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Un passaggio di pontificato, tra la morte improvvisa di Francesco e l’inizio cauto di Leone XIV, è tempo di riposizionamenti. Colpisce il fatto che una serie di soggetti ecclesiali, fin dai primi giorni dopo l’8 maggio, abbiano iniziato a sollevare con sempre maggior forza la questione della liturgia, come ambito in cui chiedere al nuovo papa di intervenire con urgenza. Questo non avviene per caso.
Una narrazione distorta e interessata della storia recente, suffragata dall’approssimazione di non pochi giornalisti, ha preparato il campo alla “guerra liturgica” scatenata da alcuni cardinali. Di fronte a questo, salvo rarissime eccezioni, tutti tacciono. Questo è un classico fenomeno di corte.
La teologia di corte funziona così. Prima che si pronunci il capo si tace, poi si fa a gara a chi fa i complimenti più sperticati. Siccome il “nuovo” capo non si pronuncia, si traccheggia e si fischietta un motivetto indolore, mentre alcuni le sparano più grosse che mai.
Cerchiamo di capire meglio che cosa sta succedendo. La guerra liturgica nasce da parole, opere e omissioni. Vediamo nel dettaglio queste dinamiche.
La guerra liturgica contro il Concilio Vaticano II
Fin dall’inizio, quando si capì che il Concilio Vaticano II avrebbe prodotto una riforma della Chiesa (come Giovanni XXIII e poi Paolo VI avevano chiaramente dichiarato) si cercò di attaccare il fondamento della prima riforma messa in cantiere: quella della liturgia.
È famoso l’intervento dei cardinali Bacci e Ottaviani, che, già nel 1969, cercarono di fermare la riforma liturgica della messa, con argomenti che C. Vagaggini confutò con la finezza teologica che lo caratterizzava. Era chiaro, già allora, che contestare la nuova liturgia significava bloccare la riforma della Chiesa.
Quando poi fu approvata la riforma liturgica del messale romano, mons. Lefebvre riprese un’idea che era nata alcuni anni prima, formulata dal card. Siri a Genova, in occasione della riforma della veglia pasquale. Il card. Siri aveva chiesto a papa Pio XII, nel 1951, che lasciasse i vescovi liberi di applicare la riforma o di non applicarla. Chiese che si potesse celebrare la veglia “in die” (come prima) o “in nocte” (secondo la riforma), a piacere.
Si capì subito che questo non poteva essere. E Siri comprese allora, come poi comprese 20 anni dopo di fronte al nuovo messale, che la riforma vincolava tutti i battezzati, a partire dai vescovi. Lefebvre, invece, non accettò. Al punto che, nel 1988, dopo aver sempre celebrato col rito tridentino, col rito tridentino ordinò vescovi senza rapporto con Roma. E fu scisma.
Oggi abbiamo vescovi e cardinali che si comportano in modo più simile a Lefebvre che a Siri. Pretendono di stare nella Chiesa cattolica come se il Concilio Vaticano II non ci fosse mai stato e credono di poter dire, pubblicamente, che questa è una cosa normale. Le “forme liturgiche parallele” sono Chiese parallele. Questo i cardinali lo sanno. Con le loro parole irresponsabili alimentano la guerra, piuttosto che promuovere la pace.
L’ipocrisia di una narrazione capovolta
La pace liturgica non si fa accettando come normale la guerra contro il Vaticano II. L’unica pace liturgica è l’accurata applicazione della riforma liturgica, ricca di tutte le sensibilità che la accolgono, non di quelle che la negano. I giochini paternalistici di Burke, Sarah, Mueller, Koch e Bagnasco sono dichiarazioni di guerra, non domande di pace.
Colpisce, in modo particolare, il comportamento recente del card. Bagnasco. A differenza di Burke, Sarah e Mueller, che da molti anni si sono schierati decisamente a favore del rito tridentino, Bagnasco ha fatto cadere la maschera solo molto recentemente. Pur essendo stato ordinato dal card. Siri, appare molto meno prudente di lui. In una recente intervista ha sposato una narrazione capovolta, ingiusta e irresponsabile.
Cito qui le sue 4 righe in cui commette almeno 5 gravi errori: «Sono stato per diversi anni al Dicastero delle Chiese orientali, e ho verificato che, nella Chiesa cattolica, ci sono più di 30 riti liturgici. Non ho mai visto e non vedo ora come la forma straordinaria del rito romano, che è unico, come ha chiarito papa Benedetto XVI, possa, come accade per il rito ambrosiano, creare problemi. Non vedo né rischi né pericoli se le cose si fanno serenamente e con benevolenza da parte di tutti».
Non una sola di queste affermazioni è fondata, come spiegherò tra poco. Al centro, però, vi è una ricostruzione della storia che merita di essere corretta sul piano generale. Da quando esiste la nuova forma del “rito romano” (a partire dalla fine degli anni 60) tutti i papi si sono mossi secondo tradizione: il nuovo rito soppianta la forma precedente.
Così è stato per Paolo VI, per Giovanni Paolo I, per Giovanni Paolo II e per Francesco. Solo papa Benedetto ha ritenuto, in modo troppo audace e obiettivamente imprudente, che, per pacificare la Chiesa, si potesse rimettere in vigore, accanto alla forma nuova, la forma vecchia del rito romano. Nelle intenzioni questa disposizione era per una pacificazione, ma in realtà, mancando di fondamento teologico, ma poggiando solo su sentimenti e nostalgie, si è trasformata, molto rapidamente, in un incitamento alla guerra.
A buon diritto Gianfranco Zizola ha definito Summorum pontificum un atto di “anarchia dall’alto”, mentre il card. Ruini aveva sottolineato, già il giorno dopo la sua approvazione nel 2007, la esigenza di evitare il rischio “che un motu proprio emanato per unire maggiormente la comunità cristiana sia invece utilizzato per dividerla”.
Rispetto a questa audacia arrischiata di papa Benedetto, Francesco è stato più prudente. Semplicemente è tornato alla forma tradizionale di gestione della questione: esiste solo una forma rituale comune a tutta la Chiesa, mentre, per celebrare nella forma tridentina, occorre un’esplicita autorizzazione. Per questo i giudizi superficiali sulla “durezza” di Francesco circa la messa tridentina sono del tutto infondati. Si dovrebbe parlare piuttosto di “diffidenza” di Benedetto verso la messa di Paolo VI.
I cinque gravi errori del card. Bagnasco
Esaminiamo ora nel dettaglio gli errori del card. Bagnasco.
a) Egli inizia dalla sua esperienza nel Dicastero delle Chiese orientali. Ma l’esperienza di pluralità di riti “cattolici” non è molto utile quando si deve parlare del rito romano. Cambiare argomento non è il più grande merito di una risposta. Se ti chiedono “a che ora mangiate pranzo a casa vostra” e tu dici che nel condominio dove abiti si mangia dalle 12 alle 14.30 e tutti sono contenti di mangiare a ore diverse e si rispettano a vicenda, non aiuti molto chi fa la domanda per capire a che ora deve venire da te (e non dagli altri). Il rito romano non è “in comunione con sé stesso” nel momento in cui viene duplicato in forme diverse, tra loro in contraddizione. Riti cattolici e rito romano non sono la stessa cosa.
b) In secondo luogo, il cardinale usa l’espressione “forma straordinaria” come se fosse una “cosa” chiaramente identificabile. In realtà, egli dimentica che la “forma straordinaria” è il sofisma argomentativo, mai usato in 2000 anni di storia della Chiesa, che sta al centro del MP Summorum pontificum.
Di forma straordinaria si è parlato, erroneamente, dal 2007 al 2021, fino a quando un altro MP ha superato questo errore. Dire che l’unico rito romano esiste in due forme (una ordinaria e una straordinaria) è un errore storico e teorico che si paga con la perdita dell’unità. Non esiste nessuna forma straordinaria del rito romano.
C’è solo una forma precedente, che il Concilio e la Riforma liturgica hanno deciso di superare, e c’è una forma successiva, che Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno reso vigente. La ricostruzione con “due forme parallele” è un trucco per rendere la riforma liturgica e il Concilio irrilevanti. Come fa un cardinale a non aver capito che questo errore di prospettiva crea divisione in ogni parrocchia e in ogni diocesi?
c) Riferirsi al “rito ambrosiano” come analogatum della forma straordinaria è un errore storico, teorico e anzitutto geografico. Anche il rito ambrosiano, se non fosse legato ad una storia e ad una geografia, sarebbe fonte di divisione, se domani un papa decidesse, in modo arbitrario, che tutti i battezzati cattolici potrebbero domandare di celebrare i riti romani con forma ambrosiana.
Il rito ambrosiano è giustificato, nella sua esistenza attuale, dalla delimitazione geografica che lo caratterizza. Solo così può essere motivo di ricchezza e non di divisione. La cosiddetta “forma straordinaria”, invece, è lacerante, perché pretende una validità universale e illimitata.
d) Il card. Bagnasco asserisce: “non vedo problemi”. Ma come fa a non vederli? Facciamo alcuni esempi. Il MP Summorum pontificum creava un parallelismo “straordinario” per tutti i riti romani. Ad es. per il matrimonio, diceva che si poteva celebrare il sacramento nella forma successiva al 1969 ma anche nella forma precedente. Ossia nella forma con due anelli, ma anche nella forma con un solo anello (quello della sposa).
Ma questo non può essere, perché la riforma del 1969 ha fatto entrare nella Chiesa la parità di marito e moglie anche nel gesto dell’anello. Il rito precedente al 1969 non è la forma straordinaria del matrimonio, ma la forma vecchia e superata del Rito del matrimonio, che continua a pensare la donna come “subordinata” al marito.
Lo stesso vale per la messa: il rito del 1962 ha un lezionario poverissimo rispetto al rito romano del 1970. E non può essere affidata alla singola comunità o parroco la possibilità di scegliere tra ricchezza e povertà biblica. Non ci sono due forme, ma c’è l’unico rito in una crescita storica che assume un’unica forma, vincolante per tutti.
e) L’ultimo errore è forse il peggiore: far dipendere tutto dalla benevolenza e dalla serenità. Questa è l’ultima mistificazione. La forma straordinaria, in quanto concetto astratto, nasce come contestazione della riforma liturgica. Assumere sullo stesso piano le due forme rituali è un modo di negare quella storia, che ha portato la Chiesa di Roma prima al Concilio e poi alla Riforma che il Concilio ha imposto alla Chiesa, come un dovere di verità e di autenticità.
Non ci può essere benevolenza verso chi attenta al cammino ecclesiale e pensa di rendere accessorio ciò che è centrale. Per questo affermare l’unica lex orandi, come ha fatto papa Francesco nel 2021, ristabilendo la tradizione, è l’unico modo per eliminare la confusione che era sorta nel 2007, con la pretesa di un parallelismo di forme tra loro in contraddizione.
Perché il silenzio di tutti gli altri?
Per finire, mi chiedo: come mai, con il centinaio di cardinali, le migliaia di vescovi, di presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, le centinaia di teologhe e teologi, di fronte alle parole infondate e irresponsabili che esprimono ogni giorno alcuni cardinali, alcuni vescovi, molti giornalisti, e altrettanti tradizionalisti, pressoché nessuno difende le ragioni della riforma liturgica e del Vaticano II?
Perché non si crea un coro di interventi fondati e significativi, che contrastino le semplificazioni e le menzogne che dobbiamo leggere non da blog marginali, ma da cardinali irresponsabili? O aspettiamo solo che parlino i papi e deleghiamo a loro ogni responsabilità?
Sorprende non poco che il dibattito ecclesiale veda, da una parte, una serie di cardinali e molti siti tradizionalistici, tutti accomunati da una straordinaria approssimazione sulla storia e sulla teologia, di fronte ai quali ci sono moltissimi soggetti, a diversi livelli di autorità pastorale, teologica ed ecclesiale, che restano al 99,9% assolutamente muti. E tutti sembrano dire: vediamo che cosa dirà papa Leone. Questo è un modo di ridurre la chiesa ad una associazione cortigiana, che confonde la comunione con l’indifferenza e il silenzio.
Se mi guardo intorno, in questi ultimi mesi, vedo sul tema pochissime espressioni chiare, capaci di affrontare la questione nel modo integrale e preciso che merita. E per trovare un pastore che abbia saputo, in campo liturgico, dire con chiarezza come stanno le cose, debbo tornare al 2022, al testo di Desiderio desideravi, in cui Francesco scriveva queste frasi memorabili, che ogni cardinale dovrebbe custodire come un memoriale e tenersi strette al cuore, cucite sotto la sua sgargiante veste rossa.
«Non possiamo tornare a quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro, hanno sentito la necessità di riformare, approvando, sotto la guida dello Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la riforma. I santi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, approvando i libri liturgici riformati ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II, hanno garantito la fedeltà della riforma al Concilio. Per questo motivo ho scritto Traditionis custodes, perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano».
Questa resta la migliore risposta alle assurde parole di pochi cardinali, di alcuni blog tradizionalisti, di diversi giornalisti molto interessati e poco competenti. Così si è espressa la prudente tradizione che va da Giovanni XXIII a Francesco. Questa è la via della pace.
Chi vuole fare la guerra al Concilio, si inventa parallelismi rituali che mai la storia del rito romano moderno ha conosciuto. Sul testo di Desiderio desideravi vorrei che si pronunciassero da oggi tutti quei cardinali, quei vescovi, quei teologi e quelle teologhe, quei religiosi e quelle religiose che finora sono rimasti in silenzio.
Il loro silenzio diventa un peccato di omissione. Un’opinione pubblica ecclesiale è una delle conseguenze di Dignitatis humanae: la libertà di coscienza è una cosa seria e restare muti è uno dei modi per non attuare il Vaticano II, lasciandosi bloccare dalle regole spietate di una società dell’onore.
Occorre invece denunciare, con precisione e con dignità, tutte le cose sbagliate che dicono coloro che parlano a vanvera (a qualunque livello si collochino, senza alcun inferiority complex) e ristabilire con forza ed entusiasmo la linearità del cammino di sviluppo organico del rito romano.
Perché la riforma liturgica, che resta necessaria, sia riconosciuta insufficiente e bisognosa di quella applicazione, alla quale tutte le sensibilità diverse devono concorrere. La pluralità ecclesiale, con i suoi diversi stili, si esprime nell’unico rito comune da attuare in modo differenziato, non nella contrapposizione ideologica tra VO e NO, che genera solo lacerazione e non produce pace, ma guerra.
- Pubblicato sul blog dell’autore Come se non.






Purtroppo quando si ha la presunzione di essere nel giusto o peggio di avere la “Verità” in tasca e io ne sono l’unico e fedele interprete, manca la base essenziale per il dialogo, che è prima di tutto ascolto del pensiero dell’altro. Ascolto non vuol dire approvazizone, ma almeno provo a apire cosa pensi, come intepreti, come leggi quella vicenda.
In queste questioni messa vecchia o nuova mi pare ci sia più il vezzo di mettere in mostra le mie conoscenze liturgiche-teologiche-storiche, che andare la nocciolo della questione.
La prima “messa” l’ha celebrata un certo Gesù di Nazareth, un giovedì sera prima di Pasqua. Non aveva rito tridentino, Vaticano II, Mozarabico o che… Tutto il resto ce lo abbiamo messo sopra noi. Il Magistero non è da seguire se dice ciò che penso io, o da disobbedire se io non sono d’accordo. Forse continuiamo a ncora a confondere Tradizione con tradizionalismo.
Nel momento in cui l’imperatore romano Costantino, nel 312 D.C., fece apporre sugli scudi dei suoi soldati il simbolo “Chi – Rho” (il monogramma di Cristo), la Croce non fu più il simbolo degli oppressi e la Chiesa si trasformò, in un breve lasso di tempo, in una Istituzione, in un Potere simile agli altri Poteri di questo mondo, Poteri con il quali talvolta è stata in competizione talaltra è scesa a patti, come una qualsiasi Istituzione mondana. Millesettecento anni di storia l’hanno quindi forgiata in una maniera tale che qualsiasi tentativo di riforma si trova davanti un muro di granito difficilmente scalfibile; pertanto, una parte notevole di noi cattolici ritiene, credo in buona fede, che l’essenza della Fede consista anche nei riti sfarzosi, nelle cerimonie sontuose, negli abiti preziosi, simbologia che poco ha a che fare con la semplicità evangelica e molto con la pompa dei riti, delle cerimonie, degli abiti delle funzioni religiose officiate dai sacerdoti dell’Impero romano: e così la pompa liturgica della vecchia religione passò nella nuova. Oggi c’è nostalgia della Chiesa Trionfante (la Chiesa trionfante su questa terra non quella che ha già raggiunto la Gloria del Paradiso)
Lefebvre, invece, non accettò. Al punto che, nel 1988, dopo aver sempre celebrato col rito tridentino, col rito tridentino ordinò vescovi senza rapporto con Roma. E fu scisma.
L’autore ignora che Lefebvre per un certo periodo di tempo celebrò con il Nuovo Rito, e adottò per la FSSPX il Messale del 1962 solo come compromesso tra le varie anime di chi lo segui ad Econe.
Di fatto nella FSSPX vi è una certa variabilità interna su come si celebra.
Questi sono i complessi fatti storici, che l’autore ignora
Chissà perché nella scia dei papi del Vaticano II questo Grillo non vuole annoverare Benedetto XVI? È uno scismatico? Attribuire certi errati intendimenti a J. Ratzinger, senza documentarli, solo perché ti fanno comodo per sostenere la tua tesi preconcetta, mi pare la cosa più scorretta che il liturgista potesse fare. Siamo obiettivi, Francesco aveva un caratteraccio e imponeva le sue fallimentari idee a tutti, nonostante i tentativi di riscoprire la sinodalita’. Benedetto XVI era più saggio, più culturalmente preparato, più attento alla comunione ecclesiale (che non è appiattimento né omologazione), più aperto all’unità della fede nella pluralità delle discipline e delle forme; meno restio a ripetere quello che si è sempre fatto, perché coglieva che i tempi sono sempre vari e la storia non è ripetizione di accadimenti: anche questo è fedeltà all’uomo e al Vangelo.
Senza nessun complesso di inferiorità affermo la mia convinzione che il nuovo messale non c’entra nulla con Sacrosanctum Concilium.
Basta leggere i documenti senza preconcetti e la cosa risulta lampante.
I padri conciliari votarono per un moderato aggiornamento, si trovarono poi di fronte un totale sconvolgimento e, essendo così abituati, obbedirono senza discutere.
Oggi si continua sulla stessa scia: si obbedisce, per convinzione o per convenienza.
Solo pochi hanno il coraggio di dire quel che pensano anche a costo di essere sfrattati.
Se son rose fioriranno se son spine pungeranno!
ma le rose hanno le spine XD
La realta’: delle cose caro Grillo e’ che la Liturgia Tradizionale ,cioe’ la a Liturgia che e’ stata quella della Chiesa per duemila anni ,ha una bellezza che e’ immagine della verita’ e spiritualità’ che ancora oggi attira sempre piu’ fedeli e soprattutto giovani . Non basta proibirla d’ Autorita’ ,perseguitarla e imporre a tutti la Messa Novus Ordo . Potete impedire di andare alla Messa Tradizionale ma non potete imporre di andare alla Messa moderna . Infatti le Chiese sono vuote ,alla Messa i giovani non vanno piu’ perche’
trovano le Messe moderne brutte e noiose . Questa e’ la realta’ dei fatti. Non potete imporre la bruttezza a chi ama la bellezza . Avrete le chiese sempre piu’ vuote .
Per 2000 anni?
Anche la Messa Tridentina può essere celebrata in modo brutto e sciatto… per esempio leggendo tutte le parti submissa vox velocemente e per finta, o celebrando solo la Messa letta bassa.
Allo stesso modo il Nuovo Rito può essere celebrato dignitosamente, per esempio dando spazio al canto.
Il problema è che a molti preti e fedeli non importa molto della Liturgia come espressione e attualizzazione del Mistero di Cristo
La bellezza va vissuta e testimoniata, non solo accolta dai sensi e lasciata lì. Qualcuno che “semplicemente” ami Gesù Cristo e riconosca in lui la “bellezza” che conta c’è ancora ? E chi attesta che siano quelli i motivi per cui “i giovani” non vengono a Messa ? E quanto attraggono invece quei vescovi e sacerdoti che magari se ne stanno lontani dalle persone e, ad essere benevoli, si comportano e parlano come se non credessero nè al demonio nè al giudizio universale oppure fregandosene del vincolo di obbedienza a seconda di “percezioni” e tornaconti ? Per i giovani (e non solo) una qualsiasi serie tv è più credibile e coinvolgente.
Ne ha 500 non 2000 anzi poco meno di 500, è nata con il concilio di Trento, prima di quella data la messa era invece molto più simile alla quella attuale, escluso l’ uso del latino. è risaputo che venisse celebrata rivolta al popolo per esempio. quindi no non ha 2000 anni e come dice l’ artico in realtà era abbastanza povera rispetto a quella attuale. Le chiese sono vuote non certo per colpa della liturgia. Non si fanno figli, le chiese come le scuole si svuotano, in altre parti del mondo invece traboccano. Non è la liturgia che fa scappare i giovani che non ci sono.
Il Messa codificata da Pio V non era altro che una riforma limitata del Messale in uso nella Curia Romana da molti decenni
basti vedere quello che mi pare sia il primo Messale Romano stampato (1474)
https://archive.org/details/missaleromanumm01churgoog/
per vedere la continuità ma si possono anche guardare gli altri riti occidentali non romani (aquileiese, lionese, gli altri neo-gallicani, Sarum) per vedere che essi condividono la stessa struttura di fondo e persino Lutero si baserà per le sue due liturgie di cui è autore sulla Messa celebrata in Occidente, e si possono tranquillamente vedere le molte similarità con il Rito Tridentino
Trento non ha inventato il Messale Tridentino
Non mi pare che la liturgia tradizionale abbia più di 2000 anni… Non a caso si chiama “messa tridentina” e il concilio di Trento è della metà del ‘500….
La realtà è che se la chiesa è “popolo di Dio in cammino” si cammina anche nella liturgia. Per quanto riguarda le chiese vuote e senza giovani: penso che sarebbero ancora di meno con la messa preconciliare….
Il messale prima dell’attuale non era in vigore da 2000 anni… La Tradizione è superiore alle abitudini
Il messale tridentino é in totale continuità con le liturgie in uso almeno dal V secolo (Leone magno).
Lo so che può non piacere ma è così.
‘Totale continuità’ è eccessivo: ha subito sia una perdita di tanti elementi (tipo i vari prefazi propri) che aggiunte (tipo tutte le apologie sacerdotali)
Allora diciamo così: c’è molta più continuità fra le liturgie di Leone Magno e quelle tridentine che fra il messale di Pio V e quello di Paolo VI.
Si può concordare su questo?
E quello attuale non è in continuità con quello precedente? Certo che sì.. Entrambi fanno parte della Tradizione
Che logoramento estenuante. Bene fece Benedetto XVI a pacificare gli animi. Siamo cattolici noi, sono cattolici loro, no? E che celebrino con il rito di papa Giovanni. La realtà è superiore all’idea…
Io ho serissimi dubbi che la pacificazione abbia funzionato: ricordo bene in cosa si trasformó il gruppo Facebook di Messainlatino pochi minuti dopo che Francesco si affaccio si affacciò su Piazza San Pietro, con utenti fino a quel momento ultrapapisti che reagirono comee se si fosse affacciato Satana
Forse intuirono che la pacificazione sarebbe presto finita, come di fatto è avvenuto
‘presto’ vuol dire 7 anni, perché essenzialmente fino al 2021 Francesco lasciò in vigore il Summorum Pontificum, nonostante iniziative dei tradizionalisti non proprio amichevoli tipo la Correctio Filialis
Per adesso i Bergogliani mi sembrano in versione “mi si nota di più se critico o faccio finta non esista un nuovo Papa”? Una volta stabilito che i Papi si seguono solo a sentimento, non ha nemmeno troppo senso prendersela, se son rose fioriranno…
Verissimo. Sembrano tutti sedevacantisti in pectore.
Magari sia i tradizionalisti che i vaticansecondisti sono piccoli gruppi molto nrumorosi. Immagino che la maggior parte dei cattolici nemmeno si interessi di queste lotte interne. Mi pare in ogni caso utopistico pensare di portare la pace sulla scena politica quando si litiga perennemente su tutto..
Ma voi vi illudete seriamente che la guerra mortale fra le componenti della chiesa possa realmente pacificarsi? Quando si crede di avere la giusta interpretare della salvezza pensate seriamente si possa trovare una mediazione? La portata è tale per chi ha fede che fra “tradizionalisti” e “progressisti” (chiamiamoli impropriamente così) non fi sarà mai pace. Sarebbe ora di finirla di sperare in una pacificazione impossibile e forse nemmeno utile alla causa. Si smetterebbe di ricercare la verità se tutto fosse sempre identicamente accettato. Gesù non è venuto a portare la pace ma la spada.
A me onestamente non importa più nulla, passo giusto a vedere se salta fuori qualche suggerimento interessante per le mie riflessioni personali. La tendenza a radicalizzarsi è una caratteristica dei nostri tempi e amen.