
«Non avere paura della santità. Non ti toglierà forze, vita e gioia. Tutto il contrario, perché arriverai ad essere quello che il Padre ha pensato quando ti ha creato e sarai fedele al tuo stesso essere. Dipendere da Lui ci libera dalla schiavitù e ci porta a riconoscere la nostra dignità» (Gaudete et exsultate 32).
Davvero nella sua vita Giuseppe Toniolo (1845-1918) non ha avuto paura della santità, così come l’ha descritta papa Francesco. In un suo scritto si legge: «Voglio farmi santo», e per tutta la sua vita l’adesione alla volontà di Dio, su cui si interrogava costantemente, è stata il filo conduttore.
In forza di una fede che illuminò tutta la sua vita in ogni dimensione: personale, familiare, ecclesiale, professionale, sociale. In una lettera scritta al figlio Antonio il 1° luglio 1904 indicava, quasi in trasparenza, quello che possiamo ritenere essere stato il suo personale progetto di vita: «In Dio sappi ricercare e vedere e gustare sempre e le gioie della futura famiglia e i progressi delle tue indagini scientifiche e lo scioglimento delle questioni sociali; e le previsioni della futura democrazia, e la rivendicazione della patria e della sua grandezza, e il progresso della civiltà per mezzo della Chiesa; tutto ciò che forma (io lo so e ne godo) il nostro comune ideale».
In difesa della democrazia
Il progetto di vita di Giuseppe Toniolo altro non è stato che «fare la volontà di Dio», inteso e praticato come mai separabile dalla fedeltà alla Chiesa, dall’obbedienza al papa. Una fedeltà e un’obbedienza mai vissute come supina sottomissione, ma sempre come valorizzazione della propria intelligenza, dei personali carismi di laico credente messi a disposizione della Chiesa, dei talenti spirituali e culturali (di cui abbondava) sempre spesi a vantaggio del prossimo e della comunità. Anche forzando, per quanto possibile e consentito, schemi precostituiti e datati, allargando la visione, arricchendo il vocabolario ecclesiastico di parole nuove.
Una di queste è democrazia. Pur avendo alle spalle il Sillabo e restando fedele al non expedit, nel luglio del 1897 sulla Rivista Internazionale (una delle sue creature) afferma: «La democrazia nel suo contenuto essenziale può definirsi: quell’ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell’ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori».
Non era scontato parlare di democrazia per cui, in una sorta di battesimo, il sostantivo veniva accompagnato da un aggettivo qualificativo: «cristiana». Finendo per dissentire da chi – come Romolo Murri – ne volle presto far conseguire l’impegno politico diretto, ma anche contrastando quelle componenti del cattolicesimo conservatore che pensavano di risolvere la «questione sociale» attraverso il paternalismo dei benestanti.
Che la democrazia – limitandola per allora a principio da praticare nella società civile, ma non ancora nella comunità politica – dovesse avere come risultato atteso il «prevalente vantaggio delle classi inferiori», possiamo ritenerlo un criterio che ha ancora molto da insegnare all’impegno civile e politico nel tempo presente (si veda l’affermazione del documento ufficiale della CEI degli anni ’80: «ripartire dagli ultimi» (Chiesa italiana e prospettive del paese).
Se, all’interno della compagine ecclesiale del tempo si trattava di evitare l’una e l’altra deriva – l’impegno diretto in politica oppure una carente difesa della dignità della persona e dei diritti dei lavoratori –, nell’Italia di allora i cattolici si trovavano a confrontarsi e a scontrarsi con due opposte ideologie: quella liberale (o meglio liberista) e quella socialista.
La denuncia dell’ingiustizia
Giuseppe Toniolo, studiando la storia (in particolare lo sviluppo dei mestieri e delle corporazioni nella Toscana del ’300) e riflettendo sul presente, diede fondamenti teorici e impulso pratico a tante forme di vitalità del cattolicesimo sociale: la vasta rete delle casse rurali e artigiane, le società operaie, la tutela del lavoro femminile e minorile.
Denunciava «gli speculatori avidi che assumono nelle fabbriche per il lavoro i fanciulli» e, a proposito del lavoro delle donne, così scriveva nel 1911 a un prete pisano, don Bianchi: «Lei ha fatto benissimo a prendere questa iniziativa di legale e santa agitazione sia per l’osservanza delle leggi a tutela del lavoro anche femminile, sia per l’organizzazione delle lavoratrici, che agevoli, insieme alle leggi, il miglioramento economico e morale della donna cristiana».
Al Congresso degli studiosi sociali del 1896 aveva denunciato «l’ingiustizia di fondo delle concezioni libertarie applicate al moderno sistema capitalistico finanziario, la loro natura antiumana e anticristiana», indicando come rimedio radicale la «subordinazione del capitale al lavoro». Aveva ben chiaro che «l’operaio non è soltanto uno strumento di produzione, ma soprattutto un uomo». E che la Chiesa, «in nome della giustizia e della carità, non si peritò mai di far sua la parte dei deboli e degli oppressi».
In un periodo in cui pareva insuperabile l’alternativa secca tra l’accondiscendenza allo sfruttamento economico oppure la lotta di classe destinata a sfociare nel totalitarismo, Giuseppe Toniolo fa appello alla centralità della persona insistendo «sulla destinazione universale dei beni materiali, su un ordine sociale senza oppressione e fondato sullo spirito di collaborazione e di solidarietà».
Vive con fervore la stagione della Rerum novarum (della quale fu uno dei ghost writers?), l’enciclica che diede inizio a quella che poi si è sviluppata come «la dottrina sociale della Chiesa».
Trai tanti meriti del documento di Leone XIII (a cui non casualmente ha fatto riferimento il papa attuale, assumendo il nome di Leone XIV) non ne va dimenticato uno: il passaggio da una Chiesa che difende i propri diritti nei confronti dello Stato (anche ponendosi come avversaria e quasi nemica, vivendo così la “questione romana” a seguito della breccia di Porta Pia…) a una Chiesa che difende la dignità e i diritti delle persone e in particolare degli umili, dei lavoratori sfruttati, tra cui anche donne e bambini. E proprio in fedeltà alla Rerum novarum, Giuseppe Toniolo difende il diritto dei lavoratori di tutelarsi attraverso i sindacati, e non solo tramite le “corporazioni” di operai e imprenditori.
L’anelito della pace
Vive i suoi ultimi anni assistendo con dolore alla «inutile strage» della prima guerra mondiale. Nel gennaio del 1915 (l’Italia non è ancora entrata in guerra, ma già il conflitto armato divampa altrove in Europa) afferma: «L’aspirazione legittima di uno stato e di una nazione (…) degenerò nell’imperialismo di governi e di popolazioni che fanno prevalere la propria superiorità con la preponderanza degli armamenti e con le conquiste continentali e coloniali del mondo intero. È il trionfo della forza, che si sostituì all’autorità della legge morale e del diritto».
E nel giugno del 1917 propone a papa Benedetto XV la costituzione di un Istituto cattolico di diritto internazionale sottolineando «la necessità e l’urgenza che all’odierna… crisi della civiltà e alle sue catastrofi si apprestino tali e più efficaci ordinamenti e rimedi» e avendo ben chiaro che questo potrà avvenire solo attraverso «la sostituzione del diritto allo spadroneggiamento della forza».
Anche se visse e operò in tempi lontani e diversi dagli attuali, Giuseppe Toniolo ci lascia più di una lezione utile per l’oggi: per come affrontare le odierne sfide dell’economia e della finanza, del mondo del lavoro, delle migrazioni, della pace e della guerra, della dignità e dei diritti di ogni essere umano. Temi vitali della nostra società, nel momento in cui si diffondono inediti strumenti per affrontare le sfide nuove senza che siano venute meno quelle di sempre, e però con tanta incertezza su ciò che possa servire davvero al perseguimento del bene comune.
Di fronte al nuovo che urge nelle cose storiche e terrene, personali e comunitarie, la memoria di Giuseppe Toniolo ci consegna una duplice fedeltà: a Dio e all’uomo, alla Chiesa e al mondo, al Vangelo e alla cultura. Così mons. Domenico Sorrentino conclude il suo corposo volume Giuseppe Toniolo – una Chiesa nella storia: «Col suo pensiero-vita Toniolo rimane una luminosa testimonianza di quel continuo sforzo che la Chiesa fa, nei suoi membri, per annunciare il Vangelo alla storia e per adeguare la storia al Vangelo».






Un pensiero quello di Toniolo profondamente in sintonia col magistero sociale della Chiesa da Leone XIII fino ad oggi.