
Charles Comfort, The Hitler Line, 1944, Canadian War Museum, Ottaw
Uno dei contributi più rilevanti offerto a tutti i mondi credenti e secolarizzato da Papa Francesco è stato quello di prospettare un’alternativa alla schizofrenia della globalizzazione dimezzata che non ci ha portato alla pace che proponeva ma alla guerra continua, nella quale ognuno ormai si sente chiamato a estirpare il male. Una volta emerso il paradigma tecnocratico la globalizzazione non ha più offerto nei fatti l’orizzonte che aveva prospettato all’inizio con la rivoluzione della comunicazione istantanea e transfrontaliera. Non ha più perseguito quello che approva il suo impulso originario. La partenza ha illuso alcuni che il multilateralismo non servisse più, che il mondo viaggiasse verso il superamento delle diversità.
Francesco ha visto questo pericolo e ha offerto alla globalizzazione un’identità pluralista con il famoso discorso del poliedro, che unisce e preserva le differenze. Il discorso cattolico, così, è giunto a Fratelli tutti e in precedenza si è sistematizzato, soprattutto per la bollente terra di mezzo del Vicino Oriente, con il Documento sulla Fratellanza Umana. La sua prospettiva complessiva ha offerto, con opportunità di crescita materiale e di arricchimento spirituale, la libertà e l’incontro delle diversità.
Non si è imboccata questa strada, i rischi sono aumentati; conflitti, mutamenti climatici, terrorismi e neo colonialismi feroci hanno creato enormi squilibri. Entrambi gli approcci, identitarismo e globalizzazione piatta e tecnocratica, hanno comunque agli occhi di molti tolto legittimità all’entità multilaterale, cioè all’ONU e comunque alla ricerca di soluzioni condivise a problemi comuni e sempre più gravi. L’illusione di azzerare le differenze e il ritorno di identitarismi che negano ogni possibilità di coesistenza hanno entrambi fatto accantonare la convinzione multilaterale.
La prospettiva conciliare, nel cui solco ha proseguito Francesco, ha trovato importanti condivisioni, ma non sta reggendo agli urti sempre più gravi. Vanno riletti alcuni equivoci? Si potrebbe provare a individuarne alcuni, contestualizzandoli. È un tentativo arbitrario perché tutto ha una causa, un’origine, un precedente: ma un tentativo parziale può aiutarci a dire che contro gli equivoci servirebbe affermare il Concilio come metodo.
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2005: Alcune datazioni pongono intorno a questa data l’affermazione globale dei social media, che hanno abbattuto barriere e consentito una comunicazione di idee e informazioni in tempo reale. Queste «rete» è presto dilagata tra espatriati e chi invece è rimasto nel proprio paese di origine, soprattutto se giovani.
Questo ha posto sotto stress soprattutto i giovani dei Paesi d’emigrazione, divisi tra il desiderio emulativo dei coetanei espatriati in contesti più aperti e la necessità di seguitare ad adeguarsi a lealtà tribali, comunque socialmente chiuse. Nei Paesi «occidentali» questi stessi fenomeni hanno invece rafforzato la tendenza al riconoscersi in un «io sovrano». La domanda se fosse orfano avrebbe potuto emergere, ma le grandi tensioni globali lo hanno impedito offrendo il rifugio nella paura dell’altro; mantenendo un individualismo di fondo preservava un senso di appartenenza. L’io sovrano si è salvato con il populismo.
2009: La rielezione (fraudolenta) di Mahmoud Ahmadinejad ha determinato un’insurrezione giovanile in Iran, Paese socialmente evoluto e quindi non sorprendentemente primo in una tale rottura, anche per la ferocia assurda del regime.
2011: L’insurrezione popolare è arrivata nell’araba Tunisia dopo che un venditore ambulante si è dato fuoco per l’insopportabilità dei soprusi patiti. L’incendio ha riguardato un numero considerevole di Paesi arabi nel giro di pochi mesi, senza un leader, solo quel venditore ambulante, inaudito motore regionale di empatia e uno slogan; insieme hanno unito un mondo disarticolato, frammentato, diverso e diviso: «il popolo vuole la caduta del regime».
Questo maremoto originante nella profondità del malessere è cresciuto nella sua corsa, fino all’impatto fragoroso con le rocce siriane. Il nuovo sistema globale, la rete globale, ha avuto un ruolo oggettivo in questi accadimenti caratterizzati soprattutto da mobilitazioni giovanili, quelle più presenti nei mondi dei social media, sebbene in ambienti e sistemi politici chiusi.
2013: Il presidente degli Stati Uniti, Paese non solo simbolico per «il mondo della rete globale», davanti alla repressione feroce delle proteste siriane fissò una linea rossa, l’uso di armi chimiche da parte del regime: se oltrepassata gli USA sarebbero dovuti intervenire. Ma quando quelle armi chimiche vennero usate lui rinunciò all’azione, a creare cioè quelle «no fly zone» che si chiedevano per impedire il massacro di civili nelle aree degli insorti.
2014: È stato l’anno dell’inizio ufficiale della crisi ucraina, che ha allontanato le attenzioni di Barack Obama dal Medio Oriente e scavato il solco con Putin.
2015: Siamo arrivati all’intervento russo in Siria e all’intesa di poco successive degli Stati Uniti con il regime iraniano sul nucleare (firma nel 2015, attuazione nel 2016) intesa che non ha toccato le questioni poste dai giovani della protesta iraniana, producendo nuove proteste dalla fine del 2017. Il superamento del sistema sanzionatorio non ridusse il malcontento per disoccupazione e corruzione. Nel 2018 l’accordo fu disconosciuto dal nuovo presidente USA, Donald Trump.
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È una datazione parziale, non certo esaustiva e l’intreccio evidente tra rottura siriana e rottura ucraina obbliga ad allargare il campo di osservazione. Gli stress del Vicino Oriente hanno influito sulle società europee che, al centro di altri «stress da globalizzazione» non hanno voluto riconoscere le cause dello stress psicologico e sociale dei giovani del vasto mondo a prevalenza musulmana; così il sommovimento giovanile, fragile, che si è sentito tradito mentre veniva combattuto con milizie jihadiste da chi temendo il virus democratico ha tentato di impossessarsi della rivolta, ha determinato tra noi una reazione di paura e autotutela. Questo ha impedito di sentire il vagito, confondendolo con l’urlo dei nemici del neonato che lo volevano uccidere.
In America un secolarismo che si auspicava autosufficiente ha contribuito alla presa dei «culture warriors» nel campo impaurito delle fedi. Gli opposti estremismi collaborano e il centro sparisce. La questione ha riguardato anche un altro bastione cristiano, quello russo, dove la novità «globalista» era giunta; la guerra ucraina non è stata motivata come contrasto all’espansione della NATO, ma come lotta metafisica tra il bene (la Russia cristiana) e il male (la secolarizzazione occidentale dell’Ucraina).
L’anomala «crociata democratica» di Biden non ha trovato i consensi necessari per via dei suoi costi ed è emerso il nuovo cristianesimo di Donald Trump, che mentre annunciava la grande deportazione si autoproclamava al contempo difensore o restauratore dei valori cristiani, coadiuvato da pastori che hanno varato un Vangelo tutto nuovo, quello della prosperità.
In Israele il 7 ottobre ha riportato il trauma collettivo e in assenza di un campo pacifista − sconfitto da tempo a seguito dell’assassinio di Yitzhak Rabin, del terrorismo dei kamikaze ispirati dal regime di Tehran e da diversi errori − è emerso sempre più un approccio messianico: il primo ministro nella definizione delle dispute territoriali si è sovente riferito alla Bibbia, come anche nella conduzione della guerra senza limiti a Gaza, il cui esito a oggi non è l’eliminazione di Hamas, ma di Gaza, che scompare.
I richiami sempre più frequenti a passati più o meno lontani, basti dire del nostro richiamo alla battaglia di Lepanto, o al termine «crociati» da parte jihadista per riferirsi a cristiani di oggi, o i riferimenti israeliani alla guerra biblica agli amaleciti al riguardo di Gaza, collegano il bisogno di estirpare il male con guerre giuste e dunque religiose.
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La guerra-continua ci assedia con rimozioni impossibili, come quelle del 7 ottobre, di Gaza, della Libia, del Sahel, del Sudan e ancora. La guerra al regime khomeinista per voci iraniane ostili al regime si sta trasformando in una guerra all’Iran. La reazione di quel regime ha colpito sovente civili. Nella comunicazione globale ora emergono non conoscenze, incontri, ma a noi servirebbe più che conoscere, fatto freddo, comprendere tutti, fatto caldo.
Da Nostra Aetate a Fratelli tutti c’è una proposta plurale, che nella sua ultima enciclica Francesco ci presenta così: «Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!».
La fratellanza riconnette tutti a una comunità e tutte le comunità nella famiglia umana; il rimedio possibile.






C’è anche molta presunzione negli esseri umani. La fine della storia, la civiltà, la democrazia. E poi ogni tot anni si ricade negli stessi errori, perchè la storia evidentemente non insegna nulla a nessuno. Soprattutto oggi che viviamo in un illusorio eterno presente.
Spiace per chi ci finisce nel mezzo, ma sinceramente non si vedono grosse soluzioni a breve termine..