Klimt: il corpo delle donne

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Klimt: Giuditta II

La bella mostra al museo MART di Rovereto sull’influenza che il grande artista della Secessione viennese Gustav Klimt (1862- 1918) ebbe in Italia e soprattutto nell’area veneta e del nord (cf. qui),è l’occasione per ripensare a quanto la figura femminile sia stata artisticamente una sensibile cassa di risonanza in un tempo di profonde trasformazioni, come quello che ha preceduto il primo conflitto mondiale.

Il corpo delle donne – per natura mobile e diveniente – è ampio sismografo che registra, spesso subendole, scosse storiche e culturali.

Inoltre, la presenza in mostra dell’opera di Klimt Giuditta II (1909) consente una riflessione sulla figura biblica che percepiamo attuale in una stagione in cui la guerra alle porte dell’Europa è assai presente in Italia sia sugli schermi televisivi sia negli incontri con uomini e – soprattutto – donne lavoratrici provenienti da quell’ area martoriata.

Nella sua autobiografia, Il mondo di ieri (1942), lo scrittore austriaco Stefan Zweig (1881-1942) descrive la vita quotidiana della Vienna di fine 800 e capitale dell’Impero asburgico riflettendo sul rapido cambiamento dell’etica sessuale e dell’immagine femminile nei pochi decenni che vedono sia la progressiva decadenza dell’impero sia la fioritura di una straordinaria vitalità artistica.

È facile abbinare queste pagine alle immagini di donne dipinte da grandi maestri di area mitteleuropea tra fine ‘800 e i primi ‘900, mentre Freud scopriva l’inconscio e i suoi segreti proprio analizzando vissuti e nevrosi di alcune donne, sue pazienti. La donna fatale che irretisce e incanta diventa un motivo dominante e più volte vengono rappresentate, anche in ambito musicale e letterario, le figure bibliche – quasi gemelle – di Salomè e Giuditta.

La donna materna e angelo del focolare della tradizione ottocentesca cede il posto ad affascinanti ammaliatrici e sirene, fluttuanti figure spesso violente e perturbanti. La modernizzazione in ambito economico e le varie trasformazioni in quei decenni disorientano e destabilizzano visioni che si credevano consolidate.

In Klimt è centrale il mondo femminile e ci affascinano le sue donne adornate con splendide cromie dorate, inscritte in pannelli e fregi decorati con richiami floreali e geometrici. Klimt, conscio dell’ambivalente immagine della donna madre e amante, come la psicoanalisi junghiana ha descritto, tenta una conciliazione tra le varie anime del femminile (si pensi alle sue audaci maternità o ai sontuosi ritratti di aristocratiche signore viennesi) sotto gli occhi di fruitori che a quel tempo per lo più non riuscivano a riconoscersi in quelle forme e cromie.

Così le spettatrici che, indossando abiti dai corsetti strettissimi e lunghe gonne atte a coprire il proprio corpo, guardavano turbate i disegni di lascive nudità femminili. Ci è noto, infatti, lo sconcerto del pubblico veneziano della IX Biennale 1910, di fronte alle 22 tele di Klimt esposte nella Sala 10, allestita da un architetto della Wiener Werkstätte.

Tuttavia, allora, un intelligente critico venticinquenne, Nino Barbantini (da appena tre anni direttore della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Cà Pesaro), colse l’audacia innovativa di quelle opere e favorì l’acquisizione di Giuditta II lì esposta e ancora oggi patrimonio del Museo veneziano di Cà Pesaro.

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Klimt: Giuditta I

Nella sua recensione alla Sala 10 della Biennale il critico seppe inquadrare il “fenomeno Klimt” e colse l’attenzione dei giovani (“commossi e vibranti”) di fronte alle tele. Analoghe emozioni abbiamo avvertito  sostando sul ritratto dell’eroina biblica.

Essa non appare come Giuditta I (1901) – dello stesso Klimt – regina del proprio desiderio, quasi inebriata e appagata dal delitto commesso, mentre la sua mano regge la testa di Oloferne con delicatezza. Nel brano del 1909 invece vediamo una donna che si fa interprete del clima di guerra in cui è costretta a vivere.

Incede come intontita dal gesto da poco compiuto: gli occhi sono semichiusi e le mani artigli che trattengono i capelli della sua preda. Incurvata in avanti, come sopportando un peso increscioso, il seno nudo e il restante corpo ricoperto da un abito riccamente decorato, la donna di Klimt comunica una sensualità intensa e decadente.

Tessere colorate di mosaico e richiami alle murrine veneziane (sicuramente note e apprezzate dal maestro) colorano i contorni dell’elegante figura allungata e incorniciata in una stretta porta dorata. Come la porta stretta che, nella fiction biblica, Giuditta decise di varcare per difendere il suo popolo dall’aggressione straniera.

Il libro dell’Antico Testamento che ne racconta la vicenda non è un libro storico e in esso brilla la scelta di Dio per gli ultimi. Ovvero per chi – come il piccolo Davide nei confronti di Golia o come la Vergine nella sua umiltà – ribalta le sorti della storia. Nel ritratto del maestro viennese, ultimato alla vigilia della Prima Guerra mondiale, non è difficile scorgere violenza agita e subita.

Un ritratto del femminile che purtroppo avvertiamo molto attuale e che non ha nulla a che vedere con la rappresentazione della malinconica e aggraziata Giuditta del Botticelli (1472) che avanza leggera, quasi danzando dopo la crudele esecuzione. Vorremmo tuttavia raccogliere dalla mano destra di quest’ultima il ramoscello di ulivo, simbolo di pace e, con il verso del cantico di Giuditta che chiude l’omonimo libro biblico, invocare il “Dio che stronca le guerre” (Gdt 16,2).

Botticelli: Il ritorno di Giuditta a Betulia (1472)

Botticelli: Il ritorno di Giuditta a Betulia (1472)

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