quanto grossolana e un po’ triviale, è stata a lungo un dignitoso strumento di lettura per interpretare l’Italia. A una compatta massa di cattolici – più o meno convinti, più o meno ferventi – se ne opponeva un’altra, forse più esigua, forse anche più appassionata, di empiristi fanaticamente fiduciosi nell’esclusività dell’universo materiale, che di salvezze ultramondane non voleva neanche sentir parlare.
Da un lato, la resurrezione di Gesù, dall’altro, l’insuperabilità dell’atomo: tanto basta a definire il panorama antropologico di un Paese (forse di un’Europa) dove, salvo poche eccezioni, chi non era cristiano era tendenzialmente ateo.
La Chiesa cattolica è stato a lungo un sistema funzionante e omnipervasivo, capace di occupare tutte le gradazioni della scala sociale, trasversalmente alle classi: cattoliche erano le masse popolari, che quasi indiscriminatamente facevano battezzare i propri figli e li mandavano al catechismo a conseguire la trafila dei sacramenti; cattoliche erano le scuole pubbliche, dove il crocifisso troneggiava in tutte le aule ed era frequente, in imminenza delle feste religiose, che le scolaresche celebrassero la messa in istituto e arrivassero plotoni di parroci nelle aule per le confessioni; cattolica era la morale pubblica, dove il divorzio era una pratica rara e stigmatizzata, e cattolici erano la maggior parte dei costumi sessuali, ancora solidamente rotanti intorno a valori di continenza e fedeltà; cattolico era il personaggio più famoso del pianeta, il Papa; e cattolici erano la maggior parte dei mezzi d’informazione, con una RAI che ogni domenica mattina si sintonizzava con l’Angelus del Pontefice e con i TG che, senza esclusioni, ne trasmettevano tutti i comunicati; cattolici erano i vertici istituzionali della politica italiana, e cattoliche spesso le loro direttive, spesso e giustamente accusate di ingerenze; cattolici erano i più importanti momenti collettivi – battesimi, comunioni, matrimoni, funerali; cattolica (o anticattolica, che è la stessa cosa) era gran parte del dibattito intellettuale, quasi sempre incentrato in un acceso frontismo clericale-laicista; e cattolica era la censura, quando una trasmissione, un libro o una mostra passavano il segno consentito; cattolici erano gli uomini politici più importanti (quelli, insomma, che ambivano a governare il Paese), e cattolico era del resto l’unico voto ampio, solido, nazionalpopolare, che un partito poteva aspirare a portare dalla sua; cattolica era, per così dire, la struttura culturale, sociale e politica di un Paese che, ancora al passaggio del millennio, era considerato intriso di clericalismo fino all’osso, al punto da chiedersi se ne saremmo mai usciti – se saremmo mai diventati un «Paese moderno».
Si può dire che, salvo rare eccezioni, per anni l’esperienza del cristianesimo in Italia e, per molti aspetti, anche in Europa, si è sovrapposta a quella della religiosità tout court, al punto da coincidere quasi completamente con essa. Fino a ieri, è stato quasi impossibile in Europa pensare le categorie del misterico, dello spirituale, del religioso al di fuori dell’impostazione cristiana.
La fine dell’egemonia
Oggi quell’egemonia è un lontano ricordo. Quella presenza culturale, sociale e politica così pervasiva da non lasciare, di fatto, alcuno spazio esterno, non esiste più. I dati ISTAT indicano che ormai solo il 30-35% degli italiani si dichiara cattolico, e, di questi, meno della metà frequenta abitualmente la messa domenicale. Va da sé che i numeri, su un tema come questo, sono parziali e non dicono tutto; tanto più che, dopo l’epidemia di Covid, diocesi e parrocchie sono molto più reticenti nel comunicare statistiche relative alle amministrazioni dei sacramenti.

Più visibile (e significativo) è il vertiginoso calo delle ordinazioni sacerdotali, che in Europa sono ai minimi storici. Le autorità ecclesiali non ne parlano volentieri. In uno sfogo quasi rassegnato, il vescovo di Bolzano Ivo Musser, ha dichiarato: «Il calo delle vocazioni sacerdotali e religiose è drammatico, quello dei credenti è ancora più grande e drammatico». Per poi aggiungere: «Ma non perdo la speranza, altrimenti non sarei cristiano».
Certo il dato è eloquente: quasi dalla sera alla mattina, senza traumi né catastrofi apparenti, come un cedimento che arriva al termine di una frattura consumatasi invisibile per molti anni, la religione sembra essere in larga parte scivolata al di fuori dello spazio pubblico e dall’abitudine comunitaria, diventando sempre di più una questione di coscienza del singolo, una rara e sporadica pratica individuale, che solo di rado e tangenzialmente coinvolge la collettività.
Non è certamente, questo, solo un declino mediatico. Chi vive nelle grandi città si sarà già accorto da solo che la Chiesa cattolica è scivolata fuori dalle abitudini della classe media; le chiese sono vuote, e anche in periferia la domenica si fanno altre cose e si seguono altre strade.
Il famigerato voto cattolico – nel Novecento, più una categoria dello spirito che una realtà effettiva – sembra essere completamente disperso.
A non essere più «cattolici» (qualunque cosa questo voglia dire) sono quelli che fino a una generazione fa lo sarebbero stati senz’altro: parliamo di quel famigerato ceto medio la cui crisi economica e politica fa evidentemente tutt’uno con una crisi religiosa e identitaria tout-court. A distanza di quattro anni, ci si rende conto che quella messa pasquale di papa Francesco celebrata durante il lockdown in una piazza san Pietro piovosa e deserta non era solo un episodio, ma un’immagine profetica, un rito luttuoso e finale: molti di quei fedeli trincerati nelle loro case non ne sarebbero mai più usciti. Perlomeno, non per andare a messa.

Matteo Salvini – che, come spesso accade, è uno strumento utilissimo da consultare per capire dove tira il vento – è stato il primo caso di politico sedicente cristiano a schierarsi contro la Chiesa: e chissà quanto consapevolmente, in quell’oscena estate di navi bloccate nei porti e buffoneschi happening sulla riviera, mentre baciando rosari si scontrava con le gerarchie vaticane e baccagliava su quale fosse il significato più giusto di «accoglienza», avrà capito di aver imboccato una svolta epocale: quella in cui, come in altre più tenebrose stagioni della storia, il valore evangelico dell’accoglienza viene subordinato a quello della «difesa dei confini».
Fino a quarant’anni fa sarebbe stato letteralmente impensabile che un leader politico di area conservatrice pensasse di raggranellare voti andando in contrasto col presidente della CEI. Se poi quello stesso leader politico fa tutto questo appellandosi a ogni piè sospinto al nome della Santa Vergine Maria, si capirà che il tempo è entrato in uno strano cortocircuito: il pensiero magico, lo scongiuro, il gesto apotropaico diventano gesti più politicamente redditizi di quanto possa esserlo il rispetto della persona umana e della pastorale evangelica.
Le cose cambiano, e non nel modo in cui ci aspettiamo.
Si entra in un tempo di scudi, di simboli, di identità guerriere e stregonesche.
La fede cattolica non lascia il posto al laicismo razionalista, come si temeva in passato, ma ad altre più irrazionalistiche forme di pensiero magico.
Ci accorgiamo che il cattolicesimo sta perdendo la sua partita non quando nessuno legge più il Vangelo, ma quando la pubblica evocazione dei santi diventa qualcosa di simile al fare le corna o al toccar ferro.
Che cos’è, dunque oggi, nell’epoca dei fedeli pochi e degli agnostici molti, nel pieno del tanto celebrato tramonto delle ideologie universalistiche, un sacerdote cattolico? Non più dunque un punto di riferimento della vita e della religiosità collettiva, né quello strategico avversario le cui budella sarebbero servite, secondo il noto adagio, a impiccare i padroni.
Un prete è forse, oggi, piuttosto quello che Michel Houellebecq descrive in Serotonina: uno strano essere che vive nella società consumistica pagandone tutti gli scotti ma senza poter godere di nessuno dei suoi vantaggi: una creatura malinconica e passata, che con la sua stessa persona proclama una certa incredibile idea di salvezza; una delle tante anime terrestri che, quando si svegliano ogni mattina, provano a decrittare come possono quel segno indecifrabile che è la misteriosa apparizione del mondo. Ma le risposte della Chiesa mancano, o perlomeno sembrano non bastare più a decifrare il mondo.
L’orizzonte del religioso è cambiato, e sta assumendo nuove e insospettabili forme. Come ha scritto Gramsci: «Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri».
L’alleanza col capitalismo
Sembra che sia successo tutto molto rapidamente: ho trentasette anni, sono cresciuto al Sud, e questo mondo ho ben fatto in tempo a vederlo. Ora, da adulto, mi ritrovo in un altro. Ma davvero una scristianizzazione della società può avvenire così, nello spazio di una generazione?
O stiamo forse parlando di un morbo più sotterraneo, che agisce carsicamente già da molto tempo, e di cui solo ora vediamo il decorso, come una malattia dal percorso latente di cui ci appare solo ora, flagrante, l’ultimo stadio?
C’è un episodio, riportato da Pasolini nelle Lettere luterane, intorno a cui possiamo giocare a individuare un momento di svolta. Siamo nel maggio del 1973, e sui manifesti delle città italiane appare uno slogan che, parafrasando il primo dei dieci comandamenti, recita così: «Non avrai altro jeans all’infuori di me».

L’Osservatore Romano se ne lamenta, invocandone tacitamente la censura. Sul Corriere della Sera Pier Paolo Pasolini pubblica l’articolo «Il folle slogan dei jeans Jesus». Nel pezzo, Pasolini ragiona pressappoco così: nell’ambito del vecchio capitalismo, la Chiesa era così influente da avere il potere di influire sulla cultura pubblica e, alla bisogna, intervenire e reprimere, contraddicendo certe volontà liberali del potere statale: costituiva insomma l’unico potere religioso a fianco del potere statale. Ma col boom economico, il capitalismo compie una metamorfosi, facendosi, da industriale che era, consumista ed edonista. Ed è qui che la Chiesa compie l’errore che le costerà la vita: si allea con lo «Stato borghese», che per Pasolini è sinonimo di potere consumista, di turboliberismo edonista, insomma di un capitalismo che prova a compiere un salto di specie:
«La Chiesa ha insomma fatto un patto col diavolo, cioè con lo Stato borghese. Non c’è contraddizione più scandalosa (…). L’accettazione del fascismo è stato per la Chiesa un atroce episodio: ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino».
In altre parole: nel momento in cui il capitalismo inizia a diventare non solo la forma economica, ma anche la religione principale dell’Occidente, la Chiesa – invece di contrastarlo – si è alleata con esso, sperando di stipulare un nuovo concordato neocapitalista.
Ma l’impero non può avere due religioni: dunque l’ordine neocapitalista, dopo aver usato la Chiesa per definire il suo processo, se ne sbarazzerà come di un oggetto usato, diventando esso «la religione di Stato», e ricoprendo quell’egemonia culturale che una volta era stata una prerogativa cattolica. Il capitalismo diventa il nuovo culto.
Che poi anche oggi, in questi mesi, osserviamo questa trasformazione in uno slogan di jeans – con una Sydney Sweeney musa della nuova eugenetica capitalista – è solo una smorfia ironica dell’epoca, che ci ricorda che, a volte, i fenomeni di costume rivelano lo spirito profondo di un’epoca più di certi apparentemente grandi sommovimenti politici.

Noialtri possiamo star qui a chiederci dove e quando la Chiesa ha sbagliato il suo aggancio con la Storia, e per quali ragioni. Possiamo dar ragione a Pasolini, e collocare il bivio nel boom degli anni Sessanta; oppure lanciarci in una scorribanda hegeliana all’indietro e pensare che la Chiesa la sua partita l’abbia persa molto tempo prima, agli albori della rivoluzione industriale, rifiutando di allearsi con i poveri e gli operai proprio nel momento in cui il tecnocapitalismo inizia a muovere i suoi primi passi: quando, nel momento cruciale della modernità, dismette la propria funzione evangelica di casa degli ultimi e degli oppressi e diventa, quasi senza rendersene conto, la religione dello status quo, il sindacato spirituale dei padroni. O ancora più indietro, nel processo contro Galileo.
Si può anche arrivare a dire, come scriveva Diego Fabbri, che il cristianesimo inteso come rivoluzione cristiana, palingenesi della storia, non è mai avvenuto: tradito dai suoi fedeli fin dall’inizio, è finora esistito sempre e solo come promessa, come virtualità, come sfida. In questo caso, le possibilità sarebbero ormai tutte perdute, e i treni tutti passati: finita la stagione dei suoi appuntamenti mancati, la Chiesa rimarrebbe oggi una sorta di trasognato vecchio arnese di un mondo che fu, un oggetto solenne e decrepito incapace sia di formulare le domande che di fornire le risposte, che aspetta solo il soffio di vento che la butterà giù.
Nel mio romanzo ho immaginato la Chiesa cattolica che, come un’azienda che dichiara bancarotta, smantella se stessa: le chiese che chiudono, vescovi e parroci che buttano il colletto alle ortiche ed escono dalle uscite di servizio con lo scatolone in mano, come i dipendenti della Lehman Brothers nel settembre 2008; il Papa in conferenza stampa che dice: abbiamo fatto i nostri errori, e ci mettiamo la faccia, ce ne andiamo a casa.
Non avverrà mai, non in questo modo: non è così che muoiono le grandi istituzioni. Ma è lecito immaginarlo: è a questo che servono i romanzi.
La resistenza della religione
Ciò nonostante, non è finita la religione. Anzi: il bisogno di religioso si afferma più forte che mai, tanto più deflagrante, frustrato e sregolato quanto più esso si muove al di fuori della struttura che per secoli ne ha incanalato (e potremmo dire: monopolizzato) le pulsioni, le modalità, i miti e i movimenti.
La progressiva irrilevanza della Chiesa, insomma, non sta rendendo il mondo più laico né tantomeno più razionalista, ma, al contrario, determina una sua folle sacralizzazione dei feticci e dei riti magici, in una sorta di moderno paganesimo neocapitalista: da un lato abbiamo oroscopi, tarocchi, santoni, profezie, cartomanti, pseudoscienze, discipline orientali, guru dell’autoaiuto, resilienze e manifestazioni e apocalissi più o meno imminenti e una lussureggiante varietà di richiami irrazionalistici. È una situazione da basso impero, dove al decadimento del vecchio pantheon segue una babele di culti minori.
Tuttavia, dall’altro lato, in questo sbracato crepuscolo degli idoli, anche una nuova ortodossia inizia a profilarsi: tacita, silenziosa, priva di insegne, ma forse proprio per questo più totalizzante e pervasiva. Il nuovo capitalismo ha compiuto quel salto di specie temuto da Pasolini negli anni Settanta. Il capitalismo è diventato oggi, finalmente, la religione di Stato, l’orizzonte filosofico e culturale che non lascia spazio ad altro che al proprio totalizzante sistema.
Quando Mark Fisher affermava che «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo», intendeva proprio questo: un capitalismo che, da sistema economico qual era, prende le forme di un orizzonte di senso che pretende di essere esaustivo, e di rispondere a tutte le domande.
Il nostro ecosistema europeo sta avviando, in modo a mio avviso irreversibile, una religiosizzazione della sfera economica. Segni e fenomeni di questa trasformazione sono sotto gli occhi di tutti. Basterebbe analizzare il discorso di TV e giornali per accorgersi di come i mercati siano diventati nuovi dèi – persino più imprevedibili e capricciosi dei precedenti – la cui gestione è affidata a una élite finanziaria sempre più simile a una teocrazia, i cui movimenti, imperscrutabili ai più, rimangono tuttavia l’indiscussa bussola di riferimento di ogni azione politica.
I mercati, si dice, così vogliono i mercati, lo chiedono i mercati, come se si parlasse di demoni che esigono sacrifici rituali. Emergono nuovi dogmi – produttività, occupazione, innovazione tecnologica, diversificazione – e nuove virtù cardinali: ottimismo, entusiasmo, forza di volontà, resilienza, proactivity. Le vecchie guerre religiose si trasformano, coi dazi, in guerre commerciali.
Le università – soprattutto quelle americane – diventano sempre più simili a delle madrasse del capitalismo, dove ogni finalità di studio non finalizzata alla produttività e al guadagno deve essere bandita, instaurando quel monopolio dell’educazione che era, un tempo, la grande ambizione delle religioni.
Le grandi aziende incorporano asili, palestre, luoghi ricreativi, mentre stabiliscono autonomi codici etici: come le parrocchie di un tempo, puntano a diventare luoghi dove i cittadini possano abitare ventiquattr’ore al giorno, svolgendo in loco quasi tutte le funzioni della loro esistenza.
Basta aprire i social network per vedere come le merci vengano sempre più slegate dalle loro funzioni di bellezza o di utilità, riducendosi sempre più alla loro nuda funzione posizionale: si acquistano oggetti e servizi in relazione al loro valore simbolico; come oggetti sacri, li si acquista non perché ci migliorino la vita, ma perché elevino il nostro corpo e la nostra anima verso stati a cui altrimenti non potremmo accedere. E del resto cosa sono le nuove spericolate (e spesso insensate) invenzioni delle archistar se non monumenti a un marchio o a un ego, templi di una nuova religione?

Esiste un deserto delle rivelazioni e dei prodigi, la Silicon Valley, ed esiste una Gerusalemme delle tecnologie, Los Angeles. Da anni insorgono nuovi profeti e nuovi messia: cosa sono infatti Mark Zuckerberg, Peter Thiel, Jeff Bezos, Elon Musk, se non i nuovi grandi santi della nuova èra, i modelli di riferimento di una nuova costellazione di valori?
Diversamente da capitalisti vecchio stile come Bill Gates o François Pinault, a contraddistinguerne la popolarità non è l’importanza del contributo dato alla collettività, ma la consistenza e la rapidità del fatturato, che diventa in automatico – come nel pensiero più radicalmente calvinista – il segno indiscutibile della benevolenza del cielo.
Contemporaneamente, le cose economiche stanno diventando sempre più folli, più imprevedibili, più irrazionali. L’economia inizia a risentire di tutti gli sregolamenti, le irrazionalità, le discrasie della pratica religiosa; le isterie, le espiazioni, i deliri che appartenevano al pensiero magico e trascendente, ora si spostano in quello economico.
I social network – a partire dal concetto stesso di community – sono essi stessi un feticcio religioso, il magico portale d’accesso a un aldilà che non è più ciò che sta oltre la materia o dopo la morte, ma ciò che sta al di là della classe e del ceto sociale: il fuori della propria condizione storica.
Il primo titolo di lavorazione di questo libro era Storia della salvezza, un antico concetto teologico che si può riassumere così: la storia umana non è un succedersi meccanico di eventi, una concatenazione di cause ed effetti, ma il misterioso dispiegamento di un processo divino: la manifestazione di una volontà salvifica che, attraverso gli eventi, si rende via via più chiara. La Storia sarebbe dunque questo processo di sviluppo, di travaglio, di progressiva illuminazione del senso, che culminerà nella salvezza del genere umano.
In fondo, ogni religione può definirsi così: è religioso ciò da cui l’uomo attende la propria salvezza.
Sarebbe interessante domandarcelo oggi, mentre termina un lungo, fallimentare processo storico in cui si è pensato che la ragione illuministica avrebbe alla lunga trionfato su tutto, e inizia una nuova indefinibile era oscura: esiste ancora qualcosa da cui l’uomo d’oggi si aspetta salvezza?
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 27 agosto 2025







Trovo inutile cercare quando sia iniziato il declino: che dire del maschilismo di S. Paolo, o della sua mancanza di misericordia nei confronti degli omosessuali, o dell’imperatore Costantino che inizia a trasformare la religione cristiana nella religione dei “bianchi, ricchi, potenti, colonizzatori”? I cristiani sanno che esempi come S. Francesco o M. Gandhi ci saranno sempre e sono coloro che ascoltano i suggerimenti dello Spirito (che soffia dove vuole, anche se non sei battezzato!) e costruiscono il regno di Dio. Un importante difetto di molti presbiteri di oggi è che trasmettono il Vangelo come se fosse un film, e non cercandone il messaggio teologico universale, che è quello che gli evangelisti volevano trasmettere. E’ ormai un risultato base della moderna esegesi quel che diceva S. Weil: “il Vangelo non va preso alla lettera, va preso sul serio”. Gesù, tanto per dirne una, non ha seccato violentemente nessun fico perché non faceva fichi fuori stagione! E l’evangelista Marco ha usato il temine “diaconeo” (servizio libero, amorevole e volontario) per descrivere il servizio della suocera di Simone appena guarita. E solo gli angeli, in quell’epoca, servivano Dio/Gesù. Questa sbagliata teologia trasmessa al popolino pio ha provocato reazioni del tipo “questo messaggio non dice niente alla mia vita”. Soprattutto nei giovani (il cui 98% percento lascia dopo la cresima) e nella nostra società che, allontanatasi dall’ipocrisia di tanti anni fa, ora ha strumenti per pensare e farsi uno spirito critico. Mancano quindi strutture parrocchiali in cui si possa dire “non ho capito”, “ho queste domande”, “come l’hai detto tu non dice niente per la mia vita”, “io ho un’opinione diversa”, ecc. Questo porterebbe necessariamente a migliorare il sistema. Se ci pensate è la libertà di pensiero critico e dialogo che è basilare nella scienza, ed è uno dei basilari del suo costante miglioramento di fronte ai tanti, normali, errori.
Vi consiglio di leggere questo articolo:
https://www.feinschwarz.net/was-kommt-nach-den-kirchenkrisen-synodale-katholizitaet-lernen/
(fatelo tradurre da Chrome, se, come me, non sapete il tedesco) dove questa chiesa sinodale, che è libera di dialogare, è ben descritta come proposta. Il tutto in una chiesa cristiana tedesca che è ben più in crisi rispetto a quella italiana. Il passo da fare, secondo me, è necessariamente quello, e necessariamente si farà. Il problema è che troppi preti non sono pronti perché vengono ancora educati ad avere “vocazioni speciali”, per poi sentiti persi e soli non appena scoprono che non sanno rispondere a tante domande dei loro parrocchiani. Molti pensano che il dialogo sia già “io ti spiego qual è la verità, tu, al più, mi dici la tua esperienza”. Non sono pronti a dire: “non lo so, cerchiamo insieme”.
PS: sono perfettamente d’accordo con Chiara e con gli atteggiamenti brutalmente maschilisti (e omofobi) di tanto magistero. Ma nel Vangelo ogni donna è descritta in modo rivoluzionario e fantastico (se si cerca il messaggio teologico e non quello letterale). I discepoli maschi sono descritti come ottusi personaggi in continuo errore rispetto al messaggio di Gesù. Tant’è che qualcuno ha detto che il Vangelo deve essere necessariamente vero perché altrimenti gli autori stessi (maschi) non avrebbero descritto i discepoli facendogli fare tali brutte figure.
Applausi! È proprio così
Assolutamente d’accordo , o ci si apre alla “Vielfalt” , alla molteplicità di persone, domande , dubbi e proposte o si perderà definitivamente tutto . Se non si esce dalla passività alla quale ci ha abituato questa chiesa e non si recupera una partecipazione popolare attiva , l’irrilevanza è assicurata E siamo ormai ai tempi supplementari..
Viviamo già in una società polverizzata socialmente, il problema non è aprirsi alla pluralità, ma incontrarsi in una qualche forma di sintesi o dialogo. Altrimenti, giustamente, ognuno si terrà la sua bolla, la sua idea e le sue convinzioni e andrà avanti per la sua strada da solo. Troppi dubbi paradossalmente portano ad arroccarsi in difesa, bisogna invece avere il coraggio di aprirsi all’altro. (All’ Altro direbbe Lacan.)
E come ti apri all’Altro se non attraverso il dialogo? La bolla è quella di chi ha fatto così tante sintesi, così belle, così istituzionalizzate che ha non ha più orecchio – gente che parla da sola, se le canta e se le suona e crede ancora che qualcuno li stia ad ascoltare.
Ti apri se ti metti in discussione per primo? Se entri a gamba tesa dando a tutti dei dogmatici non sembra chr yu voglia aprirti. Davvero qualcuno pensa che ” Mancano quindi strutture parrocchiali in cui si possa dire “non ho capito”, “ho queste domande”, “come l’hai detto tu non dice niente per la mia vita”, “io ho un’opinione diversa”? Si fa, ma non basta. Mi sembrano discorsi che potevano andare bene 40 anni fa oggi è diverso, non si tratta di non “ascoltare” domande ma di saper dare risposte. Abbiamo risposte che cadono bene? Non solo per X o Y o Z ma che sappiano trovare un senso per tutti e 3?
Sempre di meno?
Meglio.
Si ripartirà da pochi e autentici, da dodici persone, come duemila anni fa.
Intanto si asta assistendo a una rinascita numerica di fedeli battezzati nei paesi del nord Europa, senza che nessuno potesse prevederlo.
Analisi interessante, ma figlia evidente della teoria gramscian-pasoliniana intorno alla dialettica economia-religione. Altri, più acutamente, sostengono che sia la visione tecno-scientifica del cosmo e dell’uomo, con la sua incapacità di cogliere la dimensione trascendente, a minare in radice il credere proposto dalle Scritture. Senza una riflessione logico-filosofica che denunci i limiti di tale visione, non si contrasta l’attuale sempre più diffusa INDIFFERENZA verso ogni fede, Già l’enciclica FIDES ET RATIO ammoniva in tal senso,
Non sono d’accordo : la marginalizzazione delle donne nella chiesa non si limita all’esclusione. Ha creato e sostenuto una mentalità che vede le donne funzionali agli uomini, incapaci di pensiero autonomo e in tutto e per tutto persone “pensate” ma non “pensanti” . Ci vedo la stessa logica di potere e gli stessi esiti pratici.
Risposta a Pietro , scusate
La Vergine Maria. …
Santa Ildegarda di Bingen. …
Santa Caterina da Siena. …
Santa Teresa d’Avila. …
Santa Rosa da Lima. …
Santa Teresita di Lisieux. …
Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)
Alcune donne che hanno fatto la storia del cristianesimo per nulla funzionali agli uomini.
Di alcune sappiamo cosa pensavano dalle risposte che davano loro i papi, i confessori, gli inquisitori etc.. di alcune di loro, vissute nel Medioevo, è stata “riconosciuta” la santità nel 20 secolo. Da dopo il Concilio Vaticano II – che doveva aprire alla “modernità” – nulla è cambiato nella chiesa. Nel mondo là fuori le donne studiano, lavorano , partecipano, propongono, combattono. La condizione della donna nel mondo occidentale è migliorata anche se c’è ancora tanta strada da fare. Nella chiesa oggi assistiamo alla fuga indiscriminata delle giovani donne e non emerge nessuna proposta da parte di metà del genere umano .. Probabilmente siamo peggiorate noi o ci ha colto un po’ di stanchezza 🙂 !
I segni di un declino erano chiari già al tempo di Giovanni Paolo II. Tutta l’enfasi era posta sullo scontro con il comunismo, poi si sono accorti che nell’alleanza con il capitalismo occidentale erano state smarrite tante coordinate, nascosti tanti scandali, azzerati tanti significati pregnanti per i cattolici. Ci si è svegliati nell’irrilevanza in politica, nella strumentalizzazione di simboli religiosi ai fini partitici, nella scoperta che jl capitalismo moderno ha una sua religione propria con i suoi riti e i suoi sacerdoti. Infatti quando è arrivato Papa Francesco l’accusa prima che gli è stata rivolta, era di essere un Comunista: ovvia obiezione del capitalismo. Dava molto fastidio ai sacerdoti del capitalismo. Adesso è difficile risalire la china se non si riparte dal basso.
GpII appena caduto il comunismo scrisse la Centesimus annus proprio per ribadire che i problemi irrisolti di giustizia sociale erano ancora lì. C’è stata poi la Caritas in veritate ecc. Forse non è il Papa a dover ribadire sempre l’ovvio (anche oggi con la pace) ma i fedeli a dover mettere in pratica.
Non mi pare che ad altisonanti proclami e a ripetute encicliche sia cambiato nulla agli alti livelli: citare il papato di GPII come esempio di indipendenza dai grandi capitali e come momento di riscatto morale della chiesa, con quanto ormai sappiamo del periodo, mi pare imbarazzante. Concordo assolutamente che la ripartenza non può essere che dal basso.
Sarà pure imbarazzante ma in quell’enciclica faceva un’analisi particolare del marxismo come capitalismo di stato. Lo Stato diventa padrone del capitale ma l’operaio rimane sempre operaio. Paradossalmente è quello che sta facendo Trump andando a braccetto con gli ex “capitalisti illuminati” finanzia in modo che possano reggere l’urto della competizione cinese.
Un’alternativa credibile forse è stata quella di Olivetti, non capitalismo di stato contro privato ma compartecipazione. Detto ciò finora dal basso è arrivato soprattutto populismo quindi non mi faccio grosse illusioni. Facciamo che dipende come il solito dalle persone avere dei riferimenti etici forti, metterli in pratica con coerenza ecc. E’ diverso dall’aspettarsi qualche rivoluzione dal basso…
Ripartire dal basso non lo riferisco al capitalismo. Questo ha vinto e bisogna prenderne atto. Lo si potra’ mitigare, addolcire, socializzare come in Germania o in GB, ma capitalismo rimane.
Io mi riferivo alla Chiesa Cattolica: meno strutture e più ecclesia, meno potere tra i poteri e più diaconia e presenza attiva, come il famoso evangelico granellino di senape….Già un certo Joseph Ratzinger lo aveva preconizzato tanti anni fa.
Zuck ha avuto la sua stagione filantropica come Gates, forse l’autore dell’articolo non lo ricorda, non sono gli uomini del tech ad essere cambiati, è il capitalismo globalizzato che ha accelerato. Più competitori ecc. Non vedrei la situazione come una lotta tra la ragione illuministica e la barbarie fuori ma come un inveramento della ragione stessa, come già aveva previsto Adorno.
https://st.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-12-02/zuckerberg-re-social-network-filantropo-nuova-generazione-internet-073315.shtml?uuid=ACj2kSlB
Il cambiamento d’epoca è finalmente a tutti evidente. Non sono però pessimista sulla sorte della Chiesa in Italia, anzi essa sta avvicinandosi sempre più a come Dio la vuole: povera, piccola, non considerata, inutile agli occhi del mondo…
E quando?
Matteo 28,18-20
E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
Mi pare che Gesù Cristo abbia comandato di ammaestrare tutte le nazioni e di battezzarle.
Altro che Chiesa piccola e non considerata.
Articolo molto bello forse un po’ barocco nello stile ma che ben fa percepire questa sensazione della fine di un’epoca. Il capitalismo maschilista e violento ha trionfato su tutto e ora ci conduce in un lento declino verso un mondo sconosciuto.
Tutto molto triste quanto evidente. Il problema più grande è che nessuno sembra riuscire ad impedire o rallentare l’inesorabile tracollo.
Non è forse maschilista e violento anche il cattolicesimo ? Tra gli appuntamenti persi dalla chiesa cattolica con la storia io ci metto a buon diritto la totale insensibilità all’emancipazione femminile, che nel pregevole testo non è neppure nominata, ma è una delle poche , vere , faticose e mai definitive conquiste del ventesimo secolo.
Vero ma noi ci siamo liberati da una religione maschilista per finire in un capitalismo peggiore da questo punto di vista. Quello che sembrava una liberazione dal pregiudizio della religione è diventato un ricadere in pregiudizi peggiori dove la donna non solo non può fare quello che fa l’uomo (religione) ma diventa una cosa di proprietà da usare (capitalismo). Questo per dire che siamo caduti dalla padella alla brace.