Dehon, il Sacro Cuore, la democrazia

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Ogni volta che la violenza elimina una voce, per quanto quest’ultima possa essere lontana dal nostro modo di pensare, si produce un vulnus profondo nelle nostre democrazie. L’uccisione di Charlie Kirk mina la libertà di espressione, ma ricorda anche drammaticamente che il «diritto ascolto» di ogni voce, di ogni parola, rappresenta un principio fondamentale dell’ordinamento democratico. Una lettura teologica del rapporto fra devozione al Sacro Cuore di Gesù e la democrazia può rappresentare una chiave per tornare a tessere rapporti di cittadinanza fraterna fra persone che si trovano su fronti opposti dello schieramento politico (intervento tenuto al seminario di studio dei docenti di teologia e degli assistenti pastorali dell’Università Cattolica “Ritornare al cuore. Per un Ateneo innovativo e generativo”).

English version below

Per una università come la Cattolica, dedicata al Sacro Cuore, riflettere sullo stato attuale dell’ordinamento democratico nelle nostre società chiede di confrontarsi con quel periodo storico, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, in cui la funzione politica della devozione al Cuore di Gesù serviva a gettare le basi di un progetto di neo-cristianità in senso anti-moderno.

Fare teologia all’interno dell’Università Cattolica oggi chiede di contribuire all’idealità democratica di cui lo stato costituzionale è forse l’espressione più alta che la modernità sia riuscita a generare. La Costituzione italiana è, infatti, anche il frutto di una teologia civile di assoluto rilievo di cui furono capaci i cattolici che parteciparono all’Assemblea Costituente che la scrisse come lettura della società del nostro paese.

L’incrocio qui appena descritto dice il carattere transdisciplinare che dovrebbe caratterizzare tutte le discipline presenti nella nostra Università – uscendo da quella separazione reciproca dei saperi che frammenta le competenze specifiche e produce un approccio settoriale alle vicende personali e sociali della persona.

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Tra le molte piste possibili, affrontiamo la questione del rapporto fra Sacro Cuore e democrazia facendo riferimento a p. Dehon – fondatore della Congregazione dei sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, che può ben sintetizzare le tensioni, come le possibilità inevase, di quel rapporto. Lo facciamo riferendoci a due aspetti: il primo, più marginale, riguarda l’evoluzione della sua posizione in merito al fatto se la bandiera francese dovesse portare emblemi di matrice cattolica; il secondo, decisamente più nevralgico, concerne il dibattito all’interno del cattolicesimo democratico francese sul senso e significato della democrazia politica.

Iniziamo dal caso della bandiera francese.[1] In un articolo del 1896,[2] Dehon rivendica la necessità di apporre «il segno del Sacro Cuore» alla bandiera nazionale della Francia. Lo fa in chiave di quello che potremmo definire un nazionalismo cattolico, dove la presenza del simbolo religioso del Sacro Cuore apporta una «protezione divina» al destino della Francia non altrimenti possibile.

Per Dehon, insomma, il territorio secolare e politico della nazione, simbolicamente espresso dalla bandiera francese, dovrebbe essere occupato dall’evidenza esplicita del segno religioso cattolico. Più precisamente dal Sacro Cuore, questo in linea con quel progetto di far avanzare il regno sociale di Cristo come riconquista cattolica dello spazio politico moderno. Detta altrimenti, la possibilità per i cattolici di riconoscersi all’interno delle istituzioni politiche moderne è quello di ricondurre queste ultime sotto la tutela (e il controllo) della Chiesa cattolica, gerarchicamente costituita con in capo il romano pontefice.

La dinamica che soggiace a questo progetto intransigente, come lo chiama Daniele Menozzi,[3] è quello di una sorta di colonizzazione religiosa delle istituzioni politiche, al fine di renderle malleabili all’ingiunzione del dettato del magistero cattolico.

Sei anni dopo, nel 1902, Dehon ritorna a trattare il tema della bandiera nazionale francese,[4] «concentrandosi sui colori della bandiera e non su un simbolo da aggiungere. […] Dehon tenta qui di riprendere in modo positivo la simbolica rivoluzionaria e di recuperarla in senso cristiano».[5] Attraverso un’interpretazione teologico-devozionale, Dehon mette mano in questo articolo a un rovesciamento della sua posizione precedente.

Infatti, non si tratta più di colonizzare lo spazio politico, ma di offrire ai cattolici francesi una chiave di lettura della storia istituzionale del paese che permettesse loro di sentirla come non estranea, lontana, se non addirittura in contrapposizione con l’ispirazione cattolica di una partecipazione alle realtà politiche della Francia.

Gli approdi contemporanei delle dinamiche rivoluzionarie possono essere abitati dai cattolici così come essi sono di fatto, senza aggiunte ulteriori – ossia, senza la necessità di piegare l’autonomia delle istituzioni politiche alle indicazioni del magistero cattolico. La bandiera francese, così come è, ha senso anche per i cattolici: essi vi si possono riconoscere senza la necessità di aggiungere un simbolo religioso, quello del Sacro Cuore.

Passiamo al secondo punto, quello del senso della democrazia come forma di governo del popolo. All’interno dei cattolici democratici francesi, ossia fra quei cattolici che avevano accettato la democrazia e non rivendicavano più un ritorno della monarchia, si possono individuare due posizioni: la prima, era quella di coloro che nella democrazia vedevano solo uno strumento momentaneo, senza valore in sé stessa, per garantire la partecipazione cattolica alla vita politica della Francia; la seconda, invece, vedeva nella democrazia un fine in sé, portatore di valori politici e civili che solo essa poteva realizzare.

Dehon, si potrebbe dire, nasce monarchico e muore democratico. La sua transizione dalla nostalgia di una monarchia garante dell’occupazione cattolica dello spazio pubblico francese a un appoggio convinto della democrazia quale tecnica di governo è sicuramente significativa. Nonostante questo, però, la sua interlocuzione con le istituzioni democratiche della politica rimane tendenzialmente funzionale: è la forma di governo che c’è in questo momento, usiamola per raggiungere i nostri scopi cattolici di aprire una nuova epoca di cristianità nel cuore dell’Europa a cavallo fra XIX e XX secolo.

In sostanza, secondo Dehon, i cattolici possono (e devono) servirsi della democrazia, ma non è necessario che si diano poi troppe preoccupazioni per ciò che concerne la sua salvaguardia e miglioramento intrinseco. Infatti, da ultimo, l’unico miglioramento possibile per la democrazia sarebbe stato quello di spalancare le porte al regno sociale del Sacro Cuore, come riconduzione della politica e della vita pubblica all’osservanza della morale e dei costumi della fede cattolica – di cui il papa è il garante sovrano.

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A distanza di un secolo, la teologia praticata all’interno dell’Università cattolica si trova oggi a dover rispondere con urgenza a domande che impegnarono già la devozione al Sacro Cuore di fine ‘800. La vita del mondo contemporaneo è in sé portatrice di un significato teologico, che non gli deve essere aggiunto dall’esterno per mano cattolica ed ecclesiale? Del destino della democrazia dobbiamo occuparcene come impegno della fede, o solo usarla per raggiungere scopi cattolici – per quanto questi possano essere in buona fede?

L’ermeneutica teologica di Dehon sui colori della bandiera francese è sicuramente naif, ma la sua valenza culturale è geniale. Il mondo contemporaneo non deve essere prima addomesticato e riempito di marcatori cattolici per essere lo spazio in cui i fedeli possono muoversi e collaborare alla costruzione della città degli uomini e delle donne. Il senso della teologia è quello di offrire chiavi di lettura della storia umana e delle sue vicende affinché questa possa venire compresa in sé stessa come luogo teologico che parla oggi del Dio di Gesù – e non come uno spazio da colonizzare per poterlo riconoscere come (anche) nostro.

Se così stanno le cose, la teologia non può accedere al suo senso da sola, ma deve iniziare a lavorare insieme alle altre discipline che compongono l’accademia del sapere senza nessuna pretesa di supremazia o sovranità su di esse. Ci sono cose del mondo, e quindi delle presenze di Dio nella contemporaneità, che la teologia può apprendere solo ascoltando altre competenze – con cui deve iniziare a lavorare insieme.

Oggi ci rendiamo conto che l’uso strumentale della democrazia, così come lo intendeva Dehon, può produrre il mostro dell’uscita democratica dalla democrazia stessa (monito troppo disatteso di Claude Lefort). Se c’è una terza guerra mondiale a pezzi, c’è anche una decostruzione a pezzi dell’impalcatura politica e civile della coesistenza umana democratica. Su questo mi sembra che la teologia, almeno quella italiana, abbia poco se non nulla da dire.

In merito, non ci si può limitare ad appelli più o meno generici e neanche a richiamare valori per quanto questi possano essere fondanti. Non basta perché la democrazia non è questione di procedure formali, ma vive di prassi condivise da parte dell’intera cittadinanza. Quindi il contributo della teologia alla tenuta dell’impianto fondamentale del sistema democratico deve attestarsi a livello delle pratiche di convivenza e di cittadinanza condivisa da tutti.

Il contributo della teologia civile dei cattolici che facevano parte dell’Assemblea costituente italiana non fu solo quello della convinta introduzione nella nostra Costituzione dei diritti sociali (famiglia, lavoro, educazione, salute), e dei conseguenti doveri della Repubblica nel creare condizioni di equità che permettano a tutti i cittadini una vita degna di essere vissuta, legata all’accesso a questi diritti sociali. Dove il criterio di equità, rispetto al lavoro per esempio, chiede non solo un giusto salario ma anche che questo consenta una cura effettiva di tutte le persone che compongono il nucleo famigliare. Laddove il salario, per quanto ritenuto giusto, non basta a soddisfare i bisogni fondamentali e sociali della persona, si produce una ferita di quell’aequitas che innerva i principi fondamentali della nostra Costituzione (articoli 1-12).

Quella teologia civile, in dialogo con la tradizione comunista e quella liberale, disegnò anche una visione del potere costituente del diritto che recuperava il meglio della tradizione giuridica medioevale di cui la Chiesa fu una tra i protagonisti maggiori. Perché la Costituzione italiana è il frutto di una lettura attenta e ascolto sensibile della società, compresa come spazio che genera il diritto stesso che la ordina e la organizza, e non un atto di potere dello stato che si impone sui cittadini ricondotti al ruolo di sudditi.

Il personalismo cattolico contribuì in maniera decisiva a progettare una comprensione della cittadinanza più ampia dell’appartenenza alla nazione, aperta verso l’universalismo dei diritti umani (e, quindi, non circoscritta in senso etnico, culturale e linguistico).

Tutti tasselli questi di una nuova forma politica che, in Italia e altrove in Europa, si andava costruendo dopo i totalitarismi che si impadronirono del nostro continente fra le due guerre mondiali – disegnando un tipo di democrazia specificamente europea: appunto, la democrazia costituzionale.[6]

Quella dello stato costituzionale «non è più una democrazia puramente parlamentare, o anche puramente popolare, nel senso di una democrazia della volontà generale, che si costruisce sostanzialmente secondo la regola della maggioranza. Prima del popolo che sceglie la sua maggioranza e i suoi rappresentanti c’è il popolo che ha stabilito nella Costituzione le regole fondamentali della sua esistenza. Prima dell’indirizzo politico di maggioranza c’è l’indirizzo costituzionale. Il secondo prevale sul primo. […] La Costituzione precede dunque ogni potere costituito, compreso quello del legislatore rappresentante il popolo sovrano. […] Questa idea della supremazia della Costituzione rinasceva subito dopo la guerra per attuare una svolta radicale, per rassicurare tutti che ora esisteva una legge fondamentale capace di impedire il riaffermarsi nel futuro delle condizioni per un ritorno al recente passato dittatoriale. È questo il primo significato della Costituzione democratica, che è quello della garanzia, dl limite. La democrazia esiste perché nessuno potrà più praticare una politica che potremmo definire assoluta, come era stata la politica della Vernichtung, dell’annientamento della persona dell’avversario».[7]

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Nello stato costituzionale la democrazia non è il governo dei vincenti che si impone sulle minoranze, ma il fatto che tutti (insieme) possono riconoscersi normati da un’istanza che li accomuna ben prima che l’esito cangiante delle elezioni possa scomporli in posizioni di parte. Il modello europeo di democrazia costituzionale, quindi, sta o cade con la possibilità (offerta a tutti) non solo di prendere la parola nello spazio pubblico e all’interno del dibattito istituzionale, ma anche e soprattutto col fatto che questa parola (di tutti) venga debitamente ascoltata (da tutti). Questa è la dignità costituzionale della persona in quanto cittadino.

Una pluralità di parole, che ricevono ascolto, che definisce anche la qualità costituzionale dei partiti politici. Nello stato costituzionale questi raggruppamenti di rappresentanza istituita della cittadinanza non hanno la forma omologata del coro di assensi da tributare al leader, ma quella della composizione dialettica di un coro di voci che compone il mosaico del loro posizionamento a mediazione e negoziazione del conflitto sociale all’interno della cittadinanza, ossia delle dissonanze di visione ordinate «nelle forme e nei limiti dettati dalla Costituzione».[8]

Davanti a questa idealità della democrazia costituzionale appare immediatamente evidente la condizione di fibrillazione in cui si trova oggi l’ordinamento democratico della coesistenza umana.

La modernità dell’economia liberale, oggi rafforzata dall’impero tecno-finanziario, è approdata a una forma di rapporto al mondo caratterizzata dall’aggressività. Il livello crescente di questa aggressività è subito percepibile anche a livello politico – dove «l’altro, colui che ha un’opinione diversa, che vuole sempre qualcosa di diverso da me, che ama e crede in maniera differente, bene costui è semplicemente un impedimento. Deve tenere chiusa la bocca. […] Colui che la pensa politicamente in maniera diversa non viene più visto come un partner di dialogo con cui ci si deve confrontare, ma come un nemico nauseante che si deve ridurre al silenzio».[9]

Davanti a questa carenza di ascolto, che mina in radice la democrazia costituzionale, H. Rosa individua la necessità di un cuore che sa ascoltare e dà spazio alla parola dell’altro – carica di tutta la sua diversità rispetto alle mie opinioni, visione della vita, modo di essere al mondo: «La democrazia funziona solo se ognuno ha una voce che viene resa percepibile. Negli ultimi tempi, però, sono sempre più della convinzione che anche le orecchie siano fondamentali per la democrazia. Non basta che io abbia una voce, che viene udita, ho bisogno anche di orecchie che ascoltano le altre voci. Direi che ci vuole più di questo: insieme alle orecchie è necessario anche un cuore che ascolta, che vuole ascoltare gli altri e rispondere loro. […] La democrazia ha bisogno di un cuore che sa ascoltare, altrimenti non funziona».[10]

Sulla scena politica della contemporaneità, in un passaggio decisivo per ciò che riguarda il futuro dell’ordinamento della coesistenza umana (dove il destino della democrazia costituzionale è giunto a un punto di non ritorno), appare nuovamente l’immagine del cuore. Non si tratta però più di un cuore a vessillo della occupazione di parte dello spazio pubblico abitato da tutti, ma di un cuore capace di apprendere dalle parole e dalle persuasioni fondamentali delle altre persone. Senza ascolto la democrazia si riduce a procedure sempre meno efficaci, che nascondo dietro il loro velo l’eclissarsi della democrazia stessa. Ma l’ascolto di cui la democrazia costituzionale ha oggi bisogno per inventarsi una sua nuova forma non è solo questione di tecnica (l’orecchio come apparato), ma anche e soprattutto questione di sensibilità (il cuore, appunto, come metafora della forza affettiva dei legami sociali).

Tornando, brevemente e di passaggio, al tema della devozione al Sacro Cuore di Gesù (in particolare nella sua declinazione secondo l’esperienza di fede di p. Dehon), credo che essa abbia qualcosa di originale da apportare a questo processo di educazione dei cuori all’ascolto di ogni essere umano – chiunque esso sia e da dovunque egli provenga. Certo, il lavoro da fare è molto e la sua esecuzione non solo complessa ma anche estremamente delicata (perché deve tenere conto delle implicazioni che quella devozione ha comportato a suo tempo). Si tratta, a mio avviso, di dare forma politica, ossia di appartenenza e partecipazione all’edificazione democratica della città umana, a tutta quella dimensione affettiva e fiduciale che caratterizza l’esperienza spirituale di p. Dehon.

Nei rivoli di questo lascito spirituale si può attingere quella forza capace di dare forma al «cuore che sa ascoltare», ossia a delineare il quadro di un diritto all’ascolto come elemento costituente della democrazia costituzionale. Un diritto, questo, che si presenta come un vero e proprio potere istituente di quella cittadinanza allargata che caratterizza lo stato costituzionale di matrice europea – potere da esercitare davanti alle istituzioni politiche dello stato stesso, che si mantiene nei confini disegnati dalla democrazia solo se si mette in ascolto di questa voce della cittadinanza senza nessuna distinzione al suo interno.

L’idealità della democrazia, e in particolare il criterio di equità che contraddistingue lo stato costituzionale, non si può realizzare unicamente attraverso il diritto positivo. Come ricordava Robert Kennedy, in un discorso epocale tenuto nel 1966 presso l’Università di Città del Capo (Sudafrica), il fatto di aver «approvato leggi che vietano la discriminazione nell’istruzione, nel lavoro, nell’alloggio; ma queste leggi da sole non possono superare l’eredità di secoli di famiglie distrutte e bambini sottosviluppati, povertà, degrado e dolore».[11] Se il diritto positivo non è accompagnato e sostenuto da processi culturali volti a trasformare il volto della cittadinanza e a produrre forme veramente comuni a tutti del pieno accesso a essa e della sua condivisione, gli istituti della democrazia saranno solo apparentemente tali.

Processi questi che devono toccare anche le istituzioni politiche che governano la coesistenza democratica fra i molti diversi tra loro. Ritorna qui, nel discorso di Kennedy, proprio il diritto all’ascolto di tutti i cittadini, senza distinzione di classe sociale, razza, religione, cultura.

Diritto, questo, che viene declinato come un vero e proprio potere istituente, che misura la qualità democratiche del potere costituito: «Al cuore della libertà e della democrazia occidentali c’è la convinzione che l’individuo, figlio di Dio, sia il punto di riferimento dei valori, e che tutta la società, tutti i gruppi e gli stati esistano per il bene di quella persona. Pertanto, l’ampliamento della libertà dei singoli esseri umani deve essere l’obiettivo supremo e la pratica costante di qualsiasi società occidentale. […] Di pari passo con la libertà di parola va il potere di essere ascoltati, di partecipare alle decisioni del governo che plasmano la vita degli uomini. Tutto ciò che rende la vita dell’uomo degna di essere vissuta – la famiglia, il lavoro, l’istruzione, un luogo dove crescere i propri figli e un posto dove riposare – tutto questo dipende dalle decisioni del governo; tutto può essere spazzato via da un governo che non ascolta le richieste del suo popolo, e intendo tutto il suo popolo. Pertanto, l’umanità essenziale dell’uomo può essere protetta e preservata solo laddove il governo deve rispondere non solo ai ricchi, non solo a coloro che professano una particolare religione, non solo a coloro che appartengono a una particolare razza, ma a tutto il popolo».[12]

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Il cuore del sistema democratico è caratterizzato dalla dignità inalienabile di ogni essere umano – per il semplice fatto di essere tale: «Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo».[13] Questa dignità, universalmente condivisa da tutte le persone, spinge a dare forma a politiche della fratellanza come forma dell’interazione reciproca fra gli esseri umani: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».[14]

La democrazia costituzionale europea ha posto la dignità intangibile della persona come principio fondamentale dello stato e come limite invalicabile a ogni potere statale: «La dignità umana è inviolabile. Rispettarla e proteggerla è un dovere di tutti i poteri statali. Il popolo tedesco si impegna quindi a rispettare i diritti umani inviolabili e inalienabili come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo».[15]

Il diritto, anche quello costituzionale, può garantire e proteggere la dignità inviolabile di ogni essere umano solo in maniera formale – proprio perché solo così ne può affermare l’universalità. Affinché questo diritto fondamentale possa diventare esperienza effettivamente vissuta dalle persone è necessario l’intervento delle pratiche dell’amore, perché solo nella misura in cui una persona si sente amata per quello che è, senza presupposti di nessun genere, allora questa persona potrà sentire e stimarsi come degna di vivere e di partecipare attivamente alla vita sociale e all’edificazione delle istituzioni pubbliche nel senso di una cittadinanza piena ed effettiva.[16] «Amore e diritto sono i due ambiti del riconoscimento. […] Si tratta di mostrare che all’origine della passione per la giustizia vi sta il cuore; che la nostra civilizzazione e cultura ha saputo tradurre questa intuizione dell’amore nel linguaggio del diritto».[17]

Solo la passione per la giustizia che viene dal cuore, praticata da gesti dell’amore che fanno sentire all’altro «di essere importante in sé stesso, di contare per la società»,[18] ha la forza di generare quella «fedeltà alla situazione concreta», quell’«universalismo situato»,[19] che dà un volto, un nome, una storia all’umana dignità di essere.

Se il riconoscimento effettivo della dignità inviolabile di ogni essere umano rappresenta il cuore della democrazia, e se il cuore è sta all’origine di quella passione per la giustizia che i processi della democrazia costituzionale sono riusciti a tradurre nel linguaggio del diritto costruendo così il tassello fondamentale della convivenza umana nell’orizzonte di una cittadinanza fraterna, allora prendersi cura dei nessi fra devozioni del cuore e ordinamento giuridico dello stato costituzionale diventa una pratica necessaria per non lasciar cadere nell’oblio il meglio della democrazia.

Questo per poterlo consegnare alla generazioni che verranno come l’incipit di una «fine in sé stesso» attorno a cui costruire quella democrazia a venire che ne rappresenta la possibilità impossibile – di cui tutti dobbiamo prenderci cura nelle situazioni concrete della vita di ogni giorno.


[1] Cf. D. Neuhold, Missione e Chiesa, denaro e nazione. Quattro prospettive su Léon Dehon fondatore dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, EDB, Bologna 2020, 323-351.

[2] Cf. L. Dehon, Le drapeau, in https://www.dehondocsoriginals.org/pubblicati/ART/EXT/1896/ART-EXT-1896-0900-8035086.

[3] Cf. D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Einaudi, Torino 1993.

[4] Cf. L. Dehon, Bleu, Blanc, Rouge, in https://www.dehondocsoriginals.org/pubblicati/ART/EXT/1902/ART-EXT-1902-1200-8035174.

[5] Neuhold, Missione, 334-335.

[6] Cf. M. Fioravanti, Pubblico e privato. I principi fondamentali della Costituzione, Editoriale Scientifica, Napoli 2014.

[7] Ibid., 12-14.

[8] Ibid., 14.

[9] H. Rosa, Demokratie braucht Religion, Kösel, München 2024, 42-43.

[10] Ibid., 53-55.

[11] R. Kennedy, Day of Affirmation Address, in https://www.jfklibrary.org/learn/about-jfk/the-kennedy-family/robert-f-kennedy/robert-f-kennedy-speeches/day-of-affirmation-address-university-of-capetown-capetown-south-africa-june-6-1966.

[12] Ibid.

[13] Assemblea generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione universale dei diritti umani (Preambolo), in https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/DICHIARAZIONE_diritti_umani_4lingue.pdf.

[14] Ibid. (§ 1).

[15] Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (§1.1-2).

[16] Cf. J.-M. Ferry, Comment peut-on être européen?, Calmann-Levy, Paris 202o, 209-228.

[17] Ibid., 213-214.

[18] Ibid., 216.

[19] S. Critchley, Unendlich fordernd. Ethik der Verpflichtung, Politik des Widerstandes, Diaphanes, Zürich-Berlin 2008, 61.


Dehon, Sacred Heart, Democracy

No matter how far removed their views may be from our own, every time violence silences a voice, it causes deep damage to our democracies. The killing of Charlie Kirk not only undermines freedom of expression, but also serves as a dramatic reminder that every voice and every word has the right to be heard — a fundamental principle of democracy. A theological reading of the relationship between devotion to the Sacred Heart of Jesus and democracy could be key to rebuilding fraternal citizenship among people on opposite sides of the political spectrum.

For a university dedicated to the Sacred Heart, such as the Catholic University, reflecting on the current state of democratic order in our societies requires examining the historical period at the turn of the 19th and 20th centuries. During this time, devotion to the Heart of Jesus served as the basis for a project of neo-Christianity with an anti-modern perspective.

Contributing to the democratic ideal is an essential aspect of doing theology within the Catholic University today, as the constitutional state is perhaps the highest expression of modernity. The Italian Constitution is also the result of an important civil theology, achieved by Catholics who participated in the Constituent Assembly that wrote it as a reading into our society.

This intersection speaks to the transdisciplinary character that should define all disciplines at our university, moving away from the separation of knowledge that fragments skills and produces a sectoral approach to personal and social affairs.

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Of the many possible avenues, we address the relationship between the Sacred Heart and democracy, referencing Fr. Dehon, the founder of the Congregation of the Priests of the Sacred Heart of Jesus. He exemplifies the tensions and unfulfilled potential of that relationship. We will deal with two aspects. The first, more marginal aspect concerns the evolution of his position on whether the French flag should bear Catholic emblems. The second, more crucial aspect concerns the debate within French democratic Catholicism on the meaning and significance of political democracy.

First, let us address the case of the French flag.[1] In an 1896 article,[2] Dehon argued for affixing “the sign of the Sacred Heart” to the French flag. He did so in the spirit of what we might call Catholic nationalism, in which the presence of the religious symbol of the Sacred Heart brings “divine protection” to the destiny of France that would otherwise be impossible.

In short, for Dehon, the secular and political territory of the nation—symbolically expressed by the French flag—should bear explicit evidence of the Catholic religious symbol. More precisely, he meant the Sacred Heart in line with the project of advancing the social kingdom of Christ, which is a Catholic reconquest of the modern political space. In other words, Catholics can recognize themselves within modern political institutions only by bringing the latter under the protection (and control) of the Catholic Church, which is hierarchically constituted with the Roman pontiff at its head.

This dynamic is a sort of religious colonization of political institutions in order to make them malleable to the dictates of Catholic teaching.

Six years later, in 1902,[3] Dehon revisited the subject of the French national flag, “focusing on its colors rather than adding a new symbol. […] Dehon attempts to embrace revolutionary symbolism positively and recover it in a Christian sense.”[4] Through a theological-devotional interpretation, Dehon reverses his previous position in this article.

It is no longer a matter of colonizing political spaces but rather offering French Catholics a way to understand their country’s institutional history. This allows them to feel that it is not foreign, distant, or opposed to Catholic participation in French political life.

Contemporary outcomes of revolutionary dynamics can be embraced by Catholics as they are without further additions—that is, without bending the autonomy of political institutions to the dictates of Catholic teaching. The French flag, as it is, also makes sense to Catholics; they can identify with it without adding a religious symbol, such as the Sacred Heart.

Next, we will discuss the meaning of democracy as a form of government of the people. Among French Catholic democrats—that is, Catholics who accepted democracy and no longer longed for a return to the monarchy—two positions emerged. The first group saw democracy as a temporary instrument to ensure Catholic participation in French politics. The second group saw democracy as an end in itself, bearing political and civil values that only it could achieve.

Dehon, one might say, was born a monarchist and died a democrat. His transition from nostalgia for a monarchy that guaranteed Catholic presence in the French public sphere to staunch support for democracy as a form of government is significant. Nevertheless, his dialogue with democratic political institutions remained essentially functional. The form of government that exists at this moment should be used to achieve Catholic goals, such as opening a new era of Christianity in the heart of Europe at the turn of the 19th and 20th centuries.

According to Dehon, Catholics can (and must) make use of democracy, but there is no need to worry too much about preserving and improving it. Ultimately, the only improvement to democracy would be opening the doors wide to the social reign of the Sacred Heart—a return of politics and public life to the morals and customs of the Catholic faith, for which the pope is the sovereign guarantor.

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A century later, the theology practiced at the Catholic University must urgently respond to questions that engaged devotion to the Sacred Heart at the end of the 19th century. Does contemporary life have theological meaning, or does it need meaning added to it from outside by Catholic and ecclesiastical hands? Should we concern ourselves with the fate of democracy as a commitment of faith, or should we only use it to achieve Catholic goals, no matter how well-intentioned?

Dehon’s theological interpretation of the colors of the French flag is naive, yet brilliant in its cultural value. The contemporary world does not need to be first domesticated and filled with Catholic markers in order for the faithful to move about and collaborate in constructing the city of men and women. The purpose of theology is to provide insight into human history and its events, allowing us to understand it as a theological space that speaks of the God of Jesus today — not as a place to be colonized to recognize it as ours.

In this case, theology cannot access its meaning alone but must collaborate with other disciplines in the academy without claiming supremacy or sovereignty. Theology can only learn about the world and God’s presence in it by listening to other fields of expertise, with which it must collaborate.

Today, we realize that the instrumental use of democracy, as Dehon understood it, can produce the monster of democratic exit from democracy itself (a warning too often ignored by Claude Lefort). If there is a third world war in pieces, then the political and civil framework of democratic human coexistence is also being deconstructed in pieces. In this regard, it seems to me that theology, at least Italian theology, has little or nothing to say. We cannot limit ourselves to generic appeals or invoke fundamental values. Democracy is not merely a matter of formal procedures; it thrives on practices shared by the entire citizenry. Therefore, theology’s contribution to the stability of the fundamental structure of the democratic system must be at the level of shared coexistence and citizenship practices.

The contribution of Catholics in the Italian Constituent Assembly was not only the inclusion of social rights (family, work, education, and health) in our Constitution, but also the Republic’s consequent duty to create equitable conditions that allow all citizens to live a life worth living by providing access to these social rights. The criterion of equity requires not only a fair wage, but also a wage that allows for the effective care of all family members. When a wage, however fair it may be, is insufficient to satisfy a person’s fundamental and social needs, it undermines the aequitas that underlies the fundamental principles of our Constitution (Articles 1-12).

In dialogue with communist and liberal traditions, civil theology of Catholics members into the Constituent Assembly outlined a vision of the constituent power of law drawing on the best of medieval legal tradition. The Church was one of the major protagonists of this tradition. The Italian Constitution is the result of carefully reading into and listening to society. Society is understood as a space that generates the law that orders and organizes it. In this sense, law is not an act of state power imposed on citizens reduced to subjects.

Catholic personalism contributed decisively to developing a broader understanding of citizenship than mere national belonging, one open to the universalism of human rights and therefore not limited by ethnicity, culture, or language.

These were all pieces of a new political form that was being built in Italy and elsewhere in Europe after the totalitarian regimes that took hold of our continent between the two world wars. This new form of democracy is specifically European: constitutional democracy.[5] That of the constitutional state “is no longer a purely parliamentary democracy or a purely popular democracy in the sense of a democracy of the general will, which is essentially constructed according to the rule of the majority. […] Before the people who elect their majority and representatives, there are the people who have established the fundamental rules of their existence in the Constitution. Before the political direction of the majority, there is the constitutional direction. The latter prevails over the former. […] The Constitution therefore precedes all constituted power, including that of the legislature representing the sovereign people. This idea of constitutional supremacy was revived after the war to effect radical change and reassure everyone that a fundamental law would prevent the return of the recent dictatorial past. The primary meaning of the democratic Constitution is guarantee and limitation. Democracy exists to prevent anyone from ever practicing a policy such as Vernichtung, the annihilation of the political opponent.”[6]

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In a constitutional state, democracy is not the rule of the victors over minorities. Rather, it is the recognition by all that they are governed by an authority that unites them, even when elections divide them into partisan positions. Therefore, the European model of constitutional democracy stands or falls with the possibility offered to all not only to speak in the public sphere and within institutional debates but also, and above all, with the fact that this speech is duly listened to by all. This is the constitutional dignity of the person as a citizen.

A plurality of voices that are heard also defines the constitutional quality of political parties. In the constitutional state, these groups representing the citizenry do not take the standardized form of a chorus of assents paid to the leader. Rather, they take the form of a dialectical composition of voices that make up the mosaic of their position. They mediate and negotiate social conflict within the citizenry—that is, the dissonant visions ordered “in the forms and within the limits dictated by the Constitution.”[7]

In contrast, the current state of turmoil of the democratic order of human coexistence is immediately apparent.

The modern liberal economy, now reinforced by the techno-financial empire, has arrived at a relationship with the world characterized by aggression. This growing level of aggressiveness is immediately perceptible, even at the political level, where “the other, the one with a different opinion, who wants different things, who loves and believes differently, is simply an impediment. He must keep his mouth shut. […] Those who think differently politically are no longer seen as partners with whom one must engage in dialogue, but rather as nauseating enemies who must be silenced.”[8]

This lack of listening undermines constitutional democracy at its roots. H. Rosa identifies the need for a heart that knows how to listen and give space to the words of others, which are charged with all their diversity compared to one’s own opinions, vision of life, and way of being in the world. Rosa writes, “Democracy only works if everyone has a voice that is made audible. Recently, however, I have become increasingly convinced that ears are also fundamental to democracy. It is not enough for me to have a voice that is heard. I also need ears that listen to other voices. In fact, more is needed: along with ears, we need a heart that listens and wants to respond to others. Democracy needs a heart that knows how to listen; otherwise, it does not work.”[9]

On the contemporary political scene, at a decisive moment for the future of human coexistence, the image of the heart reappears. However, it is no longer a heart symbolizing the occupation of the public square by a few, but rather, a heart capable of learning from the words and fundamental beliefs of others. Without listening, democracy becomes increasingly ineffective, hiding behind its veil the eclipse of democracy itself. The listening that constitutional democracy needs today, however, is not only a matter of technique (the ear as an apparatus), but also, and above all, a matter of sensitivity (the heart, precisely, as a metaphor for the affective force of social bonds).

Returning briefly to the theme of devotion to the Sacred Heart of Jesus, particularly as experienced by Fr. Dehon, I believe it has something original to contribute to educating hearts to listen to every human being, regardless of who they are or where they come from. Of course, much work remains, and its execution is complex and delicate because it must consider the implications of devotion at that time. In my opinion, the challenge lies in giving political form to the entire affective and trusting dimension that characterizes Fr. Dehon’s spiritual experience, that is, belonging and participating in the democratic building of the human city.

Drawing on the strength of this spiritual legacy, we can give shape to the “heart that knows how to listen,” outlining the framework of a right to be heard as an element of constitutional democracy. This right presents itself as the real power that institutes that enlarged citizenship characteristic of the European constitutional state—a power to be exercised before the state’s own political institutions, which remain within the boundaries drawn by democracy only if they listen to the voice of the citizenry without distinction.

The ideal of democracy and the criterion of equity that distinguishes the constitutional state cannot be achieved solely through positive law. As Robert Kennedy recalled in a landmark 1966 speech at the University of Cape Town in South Africa, passing “laws that prohibit discrimination in education, employment, and housing alone cannot overcome the legacy of broken families, stunted children, poverty, degradation, and pain over centuries.”[10] If positive law is not accompanied by cultural processes that transform the nature of citizenship and provide everyone with equal access to it, the institutions of democracy will only appear democratic.

These processes must affect the political institutions that govern democratic coexistence among different people. In Kennedy’s speech, we see the return of the right of all citizens to be heard without distinction of social class, race, religion, or culture. This right is an instituting power that measures the democratic quality of established power: “At the heart of Western freedom and democracy is the belief that the individual is the touchstone of value, and all society, groups, and states exist for that person’s benefit. Therefore, the expansion of liberty for individuals must be the primary goal and ongoing practice of any Western society. […] Hand in hand with freedom of speech goes the power to be heard—to share in the decisions of government that shape people’s lives. Everything that makes people’s lives worthwhile—family, work, education, a place to rear one’s children, and a place to rest one’s head—depends on the decisions of the government. All of this can be swept away by a government that does not heed the demands of its people—all of its people. Therefore, the essential humanity of man can be protected and preserved only where the government must answer – not just to the wealthy; not just to those of a particular religion, not just to those of a particular race; but to all of the people.”[11]

***

The heart of the democratic system is characterized by the inalienable dignity of every human being simply because they are human. “Recognition of the inherent dignity and of the equal and inalienable rights of all members of the human family is the foundation of freedom, justice, and peace in the world.”[12] This dignity, shared by all people, prompts us to create policies of brotherhood and sisterhood as form of mutual interaction between human beings. “All human beings are born free and equal in dignity and rights. They are endowed with reason and conscience and should act toward one another in a spirit of brotherhood.”[13]

European constitutional democracy has established the inviolable dignity of the individual as a fundamental principle of the state and an insurmountable limit to state power: “Human dignity is inviolable. Respecting and protecting it is the duty of all state powers. The German people therefore commit themselves to respecting the inalienable and inviolable human rights that form the basis of every human community, peace, and justice in the world.”[14]

Law, including constitutional law, can only formally guarantee and protect the inviolable dignity of every human being—because this is the only way to affirm its universality. For this fundamental right to become an actual experience for people, however, practices of love are necessary. Only when a person feels loved without preconditions can they feel worthy of living and participating in social life and building public institutions as full and effective citizens.[15] “Love and law are the two spheres of recognition. […] It is a matter of showing that the passion for justice originates from the heart and that our civilization and culture have translated this intuition of love into the language of law.”[16]

Only a passion for justice that comes from the heart and is expressed through loving gestures that make others feel “important in themselves, that they matter for the society”[17] has the power to generate “fidelity to the concrete situation” as “situated universalism,”[18] which give a face, name, and story to human dignity.

If the effective recognition of the inviolable dignity of every human being is at the heart of democracy and the heart is at the origin of the passion for justice that constitutional democratic processes have translated into the language of law, thereby building the fundamental cornerstone of human coexistence within the framework of fraternal citizenship, then taking care of the links between the devotions of the heart and the legal order of the constitutional state becomes a necessary practice.

This ensures that the best of democracy does not fall into oblivion. Thus, we can hand it on to future generations as the incipit into an “end in itself” around which to build the democracy to come. This democracy represents its impossible possibility, which we must all take care of in the concrete situations of everyday life.

  • Speech given at the study seminar “Returning to the heart. For an innovative and generative university” for theology professors and pastoral assistants of the Catholic University of the Sacred Heart.

[1] See: D. Neuhold, Missione e Chiesa, denaro e nazione. Quattro prospettive su Léon Dehon fondatore dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, EDB, Bologna 2020, 323-351.

[2] See: L. Dehon, Le drapeau, in https://www.dehondocsoriginals.org/pubblicati/ART/EXT/1896/ART-EXT-1896-0900-8035086.

[3] See: L. Dehon, Bleu, Blanc, Rouge, in https://www.dehondocsoriginals.org/pubblicati/ART/EXT/1902/ART-EXT-1902-1200-8035174.

[4] Neuhold, Missione, 334-335.

[5] See: M. Fioravanti, Pubblico e privato. I principi fondamentali della Costituzione, Editoriale Scientifica, Napoli 2014.

[6] Ibid., 12-14.

[7] Ibid., 14.

[8] H. Rosa, Demokratie braucht Religion, Kösel, München 2024, 42-43.

[9] Ibid., 53-55.

[10] R. Kennedy, Day of Affirmation Address, in https://www.jfklibrary.org/learn/about-jfk/the-kennedy-family/robert-f-kennedy/robert-f-kennedy-speeches/day-of-affirmation-address-university-of-capetown-capetown-south-africa-june-6-1966.

[11] Ibid.

[12] General Assembly of the United Nations, Universal Declaration of Human Rights (Preamble), https://www.un.org/en/about-us/universal-declaration-of-human-rights.

[13] Ibid. (Article 1).

[14] Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (§1.1-2).

[15] See: J.-M. Ferry, Comment peut-on être européen?, Calmann-Levy, Paris 202o, 209-228.

[16] Ibid., 213-214.

[17] Ibid., 216.

[18] S. Critchley, Unendlich fordernd. Ethik der Verpflichtung, Politik des Widerstandes, Diaphanes, Zürich-Berlin 2008, 61.

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