Don Franco Monterubbianesi, una vita per i disabili

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Don Franco nasce a Fermo il 30 maggio del 1931. Il babbo lavorava al Collegio Montani di Fermo, la mamma casalinga, era il primogenito con una sorella ora scomparsa, zio di quattro nipoti di cui due gemelle.

Dopo l’iscrizione alla facoltà di Medicina, chiede di farsi prete. Lo mandano al Collegio Capranica a Roma dove studia teologia e filosofia. Rientra a Fermo e insegna filosofia in Seminario. È ordinato sacerdote il 19 agosto del 1956. Ha uno stile tutto suo di insegnamento che il rettore del Seminario non condivide. Frequenta il mondo della disabilità con i treni degli ammalati dell’Unitalsi, a Loreto e a Lourdes.

La povertà degli inizi

L’arcivescovo Perini lo incoraggia a far qualcosa per i ragazzi e le ragazze spesso istituzionalizzati in Centri riabilitativi, in realtà semplici contenitori. In una celebre lettera di alcuni di loro scrivono di essere stati bene nei tre giorni di visita ai Santuari, ma chiedono qualcosa di più per il loro futuro.

Sorretto da Marisa Galli di Servigliano, donna forte anche se molto disabile, inizia una vera e propria avventura. Cerca una casa prima a Loreto, poi individua una villa abbandonata a Capodarco. Il primo titolo della casa è Centro comunitario Gesù risorto. Il tema della risurrezione rientra spesso nei suoi progetti. Progetta addirittura un Villaggio, compreso il Cimitero.

Gli inizi della Comunità (Natale del 1966) sono veramente poveri. Donazioni per vivere, comprese le vettovaglie, il cibo, le coperte, le lenzuola. Sono di aiuto gli studenti del Montani di cui don Franco era professore di religione. La città reagisce bene. Ancora oggi molte persone ricordano quegli anni come significativi della loro giovinezza.

In poco tempo l’ipotesi della Comunità è conosciuta in Italia. Arrivano disabili da varie Regioni d’Italia. Il clima è entusiasta. Si apre la prospettiva di matrimoni tra disabili. Nascono i primi figli.

I punti salienti del programma erano: il rispetto delle persone, la comunità, la progettualità.

Lo spirito della Comunità è sorretto da molti giovani che sono stati chiamati “il ’68 minore”: quanti, in alternativa alla politica, si sono dedicati al sociale.

Dal 1970 gruppi di persone della stessa Regione fondano Comunità locali in Sardegna, Fabriano, Gubbio, Perugia, Volano, poi man mano, fino ad arrivare in Calabria, in Sicilia, in Puglia, in Campania, in Veneto. Attualmente sono 13 Comunità in Italia. Più tardi si apriranno comunità in Ecuador, in Albania, in Cameroun, Kossovo. La nostra comunità di Capodarco di Fermo rimane la casa madre, dove don Franco da circa un anno era tornato a vivere.

Nel 1973 don Franco si ostina a voler aprire una Comunità a Roma. È un gran fiorire di corsi professionali, di cooperative, di gruppi, di famiglie sparse nella città. Tra queste la cooperativa Agricoltura Capodarco. La grande idealità che ha sempre contraddistinto l’agire di don Franco si è scontrata con la dura realtà economica fino ad essere costretti ad affidarla ad altri.

Egli è molto attento ai giovani: accoglie i primi obiettori di coscienza, è favorevole al servizio civile.

Guardando a ritroso, il messaggio lasciatoci da don Franco può essere così riassunto:

  • accogliere le persone con limiti fisici, sensoriali e piscologici, rispettando storie e sogni
  • alimentare sempre molta attenzione a quanto il territorio richiede
  • creare comunità come strumento indispensabile per dare sostegno.

Da qui nasce lo spirito evangelico che unisce anima e corpo, singoli e gruppi. Una teologia capace di esprimere la completezza evangelica rispettando i tempi dello Spirito.

Il significato del suo agire

Rompe il tabù del pietismo che, in molte circostanze, diventa esclusione. Ogni persona ha una sua dignità: affettiva, lavorativa, relazionale e sociale. Occorre valorizzare le risorse. Senza distinzioni e senza selezione.

Negli anni questo approccio cambierà il modo di vedere la disabilità e ogni forma di discriminazione: la legge nazionale 118 del 1971 dette l’impulso al superamento degli ostacoli: barriere architettoniche, possibilità di viaggiare, di andare al cinema, di frequentare il mare.

Si aggiungerà, nel tempo, la legge dell’inserimento lavorativo.

Anche le case popolari saranno loro concesse, a cui seguirà il sostegno nelle scuole, con la Legge 104 del 92. I disabili non rimarranno più nascosti nelle case o ingessati in grandi contenitori disumani.

Anche nelle amministrazioni locali si sente l’aria nuova di vicinanza e di aiuto: Sindaci, assessorati e servizi sociali sono attivi: eravamo partiti dall’elenco dei poveri.

Il sorgere delle comunità locali di Capodarco in Italia dimostra che è possibile un’accoglienza rispettosa e umana, attenta alle necessità dei disabili e delle loro famiglie. Un’attenzione fin dalla più tenera età per attenuare i Disturbi Specifici dell’apprendimento.

Purtroppo sta tornando indietro la visione aperta all’accoglienza: per motivi economici, per l’applicazione errata dello schema ospedaliero, per l’introduzione del “minutaggio” nella cura alla persona.

Sacro e profano insieme

Don Franco aveva una visione ampia dei problemi sociali in Italia e nel mondo. La sua attenzione legava la condizione umana in ogni territorio. Da qui l’attenzione delle realizzazioni all’estero. Intrecciava continuamente il locale con il nazionale e l’internazionale. Noi abbiamo seguito la sua linea con la costituzione di una Comunità nazionale e internazionale.

L’attenzione ai giovani ai quali offrire gli obiettivi di solidarietà e di gratuità è stata per don Franco una visione costante, quasi un’ossessione. L’accogliere gli obiettori di coscienza e il servizio civile ne è testimonianza Nel tempo, il clima è cambiato: un suo amico mi ha detto: «Oggi ai giovani possiamo offrire, purtroppo, solo le chiusure».

La sua religiosità aveva tratti di misticismo: ha regalato a molti i dieci volumi degli scritti della Valtorta. Finché ha potuto, il 15 agosto andava a celebrare presso la Volpini.

Aveva la capacità di mescolare sacro e profano, in una creatività con la quale era difficile confrontarsi.

Ha sempre avuto uno sguardo largo sulle vicende umane. Può essere definito un sacerdote profeta, visionario, al limite dell’incoscienza, da “fondatore” come gradiva chiamarsi.

Mi vengono in mente i molti sacerdoti, religiosi e religiose incontrati per l’Italia, dagli anni ’80, grazie a don Ciotti, che hanno incominciato in solitudine, affrontando, il mondo difficile della tossicodipendenza.

Un capitolo che, nella storia sociale, non è stato mai approfondito e ne sono dispiaciuto. Le aperture del rispetto delle persone fragili in Italia si debbono all’impegno anonimo e faticoso di molti sacerdoti e religiose sparsi in Italia.

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