
Dopo la dabbenaggine del presidente americano Donald Trump di concedere al presidente russo Vladimir Putin la vittoria a tavolino sull’Ucraina (Anchorage, Alaska 16 agosto), si rafforza anche la posizione del patriarca di Mosca che ha speso la sua autorità morale per sostenere l’aggressione militare della Russia all’Ucraina. La «sovietizzazione» interna alla Chiesa, con la «verticale» del potere, il soffocamento di ogni dissenso e la «normalizzazione» delle relazioni interne si arricchiscono di nuovi elementi (cf. qui su SettimanaNews).
Anche nel titolo
L’ultimo di tali elementi è la decisione del Sinodo di pretendere da tutte le Chiese che fanno riferimento a Mosca di mettere nel loro titolo ufficiale il lemma «Chiesa ortodossa russa» o «patriarcato di Mosca». Il Sinodo del 24 luglio lo pretende espressamente dall’esarcato bielorusso, ma anche dal distretto metropolitano del Kazakistan.
La richiesta verrà progressivamente estesa ed è motivata dall’indirizzo delle Chiese viciniori di accentuare la qualifica nazionale per sottolineare il proprio profilo.
Il riferimento richiesto è già attivo per l’Uzbekistan, ma non per la Chiesa ucraina (non autocefala), per quella estone, lettone e moldava.
In Ucraina, la Chiesa un tempo «filo-russa» ha cambiato i suoi statuti e ha proclamato una piena autonomia da Mosca. Il governo ucraino non si fida e, dopo l’approvazione di una legge ad hoc a fine luglio, ha dato 90 giorni a tutte le sue istituzioni ecclesiali (diocesi, parrocchie, monasteri ecc.) per eliminare ogni elemento di affiliazione alla Chiesa di Cirillo.
Situazione simile in Estonia, dove il governo ha preteso il cambio di nome della Chiesa ortodossa locale e il parlamento ha approvato una legge che interdice le associazioni religiose che fanno riferimento a Mosca. La questione è ancora in stallo perché il presidente, Alar Karis, il 3 luglio, ha respinto per la seconda volta la legge come anticostituzionale.
In Lettonia il parlamento (7 settembre 2022) ha proclamato l’autocefalia della locale Chiesa ortodossa ma il patriarcato di Mosca la annovera sempre fra le Chiese legate da vincoli canonici.
In Lituania si è prodotta una spaccatura. È nata, o meglio rinata, una Chiesa di obbedienza costantinopolitana di contro all’altra che ha frettolosamente proclamato la propria autonomia da Mosca.
La Chiesa ortodossa moldava è strettamente legata a Mosca ma, nel suo titolo ufficiale, non compare il suo legame canonico. Oggi è occupata in particolare a contenere la potente deriva delle sue comunità e dei suoi preti verso la rinata diocesi di Bessarabia che fa riferimento alla Chiesa ortodossa romena.
L’esarcato della Chiesa ortodossa dell’Europa occidentale, che ha il suo centro a Parigi e la sua origine nella diaspora russa dopo la rivoluzione del 1917, è rientrata nell’obbedienza moscovita nel 2019. Il suo titolo rimanda al patriarcato russo, ma la sua identità canonica è ancora non definita. Il suo metropolita, Jean Renneteau, non si è sottratto a dissensi molto netti verso le derive della Chiesa di Cirillo e ha visto crescere al suo fianco una diocesi (del Chersonneso) direttamente dipendente da Mosca.
In Africa
Lo scontro frontale fra Chiesa russa e patriarcato di Costantinopoli in ragione dell’autocefalia concessa alla Chiesa ucraina di Epifanio (contrapposta a quella «filo-russa» di Onufrio) si è esteso. Violando i canoni della tradizione, Mosca ha avviato la sua presenza istituzionale nei paesi africani, considerati «territorio canonico» del patriarca di Alessandria a causa del consenso fornito da questo a Bartolomeo di Costantinopoli e alla nuova Chiesa autocefala ucraina. Il Sinodo (24 luglio) ha provveduto a modificare i titoli dei vescovi per adeguarli ai luoghi. Così nasce una diocesi Nordafricana col titolo «Cairo e Nordafrica» e una diocesi Sudafricana di «Johannesburg e Sudafrica».
I risultati pastorali sul campo non sembrano eclatanti. Il primo esarca, Leonida di Klin, seguiva le truppe russe presenti nei paesi africani e in particolare quelle legate al «Gruppo Wagner» di E. Prigożin. Morto quest’ultimo perché ormai inviso a Putin, anche l’esarca è stato rimosso.
Il successore (Costantino di Zaraisk) ha cercato di raccogliere preti scontenti del patriarcato di Alessandria, stimolandoli con promesse di denaro e di costruzioni che non hanno avuto seguito. Un testimone locale ha detto: «Offrono denaro e fanno promesse. Ma i sacerdoti spesso ricevono meno della metà di quanto promesso, il resto viene rinviato come garanzia futura».
«L’Africa non è un ambiente adatto ai russi. Il mondo in cui si struttura il loro culto – formale, altamente organizzato, quasi teatrale – li fa sentire come pesci fuor d’acqua. Non sanno svolgere il ministero in una semplice baracca in Africa. E hanno capito che formare e coltivare il clero locale richiede un’enorme pazienza, una cosa che chiaramente manca a loro».
Per di più hanno indotto i preti, molti di questi allontanati dal culto per problemi seri, a giustificare il loro abbandono dell’obbedienza al patriarcato di Alessandria con la motivazione del dissenso rispetto all’autocefalia dell’Ucraina che non sanno nemmeno dove sia. «Dicono di avere 40 chiese ma nessuno sa dove». Quando il vescovo Costantino passa a celebrare nelle comunità, ci sono 25-30 preti, più dei fedeli presenti.
Le molte amnesie
Il significativo potere conquistato in Russia – tanto da poter chiedere la rimozione delle spoglie mortali di Lenin dalla piazza rossa – è parallelo al crollo di credibilità nei confronti delle Chiese ortodosse «elleniche» e delle Chiese delle altre confessioni cristiane.
Il legame più stabile e coltivato è con la Chiesa cattolica e con la Santa Sede. Il 26 luglio il metropolita Antonio, presidente del dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne, ha incontrato papa Leone e, nella nota comunicata da Mosca, ha sottolineato l’importanza di sviluppare le relazioni reciproche e il dialogo, nonostante Mosca abbia rinunciato da tempo al confronto teologico per limitarsi a relazioni «strategiche».
In una intervista a Repubblica (24 luglio) ha specificato: «In quei settori in cui è possibile collaborare assieme». Ha escluso che la Santa Sede possa mediare nel conflitto russo-ucraino («Non sono sicuro che la Chiesa cattolica romana possa dirsi neutrale») e che, a tempi brevi, ci possa essere un secondo incontro tra il papa e il patriarca dopo quello a Cuba del 2016. Ha addebitato al Vaticano il mancato incontro nel 2022, dimenticando che è successo per l’invasione russa in Ucraina.
Amnesia se si accumula a molte altre: dalla persecuzione verso le altre fedi e confessioni nei territori occupati in Ucraina (cf. qui su SettimanaNews) al silenzio sui massacri dei civili da parte delle truppe russe, dalla rimozione della tragedia dei 35.000 bambini ucraini deportati (secondo la stima dello Humanitarian Research Lab dell’Università di Yale) alle violenze sui dissidenti in Russia (cf. qui su SettimanaNews).
Risulta difficile da condividere l’entusiasmo del patriarca Cirillo verso la rinascita della fede in Russia («Nella storia dell’umanità non c’è mai stato nulla di simile a quello che è successo nel nostro Paese») e in particolare per Putin:
«Il cambiamento che si è verificato nella vita del Paese è chiaramente espresso nella fede ortodossa del primo cittadino del nostro stato, Vladimir Vladimirovich (Putin) che non si vergogna di venire in chiesa, di ricevere i santi misteri di Cristo, e quanto questo sia importante per l’intera nazione: un ottimo esempio di buon cristiano» (discorso del 12 luglio, in occasione della memoria liturgica dei Santi Pietro e Paolo).






Come tutte le chiese ortodosse, anche quella russa è una chiesa nazionalista, in più gravata dal mito delle terza Roma. Qualsiasi regime ci sia essa appoggerà sempre lo stato vedendo in esso il garante dell’ortodossia (è un dogma) indipendentemente da chi lo governa. Lo possiamo vedere in Grecia, in Serbia, a Cipro, in Romania e in Russia da secoli. Non è una novità poi che quest’ultima persegua con metodi imperialisti un proselitismo di stampo politico. Di cristiano rimane poco, forse qualche monaco isolato dalla realtà del mondo. Non c’è nulla da sperare di buono per non dire altro
L’organizzazione che, con caratteristiche variamente specifiche è un elemento pertinente a diversi contesti umani, non può essere così strumentalizzata quale feticcio fine a se stesso in nome di generiche quanto improbabili mozioni d’ordine, che pretendano di imprimere d’autorità uno stampo morale, sociale o politico che sia. Le pratiche di utilizzo promozionale a livello pubblico dei sentimenti religiosi o anche l’ arbitraria negazione di questi sono state nei secoli largamente sfruttate dal potere anche in Europa fino a tempi assai recenti. In questo terzo decennio del XXI secolo, come abbiamo visto e possiamo continuare a leggere (v. per es. in questo numero l’articolo supra), ora in modo geograficamente concomitante si segnala vergognosamente la volontà di progressiva “omogeneizzazione” forzata della Chiesa ortodossa, costantemente a pro del consolidamento del militarismo imperialista moscovita.
La Chiesa russa è in primis russa e ortodossa, la Chiesa latina è cattolica, cioè universale. Ecco perché la prima non ha possibilità di sviluppo in Africa…😌
Il “buon cristiano” Vladimir Putin, non ha “vergogna”. Basterebbe questo, il resto è superfluo. Cirillo è un sostenitore della guerra, difficile per il Vaticano trovare dei “punti di contatto”.
stanno costruendo castelli di carta, aspettiamo solo il vento giusto
Per il diritto di libertà religiosa i governi nazionali non dovrebbero disporre alcunché di alcuna Chiesa; ogni comunità ecclesiale unia ai propri pastori deve essere libera di scegliere a quale denominazione cristiana appartenere.
Libertà non vuol dire fare quello che si vuole. Qualsiasi organizzazione, religioso o meno, ha elementi pericolosi per la sicurezza pubblica o nazionale, è proprio a tutela della libertà di tutti che viene regolamentata