I nostri deserti nella città

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Il deserto è un luogo speciale nella Scrittura, un caleidoscopio di significati, un posto che attrae e fa paura, un passaggio necessario nella vita di fede.

Sembra anzitutto un luogo estraneo a noi che viviamo in città, l’esatto opposto della vita ordinaria. Anche per questo ci attrae, è come se ne avessimo bisogno ancor più perché ci manca e sembra irraggiungibile.

Eppure, non è la meta di un viaggio esotico, non si tratta di fuggire in cerca di un posto diverso da quello che la vita ci ha dato. Forse si tratta di un viaggio interiore, per trovare quel deserto che abita in noi, il luogo dove Dio ci vuole condurre per ritrovarci e per incontrarlo.

Ti condurrò nel deserto

Provo a declinare alcune – tra le tante – dimensioni del deserto che hanno un significato ineludibile per la vita spirituale, nel tentativo di capire come anche nella città ci si può lasciar condurre nel deserto per vivere un’esperienza spirituale.

Mi faccio aiutare da una donna, Madeleine Delbrêl che, pur vivendo sempre nella città, ha fatto del deserto la sua casa interiore. Ha vissuto nella prima metà del novecento, nella Francia operaia e comunista, prima condividendo un ateismo militante, e poi scoprendo una fede profondamente radicata nella vita della città, del lavoro, della strade e delle case. Mistica, poetessa, assistente sociale, la sua fede era una sete di assoluto e, insieme, una dedizione incondizionata all’umanità che condivideva con i suoi contemporanei. Il deserto, lei lo ha vissuto nella città.

La solitudine

La solitudine non è l’isolamento, non è il ritrarsi dalle relazioni, ma il riconoscere che sempre, anche nella più grande intimità, c’è uno spazio in cui io sono solo, e l’altro anche. È vivere le relazioni con la consapevolezza del limite che le determina. Solo accettando la solitudine possiamo vivere autentiche relazioni, “amare senza divorare”. Ma ascoltiamo Madeleine:

«Perché le nostre piccole solitudini sono grandi, esaltanti, sante al pari di tutti i deserti del mondo; esse, che sono abitate da Dio stesso, il Dio che fa santa la solitudine.

Solitudine del nero asfalto che separa la nostra casa dalla fermata del tram, solitudine di un banchetto al quale altri esseri portano la loro parte di mondo, solitudine dei lunghi corridoi in cui scorre il flusso continuo di tutte le vite in cammino verso una nuova giornata.

Quaresima 2020

Solitudine dei momenti in cui, accovacciati davanti alla stufa, si attende la fiamma del pezzetto di legna prima di mettere il carbone; solitudine della cucina davanti alla pentola dei legumi.

Solitudine quando si lucida ginocchioni il pavimento, lungo il sentiero dell’orto in cui si va a cogliere un mazzo d’insalata.

Piccole solitudini della scala che si scende e si sale cento volte al giorno.

Solitudine delle lunghe ore di bucato, di rammendo, di stiratura.

Solitudini che potremmo temere e che sono lo svuotamento del nostro cuore: persone care che se ne vanno e che vorremmo con noi; amici che si aspettano e che non arrivano; cose che si vorrebbero dire e che nessuno ascolta; estraneità del nostro cuore in mezzo agli uomini.

Il primo passo verso la solitudine è una partenza. Il vero deserto lo si raggiunge, nel duplice senso del termine, prendendo il treno, la nave o l’aereo. Noi non sappiamo distinguere le numerose piccole partenze che si susseguono in una giornata perché non arriviamo mai alle solitudini che sono nostre, alle solitudini che ci sono state preparate. Per il solo fatto che uno stato di solitudine non è separato da noi che dallo spessore di una porta o dal periodo di un quarto d’ora, non gli riconosciamo il suo valore di eternità, non lo prendiamo sul serio, non lo affrontiamo come un complesso unitario, adatto alle rivelazioni essenziali.

Poiché il nostro cuore non sa attendere, i pozzi di solitudine di cui sono disseminate le nostre giornate ci rifiutano l’acqua vitale di cui traboccano».

Impariamo così ad abitare le piccole solitudini della nostra vita, i momenti nei quali nessuno sembra raggiungere il nostro cuore, come quando ci sentiamo estranei anche in mezzo alla gente. Penso anche alle infinte solitudini di chi vive solo, le lunghe giornate senza un volto amico, una voce cara. Forse è lì che il Signore ci conduce per metterci alla prova e per incontrarci.

Il silenzio

Il silenzio non è tanto assenza di voci, ma certo è quando possiamo far tacere i rumori che disturbano il nostro ascolto. Il chiasso, la costante interruzione dovuta agli imput invadenti dei nuovi mezzi di comunicazione, creano una cacofonia che distrae e ci impedisce di essere veramente presenti, di ascoltare nel profondo, chi ci parla, quello che accade, noi stessi. Ancora Madeleine:

«Non c’è solitudine senza silenzio. Il silenzio è talvolta tacere, ma è sempre ascoltare. Un’assenza di rumore che fosse vuota della nostra attenzione alla parola di Dio non sarebbe silenzio. Una giornata piena di rumori, piena di voci, può essere una giornata di silenzio se il rumore diventa per noi l’eco della presenza di Dio, se le parole sono per noi messaggi e sollecitazioni di Dio.

Quando parliamo di noi stessi, quando parliamo tra noi, usciamo dal silenzio. Quando ripetiamo con le nostre labbra gli intimi suggerimenti della Parola di Dio nel profondo di noi stessi, lasciamo il silenzio intatto.

Il silenzio non ama la confusione delle parole.

Sappiamo parlare o tacere, ma non sappiamo accontentarci delle parole necessarie. Oscilliamo senza posa tra un mutismo che affossa la carità e un’esplosione di parole che svia la verità.

Il silenzio è carità e verità. Esso risponde a colui che chiede qualcosa, ma non dà che parole cariche di vita. Il silenzio, come tutti gli impegni della vita, ci induce al dono di noi stessi e non ad un’avarizia mascherata. Ma esso ci tiene uniti per mezzo di questo dono. Non ci si può donare quando ci si è sprecati. Le vane parole di cui rivestiamo i nostri pensieri sono un continuo sperpero di noi stessi. “Vi sarà chiesto conto di ogni parola”. Di tutte quelle che bisognava dire e che la nostra avarizia ha frenato. Di tutte quelle che bisognava tacere e che la nostra prodigalità avrà seminato ai quattro venti della nostra fantasia o dei nostri nervi.

Il silenzio non ci manca, ce l’abbiamo. Il giorno in cui ci mancasse è perché non abbiamo saputo prendercelo. Tutti i rumori che ci circondano fanno molto meno chiasso del nostro io. Il vero rumore è l’eco che le cose producono in noi.

Quaresima 2020

Foto di T. Kefalopoulos

Non è forzatamente il parlare ciò che rompe il silenzio. Il silenzio è il luogo della parola di Dio e se, quando parliamo, ci limitiamo a ripetere quella Parola, noi continuiamo a tacere. I monasteri appaiono come luoghi della lode, e del silenzio necessario alla lode. Ma anche per strada, circondati dalla folla, noi poniamo le nostre anime come tante cavità abitate dal silenzio nelle quali la parola di Dio può sostare e risuonare».

Potremmo dire che il silenzio rende possibile essere veramente lì dove la vita ci pone, presenti. Anche in questo caso prendo a prestito le parole di qualcun altro, di Raphael Buyse, che non a caso si ispira alla Delbrêl:

«Rinunciare a essere sempre in tensione, a irrigidirsi in acrobazie, anche religiose. Per unificare la vita, evitare di lasciarsi attirare in una folle corsa che non si controlla più. Salvaguardare momenti di raccoglimento, di consapevolezza e interiorità. Restare immobili. Attendere che l’acqua torbida ridiventi limpida. Lasciarsi ricondurre al centro del proprio essere. Nell’immobilità lo spirito si decanta. Diventa puro e trasparente. Abbandonare l’idea che abbiamo una missione da compiere o un mondo da salvare. Già un Altro se ne è fatto carico! Esserci, semplicemente, là dove la vita ci ha portato. Perseverare felici. L“esserci” diventa celebrazione, gioia di cogliere la vita momento per momento. Senza possedere. Senza controllare. Allora si scopre l’armonia dell’essere, le potenzialità della nostra crescita, una pienezza: dev’essere questa la “vita in abbondanza” della quale parla Gesù (cf. Gv 10,10) (…). Passare ogni giorno un po’ di tempo da soli. Per fare nulla. Per tutto. Per tutti. Anche per sé. Per l’essenziale. Lasciare che emergano dalla memoria del cuore i volti delle persone amate, gli eventi del mondo, i sentimenti che ci abitano, le emozioni. Esserci, semplicemente. Portare la vita in noi. Come un’offerta. Liturgia dell’istante. Si diventa più umani».

La prova

Dovremmo dire anche della prova, delle tentazioni, della lotta che chi entra nel deserto deve affrontare. Ma mi accorgo di essermi dilungato troppo. Dico solo che è pericoloso entrare nel deserto, perché non è facile fare i conti con i dèmoni che abitano dentro di noi, con le paure più profonde e con lo sconosciuto che io sono a me stesso. Per questo non è bene entrare nel deserto da soli, ma – come Gesù nelle tentazioni – armati della Parola di Dio, in compagnia della sua voce che non ci abbandona anche quando tace.

Perché di lotta si tratta, di un combattimento spirituale per il quale servono le armi dello Spirito, come ben descrive Paolo: «Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi» (Ef 6,10-18).

Quaresima 2020

L’incontro

Abbiamo iniziato citando il profeta Osea e con lui terminiamo: «Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). Perché la solitudine, il silenzio e la prova non sono che passaggi per un incontro, perché il Signore parli ancora al nostro cuore. Lascio ancora la parola alla Delbrêl:

«Credere è stabilire, tra la fede e il mondo, un’alleanza eterna: se essa fa sorgere dei fedeli, non si tratta di una fedeltà di sangue, di patria o di persona, ma d’una fedeltà personale al Dio vivente che chiama e al quale colui che è chiamato deve rispondere liberamente e sempre, col suo cuore di uomo libero. Alla chiamata, come alla risposta, è necessaria la solitudine; essa non è più tentazione, ma l’indispensabile punto di contatto con Dio. La preghiera rinsalda le sue radici. La nostra visione di ogni comunità nella Chiesa si trasforma. Gli alberi che debbono insieme formare una foresta vivono ciascuno delle sue radici solitarie. Impariamo che Dio, per proporci la fede, chiama ciascuno col suo nome, che la fede non è un privilegio dovuto all’eredità o alla nostra buona condotta, che essa è la grazia di sapere che Dio fa grazia; la grazia di essere, nel mondo, votati col Cristo alla sua missione di redenzione».

Che sia una quaresima piena di grazia!

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