
Sì, era tutta un’altra stagione, e non solo per il movimento ecumenico. Quando, il 22 aprile 2001, nella chiesa di San Thomas a Strasburgo, il metropolita Jéremie per la KEK (Conferenza delle Chiese europee), e il cardinale di Praga Vlk, presidente del CCEE (Consiglio delle Conferenze episcopali europee), firmavano la Charta Oecumenica, il futuro dell’incontro tra le Chiese sembrava roseo e profumava di speranza. A differenza di oggi…
La sottoscrizione di quel documento – tre parti, dodici punti e ventisei impegni concreti, sottotitolo Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa – seguiva le prime due tappe del Processo ecumenico europeo su Pace, giustizia e salvaguardia del creato, transitato a Basilea nel 1989 e a Graz nel 1997, che si sarebbe chiuso nel 2007 a Sibiu, Romania.
Un testo fragile ma pieno di speranze
Certo: testo fragile, quello della Charta – si disse – e, in senso stretto, non vincolante per nessuna delle Chiese firmatarie; eppure simbolicamente pregnante e di buon auspicio, venuto alla luce in una fase in cui la fiducia verso il percorso di unificazione continentale era ben maggiore di oggi (e le Twin Towers erano ancora in piedi).
Nella splendida città alsaziana il clima era effervescente, e circolava tra i presenti la sensazione che si trattasse di un grande passo per il continente da cui hanno preso le mosse le grandi fratture storiche della cristianità.
Gli stessi due organismi hanno avviato, a partire dal 2022, un processo di revisione di quel documento, destinato a concludersi con la firma di una Charta rivista e aggiornata a Vilnius, Lituania, il 26 e 27 aprile scorsi, se non fosse sopravvenuta la morte di papa Francesco.
Se il ritornello della Charta originaria era ci impegniamo, ripetuto 22 volte, nell’attuale versione sono 55: con più attenzione all’uguaglianza di genere, ai rapporti con ebraismo e islam, alla pace e la tutela del Creato, mentre, nei paragrafi finali, si tratta di migrazioni, intelligenza artificiale ed Europa nello scenario mondiale. Certo, questa è solo la tappa di un cammino che dovrà impegnare le Chiese locali: la missione, sempre la stessa, uscire dai circoli ristretti e aprirsi a un pubblico più vasto.
Dopo il rinvio di aprile, dal 4 al 6 novembre, si riunirà a Roma il Comitato congiunto CCEE e KEK. Due i momenti salienti dell’incontro: la cerimonia ufficiale di firma della Charta aggiornata, prevista per il 5 novembre nella chiesa del martirio di san Paolo presso l’Abbazia delle Tre Fontane, a conferma dell’impegno comune delle Chiese europee per l’unità, il dialogo e la cooperazione; e il 6 novembre l’udienza speciale concessa da papa Leone XIV ai partecipanti alla cerimonia della firma.
La versione aggiornata sarà siglata da Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e presidente del CCEE, e dall’arcivescovo Nikitas Lioulias di Thyateira e Gran Bretagna, presidente della KEK.
Un documento comune per un impegno comune
Per cogliere meglio il senso dell’evento, va ricordato che la Charta nacque per adempiere una specifica raccomandazione dell’Assemblea europea ecumenica di Graz (1997), in cui – constatata «la difficile situazione in cui si trova la comunità ecumenica, per vari motivi» e la necessità di «curare una cultura ecumenica della convivenza e della collaborazione» – si invitavano le Chiese europee a «elaborare un documento comune, che contenga i diritti e i doveri ecumenici fondamentali, e a dedurne una serie di direttive, regole e criteri ecumenici, che possano aiutare le Chiese, i loro responsabili e tutti i loro membri a distinguere tra proselitismo e testimonianza cristiana, tra fondamentalismo e autentica fedeltà alla fede e a configurare, infine, in spirito ecumenico, le relazioni tra le Chiese maggioritarie e quelle minoritarie».
La firma fu il punto di arrivo di un processo durato oltre due anni, in cui le varie Chiese aderenti alla KEK e al CCEE discussero una prima bozza e formularono le loro osservazioni; quindi, una commissione congiunta dei due organismi promotori, assumendo ulteriori pareri, elaborò una seconda versione del documento, quella sottoscritta in Alsazia.
«È stato un lungo lavoro – dichiarò don Aldo Giordano, allora segretario della CCEE – in cui abbiamo imparato a conoscerci e a parlarci con franchezza». «Raccogliere tanti pareri e cercare di costruire il più ampio consenso attorno alla Charta è stata una grande avventura ecumenica – gli fece eco il pastore battista Keith Clements, all’epoca segretario della KEK –, ma è chiaro che la firma di Strasburgo non è un punto di arrivo; è la tappa di un cammino che ora deve impegnare le Chiese locali: saranno loro a decidere se la Charta è uno strumento valido per la ricerca dell’unità e la testimonianza cristiana nel nostro tempo».
Nella vita ecclesiale, al processo di traditio del messaggio deve sempre seguire un processo di receptio nella fede e di redditio nella testimonianza attiva. Cosa che vale anche per l’ambito ecumenico: alla consegna di un testo concordato a livello interconfessionale dovrebbero seguire la sua ricezione nella fede comune e la sua restituzione attraverso un condiviso e attivo atteggiamento di collaborazione ecumenica.
Il sentire dei giovani
Fra i presenti all’incontro di Strasburgo del 2001 (caduto subito dopo la Pasqua che, per una fortunata coincidenza, era stata festeggiata contemporaneamente da tutte le Chiese, occidentali e orientali), oltre ai responsabili delle Chiese stesse, c’era un centinaio di giovani al di sotto dei trent’anni, in rappresentanza di tutte le confessioni cristiane del continente, dalla costa atlantica agli Urali, da Creta alla Norvegia: scelta dimostratasi propositiva, stando ai commenti in assemblea degli stessi ragazzi, che aveva consentito un inedito confronto fra le generazioni.
Nel mio ricordo c’è, ad esempio, l’intervento di un giovane cattolico scozzese, nella conferenza stampa relativa all’ice-breaking preparatorio dell’assemblea. Che spiegò: «Durante il meeting ci siamo sentiti tutti ortodossi, tutti cattolici, tutti protestanti ed evangelici. Ma ciò non significa che siamo una zuppa ecumenica, dove tutti gli elementi sono mischiati in una salsa indistinta e omogenea: al contrario, la nostra comunione potrebbe essere descritta come una insalata ecumenica, dove tutti i diversi colori e i sapori – uniti dal condimento dello Spirito Santo – possono essere meglio percepiti e gustati». Difficile dire meglio il futuro dell’ecumenismo europeo…





