
L’autrice è teologa, docente di Teologia morale e feconda scrittrice. Ha vissuto lunghi periodi in Colombia e ha interiorizzato varie esperienze spirituali in molte parti del mondo. Vive in profondità la spiritualità domenicana e in questo testo cerca di trasmettere non tanto conoscenze intellettuali, ma esperienze di vita. Esperienze vissute con tutti i sensi: materiali, psichici e spirituali. Si avverte come «animacorporea» e percepisce la vita presente in tutti gli aspetti del creato, non solo nelle persone umane e nei libri.
Fin da giovane ha avvertito la necessità di entrare in contatto vivo con le Scritture perché esse testimoniano la vita e portano alla vita, in un andirivieni continuo. Conosce e traduce le lingue bibliche, ma ciò che le importa è far percepire che, nei testi, si trasmette e si tramanda un’infinità di esperienze vitali avvertibili da tutti coloro che si pongono in attento ascolto della propria vita interiore, del messaggio delle Scritture, dell’anelito presente in tutto il creato, del cammino comune alla luce della parola di Dio.
Mantenere lo sguardo lontano
Nelle prime due parti del suo lavoro (pp.11-32.33-60) l’autrice illustra il senso di scrivere sulle Scritture e quale sia la propria esperienza.
Le Scritture parlano di noi, ci immergono nelle esperienze di moltitudini che le hanno accostate prima di noi e se ne sono abbeverate e le hanno approfondite apportando la ricchezza interpretativa nata dalla loro vita.
L’autrice ha un dettato che fonde insieme riflessione biblica e teologica, approfondimenti filosofici e sapienziali, afflato poetico e contemplativo che vuol esprimere la ricchezza di vita presente in tutte le creature. Ella intende attingere al Mistero e, per fare questo, propone i modi della sua percezione: esperienza, intuizione, ascolto, visione e svelamento.
Scopo del libro è far mantenere lo sguardo lontano dal proprio orizzonte visuale. «Mantenere lo sguardo lontano, non verso l’alto, ma verso l’orizzonte che non c’è perché la deità Eterna non ha mai chiuso le porte dello spazio. Un esercizio molto utile: guardare lontano» (p. 21).
Scrutare le Scritture è ritrovare quel fuoco che qualcuno ha custodito quando il popolo venne deportato in Persia. Il fuoco è il senso della vita di chi legge e ascolta; ciò che la vita nasconde dentro che resta lì fino a quando qualcuno o qualcuna non lo trova. Occorre giungere allo svelamento. Si scruta per percepire il piccolo bagliore che può illuminare il sentiero della vita.
Scrivere su Scritture e tradizione non appare difficile per l’autrice, perché riguarda la vita e solo la vita e tutti noi conosciamo qualcosa della vita e di quel suo senso profondo che cerchiamo e che anche senza vederlo ci guida (cf. p. 25).
L’autrice non scrive per convincere o evangelizzare nel senso tecnico della parola, né per difendere una trasmissione orale e scritta come l’unica tradizione possibile, ma per imparare a camminare in una fedeltà d’amore che non è questione istituzionale e nemmeno dogmatica. Scrive per cercare questa fedeltà, su aspetti che soggiacciono nella vita di tutti e di tutte.
La studiosa è attenta al mondo femminile e alla questione del genere e avverte il lettore della forte presenza del patriarcalismo presente nelle Scritture, che può indurre a interpretazioni molto pericolose quali, ad esempio, il fascismo.
Lettura sapienziale ed esperienziale
Dopo aver introdotto al senso globale del suo scritto, l’autrice riporta alcune linee narrative che raccontano la sua esperienza della scoperta della lettura sapienziale ed esperienziale della Bibbia, fatta personalmente e con un gruppo di amiche, non in chiesa o altrove, ma in una stanza spoglia.
Le Scritture insegnano a vedere la realtà, la vita dal di dentro, la vita in profondità. «Forse è questa la visione più comune a tutte le Scritture: la realtà stessa ti svela qualcosa di essenziale per vivere: chissà, vivere in un altro modo o solo di ascoltare e vedere in un altro modo: il legame tra ascoltare e vedere nelle Scritture è molto stretto» (p. 44).
L’esperienza visionaria di Ildegarda di Bingen «mi aiuta a dire – annota Potente – che, nella vita di ciascuna di noi, il legame tra visione, realtà e svelamento del senso delle Scritture, è possibile da sveglie, senza nessuna mediazione se non quella della realtà, che è misteriosamente abitata ed è capace di svelare un senso diverso da quello che già conoscevi» (p. 45).
Lo studio delle lingue bibliche l’ha aiutata a seguire le tracce delle parole, capire da dove venivano, qual era il loro vero suono e da dove veniva il loro senso; ma lo svelamento lo trovavo nella vita, confessa l’autrice.
Il tappeto e l’albero
Le allegorie del tappeto e dell’albero tagliato aiutano l’autrice a ricordare il legame tra le Scritture e il loro lento farsi nel tempo. Le Scritture sono come un tessuto filato a mano, incrocio di fili che dà un senso. Il disegno è come il disegno del proprio destino. «Un tappeto, come le Scritture, racconta storie attraverso i suoi disegni che, a volte, si percepiscono appena, ispirati dalla vita quotidiana. Minute visioni di esseri umani, oggetti, animali e piante che, in realtà, diventano lingua e narrazione e, a volte, assumono un valore universale nel quale tutte e tutti possono riconoscersi» (p. 47).
Un tappeto adorna, rende bella la vita, scalda il cuore, disegna uno spazio sacro davanti al quale occorre togliersi i sandali. La creazione di un tappeto e, dunque, la sua storia, si vede meglio al rovescio e così anche le Scritture hanno pagine che possono essere interpretate da ciò che esse non dicono espressamente o nascondono, parole e simboli ermetici, racconti senza nessuna conclusione. Il rovescio è quello non ancora visto e sentito nella lettura di queste pagine. È quello che ti fa dire: non lo sapevo! Sono i nodi a garantire i disegni tra geometrie, fiori e piccole personcine (cf. p. 49).
Sia il tappeto che l’albero tagliato si riferiscono a una storia in crescita, a qualcosa che ha a che fare con segrete ed evidenti trasformazioni. «L’intrico di forme ha un senso fisico e spirituale allo stesso tempo: lo sviluppo, la crescita, l’età, la personalità di chi tesse o quella degli alberi, la morte e la rinascita. D’altronde – prosegue l’autrice – è attraverso i simboli che il sentire profondo accede all’altro mondo, il mondo materno, il mondo dell’origine. Avvicinarsi a questo mondo significa vivere. Un tappeto o un tronco d’albero hanno una vita segreta, proprio come il farsi delle Scritture. Mondi che si intersecano: umanità, natura e Deità eterna. Segreto dei segreti di cui possiamo solo insegnare a balbettare qualcosa. Ogni parola umana è insufficiente perché aspetta di essere arricchita dal divino» (p. 51).
Forse ciò che chiamiamo questione dei diritti d’autore o d’autrice – afferma la studiosa – riguarda piuttosto l’ispirazione. L’ispirazione viene, sempre e ogni volta che viene non è mai completa, perché viene in umanissime situazioni e attraversa l’ascolto del cuore umano. Quando pensò di uccidere Isacco, Abramo non comprendeva la Deità Eterna che, invece, proprio su quel monte, mette fine ai sacrifici umani.
«Certamente questo capitolo del libro della Genesi è un testo introspettivo e chi lo racconta lo fa guardandosi dentro, magari cercando di trovare parole ed espressioni del suo sentire alquanto confuso» (p. 55).
Chi ha ispirato i Salmi? «La creazione – risponde la studiosa –, la realtà storica del popolo, il passato e il presente e gli avvenimenti quotidiani in cui misteriosamente si muove Lei: la Divina Presenza. Qualcuno o qualcuna, chissà, nel corso della storia ha raccolto l’eco di tanti racconti, fiabe, detti, e solo dopo, molto tempo dopo, nascono le Scritture sapienziali […]. Le Scritture si possono comprendere solo guardando la vita. Nessuna o nessuno è proprietario. Certo, la Sapienza – e non la legge – ci dice che è meglio interpretarle insieme e per questo si cercano amiche e amici che leggano insieme a noi» […]. Se pochi “eletti” volessero esserne i proprietari, allora le Scritture si chiuderanno e non parleranno più» (pp. 56-57).
Alcuni temi biblici
Nella terza parte del suo libro (pp. 61-190), l’autrice riflette su diciassette temi bilici a lei cari.
La riflessione abbraccia annotazioni filologiche, linee teologiche, approfondimenti esperienziali, tocchi illustrativi di natura poetica e filosofica. Sono presenti anche arricchimenti apportati dall’interpretazione ebraica.
Dapprima la teologa esamina il ritorno al legame originario, che per lei è materno e non solo paterno. Riflette quindi sull’intreccio profondo tra esilio-nostalgia e presenza-assenza. Il numero magico quaranta è accostato alla riflessione sul ricordo.
Con taglio tipicamente femminile l’autrice scruta le strategie quotidiane per vivere. Per fare questo segue con affetto la storia di Noemi e di Rut. Lo studio dell’organo prezioso dell’orecchio lascia il posto a pensieri che indagano rovesciamenti e voli pindarici presenti nei testi biblici.
Seguono le riflessioni sapienziali su un altro enigma: il tempo del sole e quello della luna. Ad esso si aggiunge l’enigma del senso del tempo e il senso della vita.
Un paragrafo è dedicato al legame che collega il tempio, la nostalgia e il desiderio.
Legati all’ambiente domestico sono il paragrafo dedicato alla casa e all’ospitalità – con la riflessione sull’episodio dell’accoglienza di Marta e di Maria nei confronti di Gesù – e quello che si sofferma sul tema della porta e della soglia.
L’autrice si sofferma anche sul tema della Sapienza con un commento all’episodio della regina di Saba in visita a Salomone.
Il paragrafo dedicato ai «Vestiti di bianco» dedica alcune note alle Beatitudini. Sulla scorta della traduzione di André Chouraqui («En marche») ella traduce la parola greca originaria con «benavventurati» e li individua con gli umili del soffio. «La via della vita è la via dei dolori del parto ma non della sofferenza [cita Gv 16,21…] C’è un abisso tra soffrire perché si sta mettendo al mondo qualcuno e soffrire perché non c’è via d’uscita, o perché la sofferenza è considerata come l’irrinunciabile destino di qualcuna o qualcuno. La vera vita non è così; è piuttosto una risposta all’origine e dell’origine conserva il soffio» (p. 153).
Gesù invita a mettersi in piedi e a camminare, per cui si tratta di un movimento che non si riferisce a nessuna categoria etica della contrapposizione e dell’antinomia: i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, come a volte pensiamo. Ci si mette in piedi e ci si sposta […]. Questa poetica pagina delle Scritture è tutta un’altra cosa che non riguarda la giustizia, né presente né futura. Ci si mette in piedi e si cammina grazie a questo soffio che porta con sé l’energia dell’origine» (ivi).» In marcia tutte e tutti coloro che il soffio rende umili, e cioè che hanno ricevuto il dono dell’umiltà e nell’umiltà si alzano e camminano. È vero per tutte le beatitudini» (p. 154).
I benavventurati sono coloro che intraprendono l’avventura del bene. La studiosa si domanda: Dove sono diretti? Seguendo la geografia di Matteo, «direi che vanno verso la cima, “montagna”, fino a raggiungerla e lì stanno insieme a Gesù, si uniscono, non fanno altro che unirsi alla sua vita che è parte dell’origine di tutte le cose e di tutti gli esseri viventi» (p. 155).
Critica politica, trasmissione e tradizione
Il paragrafo dedicato alla critica politica fa riferimento a Daniele alla sua interpretazione del sogno di Nabucodonor (di fatto, ci si sta riferendo alla persecuzione di Antioco IV tra il 167 e il 164 a.C.). Viene svelata la perdita del senso della misura da parte dei potenti. «La statua è una costruzione umana, la pietra che si stacca e cade sui piedi di argilla viene dalla stessa montagna, che non è stata creata dagli esseri umani. Mentre gli esseri umani politicamente costruiscono statue, la natura segue il suo corso e in generazione continua e secondo i ritmi notturni perché lunari, prende il posto delle statue umane» (p. 167).
La pietra che cresce non è un altro potere che, con un altro regno, si sostituisce a quello di altri regni. Non è nemmeno un regno divino, è una pietra che cresce. È una nuova creazione, una montagna; un luogo, un semplice luogo.
L’autrice considera la politica, «per come la conosciamo, una forzatura sulla natura e su tutti gli esseri umani, donne e uomini, che sono più vicini alla natura e dunque all’origine e al sentire della propria animacorporea. Solo queste creature interpreteranno il sogno di un re che in realtà non cambierà, nonostante il suo spavento notturno» (p. 167).
Prima dell’ultimo paragrafo dedicato alle conclusioni aperte, ispirato ai salmi che raccolgono ogni esperienza di vita, l’autrice si sofferma sulle tre T: trasmettere, tramandare, tradizione.
L’esperienza di vita che porta alla vita si trasmette agli altri attraverso il vissuto, lo scritto, la testimonianza personale ecc. L’interpretazione delle Scritture avviene tramite la tradizione viva della Chiesa, formata dalla liturgia, dal magistero ufficiale, dalla preghiera, dallo studio, dalla testimonianza dei santi e dei visionari, dalla mistagogia.
La Tradizione è una realtà viva, che non può essere ingabbiata in schemi precostituiti e immutabili. Anche il creato e la vita del mondo trasmette l’esperienza di Dio, e in questo i Salmi sono un prezioso aiuto per trovarvi la propria vita nel poterla esprimere davanti a Dio.
Libro dal taglio interpretativo della realtà originale, che coinvolge tutte le realtà dell’essere umano e del creato. Un respiro vasto da accogliere come novità. Il lettore è invitato a proseguire il cammino intrapreso dall’autrice, apportando il proprio contributo di esperienza di vita.
Antonietta Potente, In amorosa fedeltà. Leggere e trasmettere le Scritture (Scintille dello Spirito), Paoline, Milano 2025, pp. 200, € 16,00, ISBN 9788831550666.





