Al Festivaletteratura, che si è svolto a Mantova dal 3 al 7 settembre 2025, alcuni eventi sono stati dedicati all’ambiente e all’energia. Tra questi mi sono sembrati particolarmente interessanti Ogni goccia conta con Giorgio Vacchiano e Francesco Avanzi, Energia dall’acqua e per l’acqua con Gianluca Ruggieri e Luca Pareschi, Italia: il tempo che ha fatto e che farà con Luca Mercalli e Annalisa Metta.
Francesco Avanzi intervista Giorgio Vacchiano
Giorgio Vacchiano, intervistato da Francesco Avanzi, è partito dalla recente richiesta della regione Emilia-Romagna di riconoscimento di «emergenza idrica», richiesta già avanzata da altre regioni come Calabria e Puglia. Parlando, in particolare, di siccità occorre distinguere tra quella meteorologica, quella agricola e quella idrologica.
La causa di questi ricorrenti periodi di siccità è da imputarsi, senza dubbio, al cambiamento climatico. L’aumento delle temperature porta alla fusione dei ghiacciai e alla perdita di acqua disponibile per l’agricoltura e per le altre attività umane. Nel periodo 1991-2020 si è registrato un calo del 20% della disponibilità di acqua in Italia.
Inverni secchi e primavere calde determinano stress idrico nelle piante. Parliamo quindi di crisi climatica, riconoscibile da periodi di siccità alternati ad alluvioni. Il consumo del suolo e le guerre presenti in varie parti del mondo non fanno che aumentare la crisi: basti pensare che a Gaza il 97% della poca acqua disponibile non è potabile.
Per poter fronteggiare questa emergenza, dal 2022, molti centri di ricerca in tutto il mondo si sono messi in collegamento tra loro, per capire i problemi e cercare soluzioni; si rendono a tutti disponibili dati che riguardano le montagne di tutto il pianeta e questo perché le montagne sono le principali «fabbriche» dell’acqua, fornendo acqua a tutti. Un inverno senza neve in montagna produce un deficit di acqua in pianura.
È difficile fermare la siccità perché le zone secche si autoalimentano e tendono a estendersi spontaneamente. La siccità è come un incendio: brucia il suolo. Il 2022, in Italia, è stato l’anno più siccitoso degli ultimi 70 anni, con una diminuzione del 20% delle precipitazioni rispetto alla media, con una grande crisi del Po.
La Fondazione CIMA (Centro Internazionale di Monitoraggio Ambientale), con sede a Savona, si adopera per monitorare le dinamiche nivali in relazione alla disponibilità d’acqua, cosa essenziale per poter prevedere, prevenire e attuare per tempo azioni di mitigazione e adattamento, evitando i conflitti, perdite economiche, deficit energetici e danni all’agricoltura e alla biodiversità.
Per fornire informazioni corrette e dati scientificamente solidi e disponibili, Fondazione CIMA e LAB24 de Il Sole 24 ore hanno realizzato l’Osservatorio Neve e Siccità. Per far fronte a questi problemi occorre mettere in atto un piano nazionale di adattamento per potenziare e collegare tra loro gli invasi dove si raccoglie l’acqua, produrre piani pluriennali con norme per il riuso delle acque reflue ed estendere le zone umide e trattenere l’acqua; non distruggere il suolo, evitare la cementificazione.
Occorre attuare una governance dell’acqua, consapevoli che l’acqua è un bene pubblico e condiviso. La scienza offre vari strumenti, come il telerilevamento satellitare, che può identificare le zone della terra maggiormente esposte a stress idrico; si possono creare mappe e atlanti della siccità e sistemi sentinella che avvisano della presenza dei rischi più probabili. Con l’uso di appositi programmi, anche una semplice foto fatta con uno smartphone può farci capire se una pianta è in carenza idrica.
Bisogna anche spiegare la siccità al pubblico, ai ragazzi delle scuole, facendo presente che la siccità non nasce dove la si vede e si propaga. Siamo consapevoli che la crisi idrica non è un destino, ma un sintomo.
Luca Pareschi intervista Gianluca Ruggieri
Gianluca Ruggieri, intervistato da Luca Pareschi, ha esordito citando il libro di Marco Bolzano Resto qui, ispirato all’inondazione di Curon Venosta, prodotta per costruire una diga con lago artificiale e relativa centrale idroelettrica inaugurata nel 1950.
Fino al 1963 l’idroelettrico era la principale fonte per ottenere energia elettrica in Italia. Poi venne superata dal termoelettrico, tuttora molto impiegato. La creazione di una centrale idroelettrica crea importanti impatti sull’ambiente: valli inondate, sedimenti bloccati, alterazione dell’habitat di esseri viventi, evacuazioni forzate di popolazioni. Se a Curon furono circa 2.000 i valligiani che dovettero lasciare le loro case, in Etiopia 20.000 persone stanno per essere trasferite per l’attivazione della grande diga del Rinascimento Etiope sul Nilo Azzurro, in costruzione dal 2011. L’impianto delle Tre Gole in Cina, funzionante dal 2006, ha comportato l’esodo forzato di 1,4 milioni di abitanti.
Ma le centrali idroelettriche hanno anche qualche impatto positivo sugli ecosistemi: si creano zone umide e riserve naturali e regolano il deflusso dell’acqua che può essere re-impiegata per l’irrigazione dei campi. Le centrali alterano il paesaggio, ma il paesaggio lo costruiamo noi. Talvolta possono essere al centro di disastri terribili come quello del Vajont del 1963, quando morirono 2.000 persone a Longarone per il crollo di un pezzo di montagna dentro il bacino idrico, che prpovocò un’onda d’acqua immensa che distrusse il paese.
L’idroelettrico è la più tradizionale fonte rinnovabile, ma l’acqua è necessaria anche per il raffreddamento delle centrali a fonti non rinnovabili: centrali termoelettriche (che usano fonti fossili) e centrali nucleari. In anni recenti siccità e alte temperature hanno costretto a spegnere temporaneamente impianti termoelettrici e nucleari per mancanza d’acqua fresca. Questo perché gli impianti erano stati progettati quando le temperature erano più basse.
Per produrre energia elettrica la fonte più economica di sempre è ora il fotovoltaico. I pannelli fotovoltaici possono essere installati su manufatti artificiali senza consumo di suolo, o anche in mare come già accade per l’eolico negli impianti offshore. In diversi villaggi isolati si usa il fotovoltaico solo nelle ore di soleggiamento per estrarre acqua dai pozzi e per fornire energia elettrica.
Fotovoltaico ed eolico sono però fonti intermittenti, legate alle ore di irraggiamento solare o all’intensità del vento. Per avere una disponibilità costante da queste fonti occorre usare batterie di accumulo dell’energia. Le batterie usano litio che però non deve raggiungere certe temperature, quindi le batterie vanno raffreddate, anche con l’uso dell’acqua. Invece le batterie al sodio non necessitano di raffreddamento, ma occupano più spazio e, oggi, costano di più. Nel caso della geotermia, invece, si utilizza l’acqua calda del sottosuolo per il riscaldamento degli edifici.
L’acqua si presenta anche nei processi di estrazione. Già con le prime macchine a vapore di Newcomen e di Watt nel ‘700 si estraeva acqua dalle miniere di carbone. Oggi si usa l’acqua per separare la sabbia dal petrolio nelle bituminose presenti sotto le foreste canadesi. Anche la fratturazione idraulica («fracking») delle rocce impregnate di petrolio richiede l’uso di acqua ad alta pressione per estrarre il petrolio o il gas; ben sapendo che i combustibili fossili inquinano l’acqua potabile delle falde. Anche per estrarre il litio nel deserto di Atacama in Cile occorre l’acqua, ma l’impatto ambientale per l’estrazione del litio è molto inferiore a quello dell’estrazione dei combustibili fossili.
La scarsità crescente d’acqua dolce a causa dei cambiamenti climatici, spinge ad utilizzare energia per i processi di desalinizzazione dell’acqua marina. Ma questo non basta per superare le criticità degli impianti idroelettrici del Sud Europa e dell’area mediterranea, che rischiano di rimanere senz’acqua in alcuni periodi dell’anno. Per questo occorre puntare su altre fonti rinnovabili.
Luca Mercalli e la storia dell’abete bianco
Luca Mercalli, su sollecitazione di Annalisa Metta, ha ripreso la storia di un abete bianco di Lavarone, morto nel 2017 dopo una lunga vita iniziata nel Settecento durante la piccola età glaciale. Ogni porzione di corteccia, ogni foglia di quell’albero era frutto del clima. Si può dire che ogni essere vivente è fatto di clima.
La differenza tra l’albero e noi umani sta nel fatto che l’albero non si può muovere per adattarsi ai cambiamenti climatici, noi sì. L’albero registra il clima attraverso i suoi anelli di accrescimento. L’abete di Lavarone, dunque, ha vissuto 250 anni ed è coevo alle prime osservazioni meteorologiche sistematiche.
Ci sono alberi che hanno un migliaio di anni di vita o più e che ci possono fornire informazioni sul clima nel Medioevo: una trave di una cattedrale del Mille può portarci a conoscere il clima che c’era nel tardo impero romano. E poi vi sono i legni fossili conservati nel fango di un’alluvione, che ci consentono di estendere le nostre conoscenze a migliaia di anni fa, insieme allo studio dei pollini fossili, dei ghiacciai, delle morene, delle conchiglie. Molti eventi storici sono stati e sono condizionati dal clima o dalle condizioni meteorologiche: una pioggia, una nebbia, un allagamento possono aver determinato l’esito di una battaglia.
I cambiamenti climatici e l’ambiente
Le eruzioni vulcaniche possono portare ad una diminuzione della temperatura globale di 0,5°C o di 1°C, anche per alcuni anni. Nel 536 le forti eruzioni vulcaniche intorbidirono e raffreddarono l’atmosfera fino a compromettere i raccolti, causando siccità, fame, epidemie. Nel 1257 l’esplosione imponente del vulcano Samalas in Indonesia diede inizio alla piccola età glaciale che si protrasse fino a fine ‘800. Il paesaggio che conosciamo si è modellato in questo lungo periodo.
Nella composizione dell’Inverno, Vivaldi si ispirò alla eccezionale gelata della laguna di Venezia tra il 1708 e il 1709. Gli strumenti ad arco di Stradivari, liutaio di Cremona del Settecento, furono prodotti usando abeti del Trentino che presentavano anelli di accrescimento molto fitti a causa delle condizioni climatiche di quel periodo. Nel tardo impero romano le pressioni delle popolazioni nordiche verso il Mediterraneo furono indotte anche dal raffreddamento dovuto a imponenti eruzioni vulcaniche avvenute in Centro America, luogo di cui non si conosceva nemmeno l’esistenza.
Possiamo dire che il clima influenza tutto: la vita delle persone, l’agricoltura, l’arte, la scienza. E questo ci fa capire che siamo tutti legati in modo globale, siamo tutti abitanti della stessa casa, abitiamo tutti lo stesso clima, la stessa atmosfera. L’aria non ha confini: è un bene comune e maltrattato; se lo «rompiamo», tutti ne pagano le conseguenze, anche chi non ha fatto nulla per rovinarlo.
È quello che accade oggi col riscaldamento globale: c’è chi ne è maggiormente responsabile, ma le conseguenze sono pagate anche e soprattutto da chi non c’entra. La fusione dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello dei mari porta e porterà alla scomparsa di molti atolli corallini, di alcuni stati sovrani con l’inondazione di ampie zone costiere. Questo spingerà intere popolazioni a migrare in terre abitabili. Ma al momento nessuno sembra preoccuparsene, se non i diretti interessati.
Noi abitiamo bene le medie latitudini dove il clima favorevole ci consente di produrre il miglior cibo, come avviene nella pianura padana. Ma stiamo attenti: cementificando tutto, consumiamo il suolo con grande rapidità e il paesaggio stesso ne risulta mortificato!
Purtroppo si registrano ostracismo e lentezze verso le politiche climatiche e di tutela dell’ambiente. I paesaggi sono l’autobiografia collettiva delle nostre indecisioni e delle nostre insensibilità, in particolare verso chi paga più duramente gli effetti del cambiamento climatico.
La crisi climatica acuisce le disuguaglianze sociali, come ha osservato papa Francesco: i poveri sono i più esposti alla perdita del lavoro e della abitazione. I cambiamenti climatici ci sono sempre stati, ma oggi siamo di fronte ad una situazione climatica inedita. In passato erano le eruzioni vulcaniche a raffreddare l’atmosfera; ora sono le nostre automobili, le nostre industrie, la nostra agricoltura, i nostri stili di vita a riscaldare l’ecosistema.
Il riscaldamento globale cambia la faccia della Terra, ovunque. A gennaio 2025 gli incendi di Los Angeles hanno toccato anche le ville dei vip, producendo 250 miliardi di dollari di danni e 33 vittime. Anche i ricchi hanno pianto per il clima cambiato.
In passato il danno climatico maggiore era la perdita del raccolto a causa della siccità, a cui seguivano la fame e le epidemie. L’estate piovosa del 1628 causò la perdita di raccolti, la carestia e la pestilenza del 1630 descritta da Manzoni nei Promessi sposi. Nel 2022 in Italia abbiamo avuto una forte siccità, ma nessuno ha patito la fame perché, grazie a trasporti efficienti, si è comprato dai paesi stranieri. Oggi soffrono la carestia le popolazioni povere dell’Africa che non hanno i mezzi per difendersi.
Tuttavia anche noi possiamo patire per il clima: una grandinata può creare centinaia di migliaia di euro di danni solo alle auto parcheggiate in strada; l’alluvione del 2023 in Emilia-Romagna ha causato danni per 10 miliardi di euro. Se gli eventi estremi crescono di frequenza e di intensità, tutta la nostra società va sotto stress.
Una misura per difendersi è l’adattamento. Ma è una strategia vincente a metà, perché è a termine: fino a quando le misure di adattamento saranno sufficienti? Durante un’ondata di caldo va bene diminuire la temperatura dell’ambiente di vita di 2°C/3°C. Ma se la temperatura esterna questa è di 48°C (in Sicilia furono raggiunti i 48,8°C nel 2021) questa misura non basta: il corpo umano, per star bene, non deve esporsi a lungo a temperature superiori ai 37°C. Se ciò accade ci si deve spostare.
E così parliamo di migrazioni climatiche, già presenti oggi, ma che in futuro potranno raggiungere dimensioni enormi. Anche con l’aiuto della più moderna tecnologia non saremo in grado di metterci al riparo. E purtroppo − con il negazionismo di Trump, la retromarcia della UE sul Green Deal e l’aumento delle spese militari − oggi stiamo respingendo o rimandando i principali provvedimenti per salvaguardare l’ambiente pensando che ostacolino lo sviluppo, ignorando le conseguenze.
Dalle decisioni che prenderemo nei prossimi 5-10 anni dipende il futuro della nostra specie, in particolare delle giovani generazioni. Ancora abbiamo un piccolo spazio di prevenzione, scegliendo di scaldare il pianeta di 2°C ovvero di 5°C entro il 2100. Con 2°C (accordi di Parigi, 2015) i nostri figli e nipoti se la caveranno, con difficoltà; ma con 5°C di incremento cambierà la possibilità di vita dell’homo sapiens. Intervenire dopo il 2030-2035 sarà troppo tardi.
Anche in passato il clima ha inciso sulle società, ma oggi la situazione è diversa: diversamente da secoli fa, è il caldo e non il freddo a metterci in difficoltà. E purtroppo oggi sembra che abbiamo abbandonato la linea dell’impegno nella transizione energetica a favore delle fonti rinnovabili, seguita fino a due anni fa: stiamo tornando indietro per la prima volta dopo 33 anni dalla COP di Rio de Janeiro del 1992.
Negli USA, con Trump, si sta demolendo tutta la legislazione ambientale per una falsa chimera: sfruttare ora tutto il petrolio che costa ancora poco, per una ipotetica crescita economica. È la politica del dar fondo a tutte le risorse adesso, senza pensare al domani.
Ma già oggi disponiamo delle tecnologie sufficienti per disturbare i processi planetari per migliaia di anni. Dobbiamo cambiare questo modo di pensare e procedere, prima che diventino irreversibili i processi di degradazione in atto. Abbiamo ancora a disposizione uno strumento che è la prevenzione: sostituire le fonti fossili e il nucleare con le rinnovabili. Le scelte di oggi peseranno sul futuro dell’umanità.
Bibliografia
Vacchiano G. (2019). La resilienza del bosco. Storie di foreste che cambiano il pianeta, Mondadori.
Ruggieri G. (2025). Le energie del mondo. Fossile, nucleare, rinnovabile: cosa dobbiamo sapere, Laterza.
Mercalli L. (2025). Breve storia del clima in Italia. Dall’ultima glaciazione al riscaldamento globale, Einaudi.





