L’Europa e il vangelo: accogliere relazioni

di:

san paolo

Venerdì 7 novembre, in apertura del Convegno «La solitudine dell’Europa: le Chiese e l’Unione» (cf. qui su SettimanaNews), suor Elsa Antoniazzi, teologa e redattrice di SettimanaNews, ha offerto ai partecipanti una meditazione biblica a partire dal testo degli Atti degli Apostoli in cui si racconta l’inizio della evangelizzazione in Europa a opera di Paolo (Atti 16,6-15).

Quando ci si trova a maneggiare la Parola siamo invitati alla cura, soprattutto quando la ascoltiamo all’inizio di un tempo dedicato a riflettere su di una realtà socio-culturale e politica quale è l’Europa.

In questi casi la regola ermeneutica è quella di comprendere bene chi pone la domanda, o qual è il punto prospettico. E il punto è quello di persone europee, che ritengono importante l’esistenza dell’Europa e che con il rigore dell’analisi ne cercano i punti di forza e le debolezze e comprendono che dal suo inizio a oggi il procedere è sempre frutto di concreta utopia.

E dall’altra parte abbiamo il testo (Atti 16,6-15) che nella sua lettera ci riporta al tema: il primo giungere di Paolo e del messaggio evangelico in Europa. Un legame con il tema direi «oggettivo» che per questo ci mette tranquilli: almeno sin qui non ci sono tesi che coprono l’ascolto, così possiamo iniziare la lettura.

Paolo, annunciatore dell’evangelo, oltre la terra d’Israele e oltre la tradizione ebraica, si trova impedito nel proseguire il suo viaggio e si sarà chiesto: che fare?

Ed è la prima volta che leggiamo di un divieto dettato dallo Spirito, un divieto in questo caso di tornare da comunità conosciute cui narrare le decisioni del concilio di Gerusalemme, come diciamo per brevità. Con esso Luca intende far comprendere come il nuovo approdo di cui leggeremo è come vero protagonista lo Spirito di Dio, al di là del personaggio del «condottiero» Paolo.

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A questo punto la visione. Alla considerazione che suggerisce che la visione vive dell’immaginario del veggente, come d’obbligo per essere compresa, possiamo aggiungere quella per cui la parola udita raccoglie anche un veloce e forse inconsapevole ragionamento posto sotto la luce dell’evangelo.

Nella sosta forzata va verso Troade: ma ogni porto è punto d’avvio.

In questo brano Paolo inizia la sua missione del tutto autonoma, inizia il nuovo tempo e con Timoteo, simbolico, madre ebrea a padre greco, credente di nuova generazione della diaspora. Una novità che non rompe ma allarga e per ritrovare tutti, grazie a Cristo nel seme di Abramo

Ma compiere quel passo che problemi poneva?

Possiamo pensare che Paolo fosse all’inizio del suo superare i muri, del suo incontrare tutti in Cristo e dunque non era così scontato andare verso un mondo, quello greco, che appariva autonomo sia culturalmente che religiosamente. Aveva già provato ad essere semplicemente riassorbito da quella delle divinità greche (nel capitolo 14 dove è chiamato «Ermes») e in Grecia vivrà uno dei momenti di forte delusione del suo annuncio. All’areopago non sarà nemmeno contestato, semplicemente lasciato lì da solo nel momento in cui annuncia la resurrezione, dopo un discorso che ben dimostra il tatto con cui Paolo si stava avvicinando.

A queste sue domande la visione risponde con il macedone che chiede aiuto. E così se nel procedere del testo riconosciamo la struttura del racconto classico della fondazione di una colonia (partenza per una crisi, iniziativa dell’eroe, visione, spedizione raccontata e conflitto) pure l’invocazione fa parte della struttura narrativa.

Si tratta di ascoltare un’invocazione, prima che di portare un annuncio che sappiamo saprà indicare nuovi orizzonti a ciascuno. A Paolo e alla Chiesa il compito di farne comprendere la dimensione salvifica.

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Ed ecco l’approdo che diventerà comunità del cuore di Paolo: ai Filippesi è destinata una delle lettere più affettuose.

E poi l’incontro con Lidia, un incontro con una donna greca, timorata certamente più emancipata delle donne ebree di Israele, ma molto probabilmente anche delle donne ebree della diaspora.

Il suo essere nominata prima di indicare la sua famiglia ce la presenta come capo famiglia e forse Paolo avrà anche fatto un poco di fatica di fronte all’invito, eppure Paolo è costretto ad accettare.

In seguito incontrerà altre donne e il racconto sarà più fluido, e infine nella lettera ai Romani con gratitudine e affetto citerà le donne che con lui sono collaboratrici alla sua missione di annuncio dell’evangelo.

In questo nuovo approdo risalta anche il tema della casa, costante tipica del primo cristianesimo: casa non è spazio ufficiale e casa permette di rapportarsi alla città, la città fatta di case

A questo punto possiamo chiederci cosa questo testo dice a noi che riflettiamo sull’Europa.

In primis ci segnala che, in fondo, siamo una colonia della fede, per dir così.

Ma siamo anche il luogo in cui la forma mentis ebraica incontra quella greca. Sino a qui il messaggio cristiano ha dato prova di saper accogliere e rispondere alle domande più profonde in modo che tutti possano vivere nella fede di Gesù, il Cristo.  Dopo è diventato un problema, saldato a una concezione egemonica.

E tutto questo perché Paolo e la Chiesa, la sua comunità hanno accolto un appello. In questo viaggio indicato dallo Spirito Paolo e i suoi compagni hanno lasciato che si costruissero relazioni con chi li ha chiamati, il macedone, con chi li ha invitati, Lidia.

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E la considerazione che qui Luca ha l’intento di sottolineare che è lo Spirito a guidare rafforza la preziosità del venire incontro, del venire verso Paolo. Ciò che ha aperto la strada e permesso che il viaggio continuasse è stato una serie di relazioni che Paolo ha lasciato che si consolidassero.

Forse gli sembrava anche un po’ strano, ma si è lasciato prendere non dalla forza, almeno apparente, del mondo greco europeo, si è messo in ascolto, ha lasciato che quelle relazioni nascessero.

E la narrazione così parallela alla fondazione delle colonie ci suggerisce come anche Luca pur offrendo una rilettura teologica non dimentichi il tessuto umano in cui si realizza l’annuncio, che per essere tale è chiamato a incontrare l’umanità.

Un intreccio che ha spinto fuori Paolo in situazioni nuove. Come con Lidia, forse poco abituato a tanta intraprendenza femminile, forse avrebbe aspettato altro invito, ma ha lasciato che anche questa relazione lo coinvolgesse. Questo primo approdo alla fine è anche l’inizio di un imparare di Paolo.

Nella lettera agli Efesini, dei due popoli uno, in Cristo. Questa unità che non è solo tra i credenti, ma è l’unità di ogni essere umano riconciliato nella nuova creazione posta dalla vicenda di Gesù morto e risorto è per così dire appresa man mano, come successe a Gesù con la Sirofenicia, in cui il lui si lascia convincere e dopo aver dato della cagnolina alla donna straniera risponderà all’invocazione di aiuto.

Il tema poi della casa. È nelle case che il cristianesimo ha messo le fondamenta solide tanto che poi saprà in un batter d’occhio assumere il luogo pubblico integrandone l’iconografia, come a Aquileia, La storia ci chiederebbe molte considerazioni, fermiamoci alla prima: la differenza tra casa e edificio di culto. Nella casa ci stanno tutti, dalle donne in poi. Il luogo di culto crea gerarchie rigide, ruoli e così via.

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E infine sappiamo che approdare a Filippi, in Europa, significa iniziare il cammino vero Roma, il centro dell’impero di cui aveva piena consapevolezza, visto che era cittadino romano e sfrutterà questa sua caratteristica…

Cosa significa voler andare a Roma? Nella scelta delle città Paolo ha cura di andare là dove pulsa la vita, commerciali. E Roma è anche il centro politico. Una buona strategia ma delicata, come abbiamo poi visto nella storia quando la chiesa troppo disinvoltamente si è avvicinata al potere, ha esercitato potere, senza essere voce critica.

Nella vicenda di Paolo ciò che ci rassicura e che ci arriva debole, da prigioniero. Una prigionia che gli consentirà di annunciare, sino al martirio. Non è un particolare di poco conto.

Lo sforzo unito al desiderio di andare in Europa da parte di Paolo, nel racconto di Luca non può certo aver presente l’orizzonte che oggi viviamo in ordine alla fede e non solo, che sintetizzo nell’espressione: la vecchia Europa.

L’invocazione del macedone e lo slancio di Paolo ci suggeriscono che non c’è orizzonte in cui il Vangelo non possa portarci parole di salvezza.

Per secoli siamo andati, oggi perché non invocare lo Spirito e accogliere relazioni?

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2 Commenti

  1. Kamar 26 novembre 2025
  2. Aldo Gigliarano 26 novembre 2025

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