Non è facile descrivere che cosa è stata, per chi vi ha preso parte, la Seconda assemblea nazionale del Cammino sinodale della Chiesa in Italia. Provo ad andare per ordine.
Prima della partenza per Roma (31 marzo), l’attesa dei delegati era quella di lavorare su un testo contenente 50 proposizioni prodotte a partire dallo Strumento di lavoro e dalle sintesi che le diocesi avevano inviato (a inizio marzo) dopo un’ultima fase di confronto sulle schede dello stesso documento. Le proposizioni – genere previsto dal regolamento e forse poco noto a molti dei partecipanti – avrebbero dovuto rappresentare, in una sintesi estrema, una sorta di «indice ragionato» delle questioni fondamentali emerse lungo i quattro anni del Cammino.
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I vincoli previsti per il confronto (nei gruppi di lavoro) esprimevano la convinzione della Presidenza del Cammino sinodale di giungere – con pochi emendamenti – alla formulazione definitiva delle proposizioni, che nella mattina conclusiva (3 aprile) dovevano essere votate. Una volta approvate, sarebbero state consegnate alla Assemblea generale della CEI di maggio, ultimo passo prima della redazione del documento finale. Questo era il programma.
Ma qui è successo qualcosa di inatteso. Nella sessione plenaria di martedì mattina le cinquanta persone ammesse a parlare (e le almeno altrettante che hanno consegnato interventi scritti) hanno espresso in modi diversi quello che è parso, alla fine, un giudizio di sostanziale inadeguatezza del testo presentato.
Era evidente: l’assemblea non aveva recepito la proposta della Presidenza. Tanto che – in un’Aula Paolo VI che sosteneva con l’applauso quasi tutti gli interventi – qualcuno ha anche proposto di votare per valutare il consenso sul testo e decidere come proseguire (impossibile, si diceva, emendare un testo complessivamente inadeguato).
La scelta della Presidenza – a quel punto davvero delicata – è stata quella di proseguire con i previsti lavori di gruppo. Togliendo però i vincoli stabiliti in precedenza e aprendo il confronto nei gruppi (guidati ciascuno da un facilitatore) alla possibilità di emendare radicalmente, o anche riscrivere, i testi delle proposizioni. E i gruppi si sono messi seriamente all’opera, proprio come accaduto nell’Assemblea di novembre. Ma a questo punto, con un mandato piuttosto diverso. Ed è stata per i partecipanti una nuova, significativa esperienza della forza di un metodo che parte dall’ascolto e dalle sensibilità di tutti per convergere su una scelta avvertita come la più opportuna dalla maggioranza qualificata (questa volta si è votato anche nei gruppi di lavoro).
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È apparso presto chiaro che, di fronte a tanti suggerimenti di cambiamento, correzione, integrazione, sarebbe stato impossibile per la Presidenza giungere a una formulazione delle proposizioni votabile il giorno successivo.
Così – nel pomeriggio dedicato al pellegrinaggio giubilare dei delegati attraverso la porta santa (2 aprile) – una lunga riunione della Presidenza del Cammino sinodale (che si è poi confrontata con il Consiglio permanente dei vescovi in serata), ha maturato la scelta di ritirare il testo, di non portarlo al voto (quale formulazione sarebbe stata a quel punto proposta?) e di utilizzare i suggerimenti ricevuti per mettere al lavoro la Presidenza, insieme a tutto il Comitato nazionale e ai facilitatori dei gruppi, per una nuova e più matura redazione del documento.
È parso questo il gesto più sinodale di tutto il percorso. Testimonianza, nei fatti, che la sinodalità inizia concretamente a imprimersi come stile – seppure in una parte ancora piccola, ma rappresentativa – dentro il processo di decisione di quanto concerne la vita delle nostre comunità. Presidenza e assemblea animati da una comune passione, al netto di possibili posizioni ideologiche (inevitabili in una dinamica assembleare tanto ampia) che – è bene sottolinearlo – non hanno né animato nella sostanza né conferito il tono al confronto.
L’Assemblea si è caratterizzata per la franchezza con cui si è espressa e per l’impegno con cui ha lavorato alla riscrittura del testo; e la Presidenza (del Cammino sinodale, ma anche dei vescovi italiani) è stata capace di ascolto, cambiando direzione, senza forzare (nonostante ci fossero inevitabili spinte anche in tale direzione).
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Lo ha riconosciuto, con la consueta lucidità, mons. Erio Castellucci nel suo atteso intervento conclusivo durante la plenaria dell’ultimo giorno (3 aprile), facendo sintesi dell’accaduto: «La Chiesa non è composta da guide che ignorano il “sentire” del popolo (di Dio), tirando dritto come se avessero sempre ragione, ma è composta da guide chiamate a discernere la presenza e l’azione dello Spirito nel Popolo di Dio, del quale fanno parte.
Si cresce insieme, ciascuno secondo i propri doni e le proprie responsabilità. Il testo proposto di fatto è apparso inadeguato. L’Assemblea di martedì mattina e le moltissime proposte di emendamento avanzate dai 28 gruppi richiedono un ripensamento globale del testo e non solo l’aggiustamento di alcune sue parti.
I gruppi in queste due mezze giornate hanno lavorato molto bene, intensamente e creativamente, ritrovando nel testo talvolta anche ricchezze che non emergevano a una prima lettura, e hanno integrato e corretto il testo; che tuttavia non si presenta ancora maturo. (…) Vorremmo andare verso un testo che, pur mirando alla sintesi e orientandosi a decisioni votabili (prima o poi occorre pure decidere), sia più discorsivo del presente testo, anche emendato con i lavori di questi giorni, e più ricco e profondo».
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Appaiono del tutto insufficienti le letture che hanno voluto contrapporre qualcuno a qualcun altro nella dinamica di questi giorni (come hanno fatto subito i titoli dei maggiori quotidiani nazionali). È evidente che qualcosa non ha funzionato nella stesura delle proposizioni. E questo è il punto rimasto forse meno chiaro.
Non sarà mancato qualcuno più orientato in difesa delle proprie personali convinzioni e meno disponibile al confronto. Ma sarebbe ingiusto nei confronti di quanto si è espresso ignorare l’evidenza di una attuazione, se si vuole incipiente ma concreta, della sinodalità della Chiesa dalla quale tutti abbiamo imparato, guide e delegati.
«Quello che è successo negli ultimi giorni a Roma, durante i lavori della Seconda assemblea sinodale delle Chiese in Italia – ha scritto Alessandro Zaccuri su Avvenire (4 aprile) –, dimostra come la parresia sia divenuta una prassi indiscutibile e non sia più un generico auspicio. Per qualcuno sarà una sorpresa, per chi ha partecipato agli ormai quattro anni del Cammino sinodale è una conferma».
La mozione conclusiva – l’unica alla fine votata in assemblea – ha accolto la decisione di affidare il testo delle proposizioni «alla Presidenza del Comitato nazionale del Cammino sinodale perché, con il supporto del Comitato e dei facilitatori dei gruppi di studio, provveda alla redazione finale accogliendo emendamenti, priorità e contributi emersi». La convocazione della terza Assemblea nazionale per la votazione del nuovo documento è stata fissata per sabato 25 ottobre, in occasione del Giubileo delle équipe sinodali e degli Organismi di partecipazione.
La presenza di una tale parresia sembra nello spirito in cui questo sinodo è nato e la stessa proposta di rimandare alle Chiese locali una discussine più frammentata e più analitica ancora delle questioni lasciate all”imprevisto ulteriore stato di attesa riferito nell’articolo sarebbe forse di giovamento purché non legata alla volontà di estrarre delle risposte attraverso un pochissimo dialogico sì/no di stile plebiscitario. Anche la delicatezza della situazione politica mi pare consigli di raggruppare le questioni sorte alla data, riportarle alla discussione in sede romana per verificare le situazioni suscettibili di nuove aperture, se ce ne sono, e aprire alla valutazione di quali soluzioni esse effettivamente possano offrire.
Ma perché non si fa un sintesi chiara e comprensibile delle proposizioni principali e innovative e si mandano alle Parrocchie, attraverso le Diocesi, perché tutti i credenti e partecipanti abituali alla vita e alla liturgia domenicale, si esprimano in modo facile ed essenziale con un si o con un no? Sarebbe un modo più democratico e veramente sinodale di partecipazione! L’aver affidato ad un gruppo prescelto di persone, certamente scelte dai Vescovi, non esprime in pieno la sodalità della Chiesa. Ci vorrà molto tempo, ma le scelte sono così importanti, da non aver paura che occorrano mesi ed anni prima di decidere elementi così importanti per la vita della Chiesa e soprattutto dei credenti.
Condivido le osservazioni fatte: osservo lo sconcerto. Come si vede il popolo di Dio ne ha abbastanza di certe idee fatte da pseudo teologi da tavolino. Non vorrei che davvero fosse l’abolizione del cattolicesimo. Accadrà come in Olanda negli anni 70. Tutti i riformatori hanno perso la fede e se ne sono andati dalla Chiesa. La Chiesa Olandese sta crescendo con il “resto”
Se si vuole sul serio procedere ad una radicale riforma occorre debellare il clericalismo. Che non è il singolo prete che abusa sessualmente di un bambino o di una donna. Ma è un sistema di potere basato sul sacro che affligge la chiesa da circa 1600 anni con una tipologia di abusi molto varia: abusi di potere, abusi di coscienza, abusi spirituali, abusi dottrinali, abusi economico-finaziari ed anche abusi sessuali, quest’ ultimi sono quelli più evidenti ma non i più pericolosi. Il processo di declericalizzazione deve riportare la comunità ecclesiale dentro una dimensione di laicità evangelica, purificando ogni struttura (dottrina, codice di diritto canonico, liturgia, spiritualità, …) dalle indebite incrostazioni sacrali che ne hanno deturpato l’originaria funzionalità evangelica. Riforme profonde nella dottrina quindi, nelle norme canoniche, nella prassi liturgica, in ogni elemento della spiritualità. Non basta parlare di concilio, di sinodalitá, di missionarietá, di chiesa ministeriale e di chiesa partecipata. Queste parole devono essere riempite di gesti concreti, di atti di governo, di norme giuridiche, di nuova dottrina, … È inutile, tanto per fare un esempio, “concedere” il sacerdozio ordinato alle donne, se non si sottopone l’identità dottrinale dei presbiteri e dei vescovi ad una sostanziale riformulazione dottrinale. Si otterrebbe un clero femminile accanto al clero maschile. Ed invece è la sostanza dell’essere clero che deve cambiare e cambiare di parecchio. Faccio presente che il clero nemmeno esisteva nelle prime comunità ed a quell’epoca ogni ministero non aveva alcuna caratteristica sacrale. Gesù stesso non era un sacerdote nel senso che allora (ed ancora oggi purtroppo) si da a questo termine. Nessuno dei ministri nei primi secoli si faceva chiamare sacerdote. Ma tutta la comunità partecipava del munus sacerdotale di Gesù Cristo. Il quale ha rivoluzionato il sacerdozio (in particolare) ed ha abolito (in generale) ogni regime di separatezza sacrale. Così come per il sacerdozio, lo stesso è avvenuto per gli altri due munera, quello profetico e quello regale. Cristo è re, sacerdote e profeta in maniera radicalmente innovativa rispetto alla concezione che all’epoca si aveva. Ma questa rivoluzione ebbe vita breve. Con l’avvento del clericalismo le giovani comunità cristiane ritornarono in una dimensione clericale-sacrale e subirono la perdita di ogni caratteristica di laicità. Per lunghissimi secoli la laicità fu dimenticata e trionfò la sacralità. Ogni struttura ecclesiale ha subito un processo di sacralizzazione o clericalizzazione che ha provocato esiti nefasti ed anti evangelici. Tutto è stato clericalizzato. La chiesa vive, pensa, si muove, legifera, celebra, prega, in un regime di separatezza sacrale ossia di dominante clericalismo. Insensibile ad ogni sollecitazione proveniente dallo Spirito e dalle voci profetiche che si levano dal basso. E dai segni dei tempi che da almeno 400 anni emergono dalla laicità del mondo. Il periodo di flebile e lenta transizione, iniziato 60 anni fa con il CVII, è un periodo che andrebbe vissuto con più coraggio e determinazione, senza la paura di uno scisma tradizionalista, che di fatto è in atto e che non può essere arginato se sul serio si vuole salvaguardare l’esigenza del Vangelo. Ogni cautela ed ogni moderazione si sono rivelati dei modi per mascherare una stagnazione, degli espedienti per non procedere sulla strada di una convinta declericalizzazione. Il nodo principale risiede nel moderatismo dei vescovi che fingono equilibrio e prudenza, ma in realtà sono aggrappati ai privilegi che il sistema di potere clericale assegna loro. Ci sono interi episcopati, come ad es. quello statunitense, che si trovano su posizioni reazionarie e boicottano ogni stimolo proveniente da Francesco. Questo è il vero grande problema della chiesa odierna: il sistema di potere basato sul sacro che blocca ogni riforma e che ha come principali attori (più o meno visibili e più o meno conservatori) i nostri vescovi, saldamente avvinti alle loro cattedre episcopali. Il nodo di ogni seria azione riformatrice passa dai vescovi. Sono loro che detengono il potere e sono loro i principali responsabili dello stato in cui versano le nostre comunità. La conversione deve avere luogo innanzitutto nella coscienza di ogni vescovo, inteso come singolo individuo e come corpo episcopale.
In breve il programma è l’abolizione del cattolicesimo e la liquidazione della Chiesa.
Ottimo.
Adelmo Lii Cauzi, non confondere il cristianesimo con il clericalismo. Rischi di avallare un sistema di potere che affligge le nostre comunità da tanti secoli. Gesù Cristo va liberato attraverso una serie di profonde riforme strutturali. Se questo ti fa paura e se preferisci rifugiarti nelle comode stanze di un certo tradizionalismo, significa che non sei fedele alle esigenze del Vangelo. Significa che continui a versare il vino sempre nuovo di Gesù negli otri vecchi della tua tradizione.
Grazie della lezione.
Falla anche a Sant’Agostino, San Benedetto da Norcia, San Francesco d’Assisi, Santa Caterina da Siena, San Giovanni Bosco e a tutti gli altri fino ad oggi.
Nessuno di loro aveva capito nulla.
Ma a tutti quelli che propongono queste cose (che in parte posso anche condividere) faccio una domanda: ma pensate mai che c’è gente che non condivide le vostre proposte ed idee?
Per esempio lei da per scontato che si debbano anche ordinare le donne a tutti i ministeri: però sappiamo che moltissimi cattolici (non solo gente potente, ma anche persone semplici) non lo vogliono e si rifiuterebbero in vario modo di riconoscere l’autenticità/validità dell’ordinazione femminile.
Questa gente che dovrebbe fare? Accettare qualcosa che non condivide e che prima era la regola? Andarsene? Venir rieducata?
Dai casi in altre denominazioni vediamo che aprire all’ordinazione femminile, soprattutto se imposte dall’alto e senza possibilità di qualche dissenso anche moderato, ha causato scismi (e uno scisma è più facile da fare che da rimediare).
Volete aprire al sacerdozio femminile? Ebbene, spiegate come lo farete e come riuscirete a farlo in un modo che tenga dentro veramente TUTTI ! (esempi ci sono)
Inoltre lei fa veramente facile con tutte le sue proposte, dando per scontato che tutto vada nel modo previsto.
Già anni fa Kasper aveva proposto una forma di benedizione mutuata da quella per le badesse. Che ovviamente potrebbe aprire la strada ad un ministero diverso ma non necessariamente meno importante. Ma non arriveranno mai ad un accordo, e non solo per i tradizionalisti.
https://www.corriere.it/cronache/16_maggio_13/kasper-molte-divisioni-chiesa-non-si-arrivera-donne-sacerdote-b3072e24-187f-11e6-a192-aa62c89d5ec1.shtml
Tanto ad ogni sinodo, fosse pure per l’Intelligenza artificiale o la corsa allo spazio, tirerebbero fuori sempre le stesse cose. E’ avvenuto con la famiglia, con l’Amazzonia….
Che poi sono pure temi vecchi che attirano soprattutto i nostalgici di un’idea di modernità ampiamente messa in discussione.
il cardinal Kasper fa una proposta interessante (e da qui si vede che era bravo nel suo lavoro, ovvero fare ecumenismo)
inoltre la sua proposta sulle badesse mi ha spinto a cercare maggiori dettagli ed ho trovato questo
https://english.katholisch.de/artikel/54118-with-prayer-and-the-laying-on-of-hands-how-abbesses-were-ordained-in-the-past
mi sembra anche una proposta molto ‘tradizionalista’ nel sostenere che molte forme rituali preconciliari erano migliori di quelle attuali
Il Concilio Vaticano II per certi versi è stato tradizionalista, voleva superare certe rigidità del periodo tridentino tornando alla ricchezza cristiana del primo millennio. Ma si sono tutti incagliati in un’idea di modernità che nel frattempo è stata anche superata. E lo vediamo ogni giorno nelle crisi che si allargano.
Ma una religione o fede guidata solo da laici fa pensare a quelle eresie del Medioevo tipo i catari e gli albigesi , o anche i calvinisti Non mi pare siano andate a finire bene ,non solo perche’ dichiarate eretiche dalla Chiesa cattolica ed eradicare, ma perche’ non stavano in piedi e al loro interno c’ erano abusi psicologici, sessuali eccetera peggio che nella Chiesa cattolica Cosa le fa pensare che eliminando i sacerdoti e facendo una setta cristiana solo di laici , ,questi laici non connetterebbe anche essi gli stessi peccati ,gli stessi abusi di potere eccetera? Ci vorrebbe una setta di santi, di perfetti . Ma neppure i primi cristiani erano una comunita’ di santi e di perfetti. Dunque sostituire il laico al prete non cambia nulla .
ma che cosa sta dicendo?
I catari non erano un gruppo di ‘laici’, ma erano guidati da ‘perfetti’ e da altri gradi gerarchici che ricevevano una sorta di ‘ordinazione’.
I gruppi ‘calvinisti’ (ovvero la grande famiglia dei riformati e presbiteriani, eccetto i congregazionalisti) sono governati da assemblee di ‘presbiteri’ (con varie denominazioni e distinzioni a seconda delle teologie) che hanno ricevuto una ordinazione tramite imposizione delle mani e preghiere. Fanno eccezione i riformati ungheresi, che hanno vescovi.
Diciamo che i gruppi cristiani privi di clero sono veramente pochi, e non necessariamente non vuol dre che essi non abbiano una gerarchia anche rigida
“non vuol dire che essi non abbiano una gerarchia anche rigida” Lutero per sganciarsi da Roma si è legato ai principi. Esiste un saggio di Paolo Prodi, Il sacramento del potere che ne tratta. Diciamo che molti progressisti che protestano contro il clericalismo in realtà preferiscono il sistema dello Stato perchè ai loro occhi è più moderno. E non si fanno problemi ad imporre la propria volontà agli altri, ritenendola superiore . Anche la democrazia è una forma di lotta “temperata” da un sistema di contrappesi, mentre il cattolicesimo vede la Chiesa come un’istituzione in grado di moderare in modo sussidiario il rapporto tra Dio e il mondo.
Alla fine che siano progressisti o tradizionalisti vogliono tutti evitare le mediazioni che il sentire Cum Ecclesia richiederebbe, vogliono imporre il proprio punto di vista e basta, chi travestendolo da dottrina chi da spirito, parresia e via discorrendo. Detto ciò non è che sia questa gran novità alla fine…
Gli effetti “nefasti” della sacralità e del clericalismo del passato, di cui parli hanno prodotto milioni di martiri e di Santi che hanno costituito la linfa vitale per la quale la Chiesa è ancora viva oggi. Da quando il modernismo è entrato nella Chiesa la fede del popolo è scemata e le vocazioni sono al minimo storico e quelle che ci sono risultano assai fragili . Il “rinnovamento ” o ritorno alle origini, come lo chiami tu, sta producendo solo danni. Quello che manca è la fede in Gesù Cristo, unico salvatore del mondo
le vocazioni sono al minimo storico e quelle che ci sono risultano assai fragili
Dopo aver visto e sentito ‘pie donne’ parlare male di sacerdoti che cercano di fare del loro meglio nonostante vari problemi personali anche gravi, e addirittura giustificare il trattarli in modo da farli stare ancora peggio, mi rendo conto che il ‘modernismo’ è almeno in parte un capro espiatorio per il crollo delle vocazioni.
E rendo grazie a Dio Padre perché continu a chiamare efficacemente persone al ministero e alla vita consacrata e le sostiene con la sua grazia, perché razionalmente nessuno sceglierebbe una tale strada per venir trattato così
Con questo Sinodo abbia avuto la migliore rappresentazione di cosa deve essere stata la Torre di Babele . Volevano costruire per orgoglio smisurato una struttura altissima e alla fine si sono ritrovati che non si capiscono neppure piu’ fra di loro .
Le proposizioni respinte non sono una questione di lessico o di linguaggio ma di contenuti. La CEI ha voluto vivere solo convegni nei scorsi decenni (e si vede), ma quando viene veramente lo Spirito Santo la Chiesa si sveglia dal suo torpore e si mette in cammino. Le parole di Papa Francesco al Convegno di Firenze nel 2015 di avviare un cammino sinodale sono state profetiche.
Hai ragione. E la Torre di Babele crollerà. Inoltre si passerà dal cosiddetto clericalismo all’abuso di potere da parte dei laici. È inevitabile. Lo Spirito lo tiriamo per la giacchetta, anzi per le ali, per fargli dire quello che vogliamo noi. Lo Spirito ha già parlato nella Storia di Santi e di Profeti
La sinodalità è il vero antidoto al clericalismo.
Non credo che il cicaleggio sia il modo migliore per affrontare le cose. Il fatto di rifare un documento che non è piaciuto mi sembra molto normale fra persone che intendono lavorare insieme. Sono le normali dinamiche di una squadra di lavoro. Questo a me pare perché è il modo in cui lavorano le persone normali in tutto il mondo. Finalmente tutte le parti lavorano insieme. Questo miracolo resisterà a tutti gli sconcerti perbenisti disabituati a cercare soluzioni perché qualcuno gliele faceva trovare sempre già pronti e senza data di scadenza. Si guarda il dito e non la luna.
Non ho fatto parte dell’Assemblea sinodale e non conosco il contenuto delle proposizioni che sono state bocciate. il mio intervento non riguarda dunque il merito del problema, ma lo stile dei commenti che ho letto proprio su Settimana News in calce agli articoli e all’intervista di mons. Erio Castellucci. ciò che prima di tutto mi ha colpito è la virulenza dei toni . Si può criticare senza inveire e senza ipotizzzare la malafede dell’altro. Questo vale già in ogni confronto umano, ma a maggior ragione dovrebbe essere normativo in un dibattito ecclesiale. Molti interventi che ho letto sono una vera e propria aggressione verbale al Comitato e alla Presidenza, cin tanto di richiesta di immediate dimissioni e invito a vergognarsi.Quali che siano stati i loro errori, hanno lavorato per rendere un servizio, e di questo si dovrebbe innanzi tutto ringraziali. Così come si deve essere loro grati della disponibilità con cui hanno accettato di riconoscere prontamente che qualcosa di fondamentale nel loro documento non funzionava e di aver acconto il dissenso con l’atteggiamento di cui il discorso di mons. Castellucci è un bell’esempio. ma c’ una seconda cosa che mi ha colpito, ed è l’impressione che agli occhi di molti critici ciò che è accaduto sia il segno di un caos ecclesiale, frutto dell’introduzione della democrazia nella Chiesa. Molti interventi lasciano intravedere la nostalgia per una Chiesa in cui vescovi e preti decidevano loro, dando sicurezza ai fedeli, invece di confonderli e frustrarli con inopportuni appelli alla partecipazione. No, la Chiesa non è una democrazia, è vero. Ma è una comunità in comunione, e in una comunità vera tutti hanno un loro dono, un loro carisma da portare. Lo dice san Paolo. Certo, questo comporta una complessità e una problematicità che non ci sono quando a comandare è uno solo.Ma è il prezzo da pagare per la ricchezza di un cammino fatto insieme. Che l’Assemblea sinodale abbia chiesto una revisione radicale del testo è un bel segno di questa ricchezza di punti di vista, un conferma, dunque, non una smentita, del metodo sinodale.
Ma molto più banalmente non le viene in mente che per molti seguire queste giravolte sia complicato? O addirittura privo di interesse? E non mi pare neppure che si pretenda decidano i vescovi, magari non si ha neppure la voglia di mettersi a cercare il documento in questione e i punti dirimenti ecc. Perchè sono anni e anni ormai che le posizioni sono abbastanza polarizzate e consolidate ed è abbastanza difficile pensare che la distanza creatasi tra i vari gruppi di opinione possa magicamente diminuire.
Ne parli con Grillo: la sua invettiva contro i funzionari interni alla CEI è emblematica
Amiche, amici: non ci stupiamo della scialba immagine data dalla CEI? Tra i cumuli di parole ovattate, rassicuranti, illanguidite, dov’è la guida dei vescovi? Altro che “convergenze parallele” di democristiana memoria… Mentre cala un maldestro sipario sulla fiera del temporeggiamento, dell’attendismo e del minestrone dove c’è tutto senza saper di niente, la situazione si fa sempre più grave. E desolante, se guardo la parrocchia che frequento (ma non solo). Quanto è triste, infine, notare che cerchiamo appeal cedendo e conformandoci alle mode culturali del momento, anziché impegnarci a trasformare cristianamente la società in cui viviamo
Sinceramente viviamo in una fase talmente lacerata e conflittuale che ci mancava solo questo sinodo permanente. E’ tanto difficile fissare pochi punti essenziali e portarli avanti senza duemila giravolte, rivoluzioni e controrivoluzioni? Non viviamo negli anni ’60 in cui bisognava abbattete “bastioni” , ma in un periodo in cui serve ridare un minimo di coesione e solidarietà ad un mondo che si sta letteralmente sbriciolando.
Siamo sicuri che trasformare la Chiesa in un’organizzazione dove si decide a maggioranza sia una buona idea?
Chi ha selezionato i partecipanti a questa riunione?
Si sono svolte elezioni primarie nelle parrocchie?
Come si fa ad essere certi che l’assemblea rappresenti veramente l’opinione, ripeto l’opinione, dei cattolici italiani?
Ho solo domande.
In democrazia se non altro hai un minimo di possibilità di votare, anche se non hai la certezza che il tuo voto serva. Qua ti devi sopportare che persone di cui non condividi nulla vadano al sinodo a suon di parresia e profezia ecc. Alla fine fate voi e amen. Se lo spirito santo esiste ci metterà una pezza, ma santa pazienza che confusione…
E non mi riferisco tanto ai contenuti delle discussioni quanto all’egocentrismo di certi settori, sia conservatori che progressisti, un muro contro muro che di evangelico ha pochissimo e ricalca solo i frutti più malati delle nostre attuali società.
Vabbeh, si è voluto fare un Sinodo ‘rappresentativo’ quando nelle parrocchie spessissimo non esistono organi rappresentativi e non si fanno discussioni pubbliche aperte a tutti
Si è fatto il passo più lungo della gamba
Ok, posso apprezzare lo sforzo, ma da anni i cittadini disertano le urne, sfiancati dall’eterno litigare su tutto, figurarsi quale entusiasmo puo’ suscitare un sinodo inconcludente e ipertrofico. Anche qua dentro ogni giorno si legge tutto e il contrario di tutto. A convenienza tra parentesi. Dialoghiamo con le altre religioni, perche’ si pensa ai valdesi, poi saltano fuori gli evangelici e, ah no, non si deve dialogare . Elogiamo il concilio per il magistero sulla guerra, ah no perche’ dobbiamo sostenere lo stato X e Y. Si confondono come minimo gli obiettivi con i mezzi per realizzarli, se non sai nemmeno dove vuoi andare che sintesi puoi trovare sui mezzi?