
Global Mutirão: unire l’umanità in una mobilitazione globale contro il cambiamento climatico. Con questo titolo è stato diffuso il documento conclusivo della Conferenza delle Parti (COP30) che si è tenuta a Belém (Brasile) dal 10 al 21 novembre 2025. Di questo documento cercherò di riprendere alcuni contenuti che mi sembrano particolarmente rilevanti.
Questa è stata definita la “COP della verità”, nel rinnovare la battaglia contro il cambiamento climatico, mettendo insieme la scienza, la giustizia e la determinazione politica.
Le parti hanno riconosciuto che il cambiamento climatico è una preoccupazione comune. Per questo ritengono doveroso favorire lo sviluppo di un ambiente pulito, sano e sostenibile, nel quale siano garantiti: il diritto alla salute; i diritti delle popolazioni indigene relativi alle loro terre e alle loro conoscenze tradizionali; i diritti dei migranti, dei bambini, delle persone con disabilità e in situazioni di vulnerabilità; il diritto allo sviluppo e all’uguaglianza di genere, all’emancipazione delle donne e all’equità tra le generazioni.
Ribadire gli “Accordi di Parigi”
Lo svolgimento della COP30 nel cuore della foresta amazzonica ha enfatizzato l’importanza di conservare, proteggere e ripristinare la natura e gli ecosistemi, per mettersi in linea con gli obiettivi degli Accordi di Parigi del 2015 e con i valori e i principi del multilateralismo dell’ONU, per quanto riguarda: il mantenimento dell’aumento della temperatura globale sotto i 2°C, preferibilmente sotto i 1,5°C, rispetto all’era pre-industriale; la volontà di fermare l’abbattimento e il degrado delle foreste entro il 2030; la conservazione di tutti gli ambienti terrestri e marini in quanto serbatoi di gas serra; la tutela della biodiversità; lo sradicamento della povertà; il principio di equità e il riconoscimento di responsabilità differenziate, a seconda dei Paesi, nella crisi ambientale che viviamo.
Si è ribadita la necessità di fare periodicamente il punto della situazione riguardo il raggiungimento degli obiettivi previsti dagli Accordi di Parigi, considerando, in particolare, le misure di adattamento e di mitigazione che vengono messe in atto nei singoli Paesi. Occorre prendere atto che sono tra loro interconnesse le crisi che riguardano il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e il degrado delle terre e degli oceani.
Per garantire un futuro alle nuove generazioni e all’ecosistema dobbiamo invertire la rotta, nel contesto di uno sviluppo sostenibile a protezione di tutti gli ecosistemi. I Paesi sviluppati devono ridurre le emissioni del 25/40% rispetto ai livelli del 1990.
Consapevoli che le emissioni di gas serra dell’ultimo decennio spesso non sono state in linea con gli Accordi di Parigi, dobbiamo mettere in atto interventi decisi e rapidi per ridurre le emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, per poi raggiungere l’obiettivo di zero emissioni entro il 2050.
Urgono risposte
Ciò premesso, alcune importanti affermazioni sono riportante nella sezione III del Global Mutirão sulle risposte da dare con urgenza: accelerare l’implementazione delle misure per contrastare la crisi climatica e aumentare la solidarietà e la cooperazione internazionale.
La società civile, le amministrazioni locali e nazionali, il settore privato e la cooperazione volontaria devono lavorare insieme e utilizzare la finanza, lo sviluppo di competenze e il trasferimento tecnologico per accelerare l’azione climatica.
Occorre anche trovare strumenti e occasioni per facilitare la condivisione di conoscenze e di buone pratiche per preparare e implementare i contributi dei singoli Paesi, che possono fruire, per questo scopo, del supporto dell’ONU e di agenzie specializzate.
Viene lanciato il Global Implementation Accelerator, un’iniziativa cooperativa, facilitativa e volontaria, sotto la guida dei presidenti di due sessioni della prossima COP31 (novembre 2026), per accelerare l’implementazione delle misure atte a mantenere l’aumento termico globale entro il limite di 1,5°C, supportando i singoli Paesi nell’attivazione dei loro contributi nazionali e dei loro piani di adattamento.
I Paesi saranno invitati a riferire i loro risultati in apposite sessioni a giugno e a novembre 2026, per riflettere sulla necessità di accelerare l’implementazione, la cooperazione internazionale, gli investimenti dei singoli contributi nazionali e dei piani nazionali di adattamento e di mitigazione.
Occorre sforzarsi per riformare rapidamente l’architettura finanziaria internazionale per ridurre le iniquità e le barriere di sistema per accedere ai finanziamenti.
I Paesi sviluppati devono fornire con urgenza le risorse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo, sia per la mitigazione sia per l’adattamento, in linea con gli obblighi assunti precedentemente.
I flussi finanziari devono sostenere misure atte a ridurre le emissioni di gas-serra e a sviluppare la resilienza climatica. Per sostenere l’azione climatica con risorse pubbliche e private bisogna destinare almeno 1,3 migliaia di miliardi di $ all’anno entro il 2035, come stabilito nella Roadmap da Baku (sede di COP29 nel 2024) a Belém; almeno 300 miliardi di $ all’anno entro il 2035 si devono indirizzare ai Paesi in via di sviluppo, specie a quelli maggiormente vulnerabili e più esposti agli effetti avversi del cambiamento climatico.
Ci si è impegnati, inoltre, a triplicare, entro il 2030, rispetto al 2022, le uscite annuali dalle entità operative del meccanismo finanziario, dell’Adaptation Fund, del Least Developed Countries Fund e dello Special Climate Change Fund per favorire l’adattamento e lo sviluppo, specie nei Paesi più poveri.
È stata riaffermata la necessità di supportare un sistema economico che possa portare alla crescita economica sostenibile e allo sviluppo in tutti i Paesi – in particolare in quelli in via di sviluppo – ribadendo l’urgenza di combattere contro il cambiamento climatico (qui).
Alcune reazioni a caldo
Secondo Andrea Ghianda, responsabile per la comunicazione di ECCO think tank italiano sul clima, «la COP30 di Belém si chiude con un risultato che, pur non risolvendo tutte le divergenze, dimostra che la cooperazione multilaterale sul clima prosegue nonostante le tensioni geopolitiche. Positivo il ruolo dell’Europa nonostante le resistenze esterne dei Paesi BRICS e dei Paesi del Golfo per salvaguardare l’economia fossile. Ampie e nuove coalizioni di Paesi, segno di una riorganizzazione degli schemi globali, hanno chiesto il massimo livello possibile di ambizione, inclusa una chiara tabella di marcia per l’uscita dalle fonti fossili, e un passaggio dalla stagione delle promesse a quella dell’implementazione.
Sebbene la Mutirão Decision (il testo finale della COP30) non citi esplicitamente i combustibili fossili e non accolga l’appello del presidente Lula e di oltre 80 Paesi per una roadmap su fossili e deforestazione, mantiene viva la traiettoria tracciata a Dubai su questo tema.
L’avvio di nuovi processi per accelerare la transizione energetica, come il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5, offrono strumenti concreti per permettere ai Paesi di collaborare, ciascuno con i propri percorsi, per avanzare nella definizione del “come” uscire dai combustibili fossili».
Luca Bergamaschi, direttore e co-fondatore di ECCO, ha detto: «Il risultato di questa COP è un testo di compromesso che dà una prima risposta, non scontata nell’attuale contesto geopolitico, di come colmare il divario tra le politiche attuali e l’obiettivo di 1,5°C. Bene il ruolo dell’Europa nel portare tutti i Paesi ad accettare un aumento dell’ambizione.
L’Accordo della COP30 riafferma innanzitutto l’Accordo di Parigi come stella polare della cooperazione internazionale e dimostra che la maggioranza dei Paesi, con l’Europa al centro, è pronta ad avviare un percorso di uscita dai combustibili fossili. Un percorso che riflette dove sta andando l’economia reale, la finanza, con gli investimenti nelle energie pulite raddoppiati nel 2024 rispetto a quelli fossili, e le richieste della società.
Sul fronte finanziario, la COP30 invia un messaggio più incoraggiante sull’importanza di investire in resilienza e decide di triplicare i finanziamenti per l’adattamento entro il 2035. Emergono impegni per rendere la finanza climatica più prevedibile, accessibile e commisurata ai bisogni dei Paesi vulnerabili, elementi essenziali per un sistema finanziario più equo e allineato alle sfide climatiche».
Eleonora Cogo, Responsabile del Cluster Finanza di ECCO, ha detto: «La COP di Belém dimostra che il resto del mondo avanza sul clima anche in assenza degli Stati Uniti. Lo abbiamo visto soprattutto sul fronte della finanza climatica, dove i Paesi hanno compiuto passi avanti significativi nel rafforzare la prevedibilità del sostegno verso i paesi più vulnerabili. E il fatto che qui si stia parlando di politiche commerciali, di transizione economica e sociale, dimostra che per poter influenzare le regole del futuro, bisogna essere presenti a questi tavoli».
«La combinazione di questi elementi permette di consolidare quanto avviato a Dubai e di mettere le basi per un ciclo di lavoro più concreto verso l’allineamento dei flussi finanziari e il riequilibrio tra mitigazione e adattamento. La COP30 non chiude il divario di ambizione, evidenziato dall’insufficienza dei Piani nazionali di riduzione delle emissioni. Si rafforza però la volontà politica di molti Paesi di continuare a lavorare su percorsi paralleli, multilaterali e regionali, per avanzare con decisione nella transizione dai combustibili fossili, indipendentemente dai limiti del sistema negoziale delle Nazioni Unite. Il cammino per il contenimento delle temperature nei limiti indicati dalla scienza resta complesso, ma Belém indica che la strada è ancora aperta e che l’urgenza dell’azione è condivisa da un numero crescente di governi, città, imprese e comunità (www.eccoclimate.org del 22 novembre 2025)».
Lucia Capuzzi su Avvenire del 22 novembre esprime la delusione dovuta al fatto che «dal nuovo “pacchetto mutirão” – versione brasiliana della decisione politica finale – è scomparsa la roadmap verso la transizione dai combustibili fossili. Questione ufficialmente non in agenda che, però, la presidenza del summit era riuscita a introdurre, trasformandola nel cuore della Conferenza. A tirarla fuori era stato Luiz Inácio Lula da Silva fin dalla riunione dei leader internazionali alla vigilia della COP. Corrêa do Lago l’aveva messa, nero su bianco, nella prima bozza. In realtà, fonti ben informate sostengono che la mossa brasiliana era preparata da un anno, in coordinamento con i più favorevoli all’addio a petrolio, gas e carbone di America Latina e Europa e – tessera fondamentale del puzzle – con la Cina.
Pechino, da sempre cauta a prendere impegni ambientali stringenti, avrebbe accettato allettata dalla possibilità di aumentare gli investimenti, già record, in rinnovabili. Nonché in cambio di una menzione nella dichiarazione dei minerali critici: sparita, come i fossili, nel mutirão-bis.
Dopo essere partita con lo “shuttle” all’inizio della settimana, la trattativa si è incagliata. Da qui il sospetto, ventilato da vari osservatori, che il testo di ieri fosse, in realtà, un test per suscitare la reazione dei sostenitori della transizione energetica. E aumentare la pressione in modo da sfondare il muro dei petro-Stati, guidati dall’Arabia Saudita, il cui leader di fatto, Mohammad bin-Salman, ha appena rafforzato l’alleanza con Donald Trump.
La risposta, in effetti, non si è fatta attendere. Prima è arrivata la lettera infuocata di 29 Stati, Colombia e Olanda in testa, decisi a far saltare il banco pur di non accettare un accordo tanto al ribasso. E la stessa linea espressa dal commissario UE sul Clima, Wopke Hoekstra. Perfino la riluttante Italia, per bocca del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha ricordato l’impegno preso a Dubai per un abbandono progressivo delle fonti fossili.
Poi, sempre Bogotà ha annunciato una conferenza internazionale sulla fine dell’era fossile a fine aprile a Santa Marta, forte del sostegno espresso nel corso dei lavori da almeno 82 Paesi.
Purtroppo, alle COP, i numeri non contano dato che le decisioni sono prese per consenso. O, meglio, quelli che contano non coincidono sempre con la somma delle nazioni. Il gruppo per l’addio al petrolio rappresenta appena il 7% della produzione mondiale. La partita per convincere il 93% restante è aperta e non si gioca solo a Belém.
Nel suo ritorno di tre giorni fa, Lula ha promesso di portare il tema fossili al G20 a Johannesburg. Alla vigilia, insieme al premier spagnolo Pedro Sánchez e al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, ha firmato un appello sul Financial Times, ribadendo come quella climatica è “una crisi di disuguaglianza” che rappresenta un “rischio sistemico” al pari del riscaldamento globale. Appena atterrato a Johannesburg da Belém, il segretario ONU, António Guterres, ha rilanciato, chiedendo ai Grandi “un massiccio aumento della finanza” per aiutare i Paesi poveri ad adattarsi all’emergenza.
La richiesta del Sud del mondo di triplicare – portandoli a 120 miliardi di dollari l’anno – i fondi per l’adattamento è l’altro nodo centrale della COP. Questa, allora, potrebbe essere la chiave per ottenere il consenso di africani e asiatici alla roadmap. Il tempo scorre: alle 22 (ora italiana) è scaduto il termine ufficiale ma, del resto, dal 2003, nessuna COP si è mai chiusa senza i supplementari. Eppure, ogni volta, lo slittamento sembra cogliere di sorpresa gli organizzatori: le navi-hotel ripartono oggi all’alba e i delegati alloggiati a bordo sono stati trasferiti precipitosamente a terra. Nel frattempo, come ha sintetizzato la ministra dell’Ambiente colombiana, Irene Vélez Torres, “la lotta continua”».
Alexandra Scott, esperta senior diplomazia climatica in ECCO e Valeria Zanini, analista diplomazia climatica in ECCO, il 24 novembre concludono così: «Il risultato della COP30 è sufficiente e soddisfacente? No. Il mondo aveva bisogno che Belém fissasse un segnale più chiaro e deciso sui combustibili fossili e sulla finanza.
Si tratta di un nulla di fatto? No. La COP30 non si chiude con un grande successo ma neppure con un totale fallimento. Definisce una traiettoria, fragile, su cui le prossime presidenze dovranno lavorare. L’Europa e altri attori globali dovranno sostenere queste presidenze per evitare che il treno deragli. Non importa come racconteremo questa COP, ma ciò che verrà.
I Paesi che hanno promosso un percorso di uscita dai combustibili fossili saranno in grado di costruire alleanze concrete e aumentare i finanziamenti nell’economia reale prima che il prossimo ciclo di impegni sulla riduzione delle emissioni (NDC) venga fissato?
I Paesi più ricchi sapranno fare i conti con la propria responsabilità nel fornire più soldi, di migliore qualità, per sostenere l’azione climatica dei Paesi vulnerabili e più fragili, e costruire al proprio interno le condizioni politiche per farlo?» (qui).
Il Movimento “Laudato si’”
Per il Movimento Laudato si’, presente a Belém con una notevole partecipazione, «nonostante la profondità dell’impegno basato sulla fede, l’esito finale della COP30 è stato ben al di sotto dell’urgenza morale richiesta. Gran parte di ciò che abbiamo sostenuto non è stato inserito nel testo finale.
In particolare, la rimozione di qualsiasi riferimento all’eliminazione graduale dei combustibili fossili ha lasciato un vuoto enorme nella risposta globale. Il risultato è stato, per molti versi, deludente. Eppure, in mezzo a tanta frustrazione, si sono verificate delle scoperte significative: Il MLS ha accolto con favore l’adozione del nuovo meccanismo che offre un reale potenziale progresso in materia di foreste, finanziamenti per il clima e transizioni giuste. L’azione e l’attuazione sono ora essenziali (Meccanismo di Azione di Belém).
L’annuncio [di alcuni Paesi] di co-convocare per porre fine all’espansione dei combustibili fossili porta nuovo slancio alla richiesta globale di un Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, un movimento fondato sulla stessa chiarezza etica che un tempo ha portato la Santa Sede a sostenere il Trattato sulle mine antiuomo. Il MLS spera vivamente che la Santa Sede si unisca a un nuovo sforzo per il Trattato e partecipi alla prima conferenza intergovernativa in Colombia nell’aprile 2026 (Leadership Colombia-Paesi Bassi).
Gli impegni di individui e istituzioni, molti dei quali provenienti dall’Assemblea dei cittadini globali, sono stati integrati nel meccanismo d’azione di Belém. Ciò apre una nuova era di collaborazione tra comunità religiose e società civile globale. Entro la COP31 in Turchia, il MLS mira a presentare una roadmap cattolica ancora più solida, allineata alla Piattaforma di iniziative Laudato Si’ (Peoples’ Determined Contributions – PDCs)» (qui).
DOCUMENTI NEGOZIALI
Mutirão Decision; Global Stocktake; Just Transition Working Group; Mitigation Work Programme; Global Goal on Adaptation; Articolo 9.5; Articolo 2.1c; Response measures; Fondo sull’Adattamento; Fondo su Perdite e Danni; Parità di genere; Belém Technology Implementation Programme.





