Dove va la Chiesa cattolica?

di:

meloni-meeting

Lo scalpore che ha suscitato l’intervento di Giorgia Meloni al Meeting di Rimini, con le sue lodi sperticate, tra le ovazioni dei presenti, per l’impegno di Comunione e Liberazione in politica in netto contrasto con la «scelta religiosa» dell’Azione cattolica, ha subito riportato a questioni che sembravano archiviate definitivamente.

Azione cattolica e Cielle

Personalmente ho pensato a un rigurgito della vecchia guardia di Cielle. Un rigurgito, cioè, da parte di chi ha steso un testo di quel tenore (non certamente farina del sacco di Meloni) perché, dopo oltre sessant’anni, non ha ancor oggi digerito l’allora estromissione di Gioventù Studentesca (GS) dall’Azione cattolica, estromissione voluta dall’arcivescovo di Milano Giovanni Colombo in accordo con Paolo VI.

Don Giussani, come si sa, non aveva nessuna intenzione di fondare un nuovo movimento nella Chiesa. Il suo obiettivo era piuttosto quello di impossessarsi dell’Azione cattolica, riformandola dal suo interno: un’AC da lui giudicata troppo ingessata, frenata dalla sua pesante struttura organizzativa, incapace di offrire ai giovani una proposta forte di incontro con la persona di Gesù.

Giussani era talmente convinto di questo che arrivò fino al punto di chiedere alla Conferenza episcopale italiana di allora che GS non fosse considerata un’esperienza «accanto all’Azione cattolica» ma, come ebbe modo di spiegare ai suoi, un’esperienza «dell’Azione cattolica, come siamo sempre stati».

Il suo disegno – per fortuna – non andò in porto, e fu costretto a dar vita ad un movimento a sua immagine e somiglianza. I giovani ciellini di allora, a lui più vicini (rimasti laici oppure diventati preti, vescovi o cardinali) rimasero però ancorati a quell’idea, mai digerita appunto, e dopo una vita intera rigurgitano ciò che ancora è rimasto loro sullo stomaco.

È più che evidente che quel pezzo del discorso di Meloni lo abbia scritto un reduce di quella esperienza, oggi ghost writer del governo in carica, dopo esserlo stato di altri governi di centrodestra. E bene ha fatto Rosy Bindi che su Avvenire ha rimesso il campanile al centro del villaggio, seguita da altri interventi che si sono successivamente succeduti come quello – ineccepibile – di Marco Vergottini su SettimanaNews, che ha richiamato le differenze sostanziali e pastorali tra AC e CL.

Devo però confessare che leggere queste cose oggi mi fa uno strano effetto. Mi riportano a un tempo (per noi entusiasmante) che non c’è più. A un passato che crediamo esista ancora, intatto come allora, ma che in realtà è solo nella vita di chi l’ha vissuto, e che ha ormai superato ampiamente i sessanta, settanta, ottant’anni.

La realtà della Chiesa, oggi, è un’altra. Così come lo sono i problemi che la dividono. Davvero crediamo ancora (come il reduce ciellino autore del testo letto da Meloni) che esista una contrapposizione tra AC e CL così come l’abbiamo vissuta mezzo secolo (e più…) fa?

Chi partecipa alla vita del movimento o a quella associativa in parrocchia e nelle diocesi, non sa nulla delle dispute teologiche o pastorali di allora, così come non ci sono molte occasioni di incontro (o di scontro) tra gli appartenenti alle due organizzazioni.

Le generazioni postconciliari, poi, a partire dai papaboys di Giovanni Paolo II (pure loro ormai maturi e attempati…), neppure sanno cosa siano la scelta religiosa o l’impegno politico dei cattolici. Forse neppure sanno cos’è il Concilio Vaticano II così come lo abbiamo letto, studiato, approfondito, conosciuto, difeso e annunciato noi boomers cattolici. Per loro è solo storia della Chiesa (come lo fu per noi il Vaticano I) e non documento vivo, punto di riferimento imprescindibile per la pastorale e la liturgia, per la presenza nella società e per il dialogo ecumenico.

Crisi della Chiesa e il vecchio che avanza

La realtà della Chiesa di oggi è diversa: sociologicamente, politicamente, ecclesialmente.

Sociologicamente assistiamo – come ovunque in questa epoca – ad un ritorno al privato, ad un individualismo vissuto come chiusura a nuove esperienze comunitarie di impegno e di accoglienza. Restano attive (molto attive, per fortuna) quelle iniziative sorte negli anni Settanta da preti di strada e da vescovi intraprendenti. Ma nuove opere che rispondano ai bisogni di povertà e di emarginazione ne nascono raramente.

Anche il tempo dello stato nascente o dell’«effervescenza collettiva» – come la definiva Durkheim –, che diede vita alla stagione dei nuovi movimenti, è finito. Basta guardare ad alcune iniziative del mondo cattolico promosse nelle parrocchie o nelle piazze per notare come la partecipazione, quando c’è, è anagraficamente riconducibile al secolo scorso.

La realtà della Chiesa è diversa anche politicamente. Un gran numero di cattolici (vescovi e cardinali compresi…) rimangono affascinati e ammirati da politiche identitarie, che brandiscono rosari e statue della Madonna, che prendono a modello autocrati capi di Stato, che sventolano bandiere e invocano Gesù Cristo per dare battaglia (fisicamente, non solo metaforicamente) a stranieri, musulmani, gay, lesbiche, woke, abortisti… Basta guardare alla Francia o all’Italia, per domandarsi da quale elettorato traggano sostegno leader e partiti che raccolgono oggi maggioranze di destra.

Ma la realtà della Chiesa di oggi è diversa anche – e soprattutto – ecclesialmente. Stiamo assistendo al vecchio che avanza. Come un fiume carsico, infatti, il movimento tradizionalista che si pensava incanalato tra gli argini della corrente lefebvriana, è riemerso con particolare risalto in molte realtà ecclesiali, soprattutto in Francia, Svizzera, Stati Uniti, Spagna, Germania e Italia, come anche evidenziato, proprio su SettimanaNews, dal politologo austriaco Thomas Schmidinger.

Parroci che celebrano la messa con le spalle rivolte ai fedeli. Preti che impongono nelle loro parrocchie riti in latino. Ragazze che assistono col velo in testa e giovani che si inginocchiano con le mani giunte per ricevere la Comunione in bocca. Ma soprattutto – e questo dovrebbe far riflettere – chiese che si riempiono di giovani con queste caratteristiche mentre tutte le altre restano vuote. Scene ormai ricorrenti, che i più anziani non vedevano da sessant’anni e che si ripresentano con sempre maggiore frequenza anche nelle nostre parrocchie.

In occasione dell’ultima Pasqua, la Francia ha assistito a un record di battesimi: 10.384 adulti (il 45% in più rispetto all’anno prima e il 60% in più in dieci anni) e oltre 7.400 adolescenti tra gli 11 e i 17 anni. Fenomeni simili sono stati osservati nella Svizzera francese dove si conferma l’aumento del numero di catecumeni. In diverse località, la partecipazione a celebrazioni particolari è aumentata in modo significativo. Un incontro per cresimandi, tenutosi recentemente a Ginevra, città di Calvino, ha registrato un’affluenza record.

Il comun denominatore di queste manifestazioni, che qualcuno potrebbe considerare confortante, è che questo riavvicinamento ad una rinnovata pratica religiosa è legata a un movimento tradizionalista che avanza, soprattutto nei grandi centri urbani.

Cosa sta, dunque, accadendo nella Chiesa cattolica? Sembrerebbe un nostalgico ritorno al passato, se protagoniste fossero persone anziane che non hanno mai accettato le riforme liturgiche del Concilio Vaticano II. Invece ci si accorge che, a ripescare antiche liturgie, addobbi impolverati riposti nei depositi parrocchiali, comportamenti che si pensavano abbandonati, sono preti di fresca ordinazione e giovanissimi fedeli. È una nuova generazione di cattolici che avanza guardando a un passato che non hanno mai vissuto e quindi che per loro è novità. Non è quindi un ritorno al passato ma un «ritorno al futuro».

È un fenomeno non organizzato in strutture definite, ma piuttosto spontaneo e informale. Un fenomeno che, però, si va diffondendo in modo crescente. Non tanto per il numero di persone che vi aderisce (nelle realtà locali sono ancora pur sempre una minoranza, anche se in aumento) quanto per diffusione sul territorio. Sono fedeli che – pur non frequentando le messe tridentine – si comportano nelle nostre chiese secondo norme liturgiche ormai in disuso o addirittura abolite. Comportamenti spontanei, alimentati da sempre più numerosi preti (giovani preti, appunto) che reintroducono gesti, culti, pratiche, suppellettili, vesti e ornamenti sacri che l’ultimo Concilio aveva raccomandato di eliminare.

A tutto ciò va aggiunto, cosa impensabile fino a pochi anni fa, che in ogni diocesi ci sono luoghi di culto dove viene autorizzata la celebrazione della messa vetus ordo e che diventano punto di riferimento e di ritrovo sistematico.

Altri riti tridentini avvengono, senza autorizzazione, in località dove, da un giorno all’altro, fedeli comuni si ritrovano ad assistere a incomprensibili liturgie in latino, creando in loro non poche perplessità. E a un cardinale di Santa Romana Chiesa viene autorizzata la celebrazione della messa preconciliare in San Pietro, cuore della cristianità.

Oltre il folclore, il rischio di dividere

Ora, non è di per sé molto importante se qualche nostalgico celebra in privato messe preconciliari rimpiangendo ciò che magari non ha mai vissuto perché nato molto anni dopo il Concilio. Sono gusti personali, così come può essere semplicemente liquidato come folclore religioso il riproporre in chiesa riti, vesti, inni e paramenti scomparsi da oltre mezzo secolo.

Ciò che invece comincia a preoccupare è quando tutto ciò viene imposto a un’intera comunità parrocchiale da un singolo prete, creando sorpresa, sconcerto, divisione, abbandono e dispersione. È una visione di Chiesa che preoccupa perché rompe la comunione e incrina l’unità della Chiesa stessa, in nome di una tradizione male interpretata. Per dirla con Gustav Mahler, «fedeltà alla tradizione è custodia del fuoco, non adorazione delle ceneri». Di fronte a questi rigurgiti del movimento tradizionalista sembra si sia arrivati invece ad adorare ciò che è morto, piuttosto che tener vivo ciò che è risorto.

Un mondo in transizione

Questi fenomeni indicano una tendenza ma, nello stesso tempo, sono indice di una Chiesa che non ha ancora chiaro davanti a sé il cammino da intraprendere. È un periodo di transizione verso un modello di Chiesa, ma soprattutto di cristianità, che non è più e nello stesso tempo non è ancora.

Ritornano alla mente riflessioni del passato che oggi sembrano profetiche. A cominciare dal celebre testo del giovane teologo Joseph Ratzinger che, nel 1969, scriveva: «Dalla crisi attuale emergerà la Chiesa di domani – una Chiesa che avrà molto perso. Sarà di una taglia ridotta e dovrà ripartire da zero. Non sarà più in grado di riempire tutti gli edifici costruiti durante il suo periodo prospero. Con la riduzione del numero dei fedeli, perderà numerosi privilegi. Contrariamente al periodo anteriore, la Chiesa sarà percepita come una società di persone volontarie, che s’integrano liberamente e per scelta. In quanto piccola società, sarà condotta a fare molto più spesso appello all’iniziativa dei suoi membri».[1]

Ma ancor più spiazzante è quanto scriveva Emmanuel Mounier nel 1946 di fronte ad una società del dopoguerra intrisa di un cristianesimo onnipresente e onnipotente («i giorni dell’onnipotenza» li avrebbe descritti Mario V. Rossi…), che già mostrava in Francia i segni della sua contraddizione, che è la natura stessa, la natura paradossale del Regno: disarmato e trionfante, inafferrabile e radicato.

Le parole di Mounier sembrano descrivere in modo impressionante la fotografia della realtà odierna: «Il cristianesimo non è minacciato di eresia: non appassiona più abbastanza perché ciò possa avvenire. È minacciato da una specie di silenziosa apostasia provocata dall’indifferenza che lo circonda e dalla sua propria distrazione. Questi segni non ingannano: la morte si avvicina. Non già la morte del cristianesimo, ma la morte della cristianità occidentale, feudale e borghese. Una cristianità nuova nascerà domani, o dopodomani, da nuovi strati sociali e da nuovi innesti extraeuropei. Ma bisogna che noi non la soffochiamo con il cadavere dell’altra».[2]

Che la salvezza della Chiesa possa davvero venire non già da un nostalgico ritorno al passato (o al futuro…) ma piuttosto dai poveri, dagli emarginati, dai migranti che hanno “invaso” le nostre terre? Bisogna però non soffocarla con la cristianità raccontata da Meloni.


[1] J. Ratzinger, Fede e futuro, Queriniana, Brescia 1971, pp. 114-115.

[2] E. Mounier, Agonia del cristianesimo? (1946), in Cristianità nella Storia, Ecumenica Editrice, 1979, p. 30.

Print Friendly, PDF & Email

39 Commenti

  1. Maria Laura Innocenti 28 novembre 2025
  2. Vincenzo Zacchiroli 26 novembre 2025
  3. Pierpaolo 23 novembre 2025
  4. F.N. 19 novembre 2025
    • Lucio Croce 20 novembre 2025
      • Angela 21 novembre 2025
  5. Roverrato 19 novembre 2025
  6. Angela 19 novembre 2025
    • Luigi Maffezzoli 21 novembre 2025
      • Angela 21 novembre 2025
  7. Lucio 19 novembre 2025
    • Anima errante 19 novembre 2025
      • Lucio Croce 19 novembre 2025
    • Angela 19 novembre 2025
  8. Claudio Colombara 18 novembre 2025
    • Enrico 19 novembre 2025
      • anima errante 19 novembre 2025
      • Adelmo Li Cauzi 19 novembre 2025
  9. Enrico 18 novembre 2025
  10. Marco Vergottini 18 novembre 2025
    • Raffaele Savigni 18 novembre 2025
    • Fabio Cittadini 20 novembre 2025
  11. Lucio 18 novembre 2025
  12. Adelmo Li Cauzi 18 novembre 2025
  13. Mike 18 novembre 2025
  14. Gabriele 18 novembre 2025
  15. Tiziana 18 novembre 2025
  16. Marco C. 18 novembre 2025
    • Anima errante 18 novembre 2025
  17. Pietro 18 novembre 2025
  18. Angela 18 novembre 2025
  19. Fabio Cittadini 18 novembre 2025
    • Angela 18 novembre 2025
    • Mike 18 novembre 2025
      • Fabio Cittadini 20 novembre 2025
  20. 68ina felice 18 novembre 2025
    • Guido 18 novembre 2025
      • Mihajlo 18 novembre 2025
      • 68ina felice 18 novembre 2025

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto