All’evidente piegatura autoritaria e dittatoriale del potere di Putin nella Federazione russa corrisponde una progressiva “sovietizzazione” della dirigenza della Chiesa ortodossa?
Essa persegue una centralizzazione clericale, favorisce la “verticale” del potere, soffoca ogni dissenso, normalizza e svigorisce la tradizione monastica, agisce di concerto con la polizia segreta? In altri termini assume forse le forme e la strumentazione del potere “sovietico” per accompagnare all’unisono il potere neo-imperiale?
Domande scomode e gravi che attraversano le Chiese ortodosse non filo-russe, le altre Chiese cristiane e ora anche le Chiese ortodosse che fanno riferimento al patriarcato di Mosca come la Chiesa ortodossa russa oltrefrontiera (ROCOR) e la Chiesa ortodossa in America (OCA).
La prima è nata dai fuoriusciti russi al tempo della rivoluzione d’ottobre (1917), ha il suo centro in Francia ed è tornata all’obbedienza russa nel 2019. La seconda nasce dalla presenza in Alaska di comunità russe (prima di essere acquisita dagli Stati Uniti nel 1867) e poi si è sviluppata come Chiesa locale americana, ricevendo l’autonomia (per loro autocefalia) da Mosca nel 1970. Ambedue hanno un rappresentante presso il patriarcato russo.
Il primo segnale di inquietudine è una dichiarazione sinodale della ROCOR (5 giugno). Il secondo una lettera aperta al prossimo concilio dell’OCA (14-18 luglio 2025) e un Rapporto sulle persecuzioni dei leader religiosi.
Dimenticare i martiri
La Chiesa d’Oltrefrontiera denuncia alcune involuzioni dello stato, della società e della Chiesa russa, un ritorno grave a una falsa ideologia che spinge alla corruzione spirituale e all’oscuramento della verità.
Dopo il coraggioso riconoscimento delle vittime e dei martiri operato negli anni ‘80 del secolo scorso, il regime attuale ha approvato un documento che rinnega il passo compiuto (Concezione della politica statale sulla commemorazione delle vittime della repressione politica, 2024) esprimendo la tendenza a cancellare i crimini compiuti. Senza trovare adeguata resistenza nel Consiglio patriarcale per la commemorazione dei nuovi martiri e confessori.
Sono ormai migliaia le revoche del riconoscimento della riabilitazione delle vittime della violenza politica, fra cui credenti ed ecclesiastici travolti dal potere comunista. «Non vogliamo che la Russia ricada ancora sotto il dominio (dello spirito della menzogna)».
Fra i segni più allarmanti il testo della dichiarazione ricorda le nuove istallazioni di statue di Stalin e altri gerarchi comunisti, il restauro del mausoleo di Lenin sulla piazza rossa, l’ancora mancante riconoscimento dell’autenticità delle reliquie della famiglia imperiale e l’accusa allo zar Nicola II di avere distrutto la Russia, in piena consonanza con la propaganda sovietica.
Il culto a Stalin
La consonante glorificazione per i 70 anni della vittoria sul nazismo di quest’anno rende difficile una presa di distanza dal condottiero di allora. Da anni i sondaggi danno in crescita i consensi a Stalin (il 51% nel 2019), le sue immagini tornano ad ornare le case, vi sono preti che celebrano davanti alle icone del dittatore.
È noto il caso del rifacimento del grande mosaico nella nuova cattedrale delle forze armate. In esso campeggiava il volto di Stalin, tolto solo all’ultimo momento nel 2020 (assieme a quello di Putin – cf. SettimanaNews, qui), o il caso simile in Georgia dove il patriarcato ha dovuto intervenire per togliere da una icona la sua figura (2024).
La personalità più autorevole – ora in disgrazia – che è intervenuta sistematicamente durante il decennio scorso a denunciare l’idolatria verso il dittatore è stato il vescovo Hilarion, responsabile del dipartimento per le relazioni estere del patriarcato.
Nel 2011 davanti all’apologia da parte di un prete diceva: «Ogni nostalgia dello stalinismo, in particolare in un prete, è per me una bestemmia. Come si fa a venerare i nuovi martiri e poi invocare ammirazione per Stalin?».
Qualche anno dopo, nel 2015 diceva: «Non credo nella mitologia del personaggio. Penso che la sua politica verso il popolo e la Chiesa sia stata criminale. Il fatto che abbiamo vinto la guerra non è merito di Stalin, ma del popolo e di eminenti comandanti, ufficiali e soldati, compresi i lavoratori delle retrovie. Credo che il brusco cambiamento della politica del suo governo verso la Chiesa è legata alla prospettiva dell’apertura di un secondo fronte in Europa», all’intervento militare britannico e americano; essi chiedevano un minimo di presentabilità a Stalin.
Nel 2019 ricorda agli ammiratori il poligono di Butovo (Mosca) dove giornalmente venivano uccisi fino a 400 oppositori veri e più spesso presunti fra cui molti ecclesiastici. Anche Cirillo ricorda gli anni della persecuzione, ma si concentra sugli anni ‘60, quelli di Krusciov, molto raramente su quelli precedenti. Stalin non lo nomina mai.
Per la ROCOR la rivalutazione di Stalin è particolarmente dolorosa. Già nel 1953 aveva alzato la voce per denunciarne l’idolatria blasfema: «La morte di Stalin è quella del più grande persecutore della fede cristiana della storia […] Gli ortodossi sono stati particolarmente colpiti dalla sua politica satanica, crudele e ingannevole verso la Chiesa». Denunciavano la sudditanza servile della Chiesa ortodossa russa al regime.
Le nuove persecuzioni
Al prossimo concilio della Chiesa ortodossa americana (OCA) si sono rivolti con preoccupazione alcuni fedeli, fra cui il fuoriuscito Sergei Chapnin (cf. SettimanaNews, qui) chiedendo un’attenzione maggiore a quanti sono perseguitati in Russia a causa della loro critica alla guerra di aggressione all’Ucraina.
In un documento rapporto (Comunità religiose sotto pressione. La persecuzione religiosa in Russia 2022-2025) Chapnin (autore del Rapporto) denuncia la violenza politica ed ecclesiastica contro almeno 100 leader religiosi; battisti (7), pentecostali (7), cattolici (3) ecc. ma soprattutto ortodossi (79).
Per colpire i dissidenti si incomincia a indicare quanti si oppongono alla guerra come “agenti stranieri”, poi come membri di organizzazioni inaffidabili, poi vengono censurati con procedimenti amministrativi, penali e canonici. L’esito è spesso l’esilio, la coscrizione miliare e la morte.
Alla persecuzione statale si accompagna sistematicamente la censura ecclesiale. Servizi segreti, amministrazione pubblica e organi di governo ecclesiali si alleano per non lasciare alcun spazio al dissenso. «Lo stretto coordinamento tra Chiesa ortodossa russa e le strutture di sicurezza statali rappresenta una scelta strategica deliberata avviata dallo stesso patriarca Cirillo».
«La Chiesa ortodossa russa è l’unica fra le organizzazioni religiose in Russia a creare meccanismi interni di persecuzione che integrano la repressione statale»: la tempistica degli interventi dissuasivi è sincronizzata, le prove sono condivise, le campagne mediatiche coordinate e sistematico l’intervento diretto dei servizi segreti. Si minaccia la resistenza della base ortodossa, si sopprime preventivamente ogni voce dissonante, si opera attraverso l’intimidazione. La delazione diventa ormai pervasiva.
Si impedisce ogni spazio di alternativa teologica operando un monitoraggio digitale in capo ai servizi. Si utilizza l’obbligo della preghiera per la vittoria per monitorare tutte le celebrazioni e per gli ecclesiastici si ricorre sistematicamente all’accusa di violazione del giuramento canonico.
Contro le voci indipendenti
La pressione persecutoria si allarga alle comunità evangeliche e pentecostali, ma in particolare ai testimoni di Geova: 100 di essi sono in prigione, 128 sono stati condannati in tribunale e oltre 640 hanno subito perquisizioni, interrogazioni e vessazioni.
Come segnali di resistenza nel clero si registrano 27 casi di abbandono volontario dal ministero, la richiesta di passare ad altra giurisdizione (in particolare costantinopolitana) e l’abbandono all’obbedienza moscovita di intere comunità parrocchiali. Pesa molto il silenzio istituzionale della gerarchia russa, dei monasteri, delle altre Chiese ortodosse autocefale (con l’eccezione di Costantinopoli), dei rappresentati cattolici e protestanti internazionali e delle organizzazioni ecumeniche.
«Le prove dimostrano che quello a cui stiamo assistendo non è un allineamento accidentale, ma un sofisticato sistema di coordinamento progettato per eliminare le voci religiose indipendenti attraverso meccanismi complementari di pressione statale ed ecclesiastica. Questo sistema è stato intensificato dopo l’invasione dell’Ucraina, proprio per impedire alle comunità ortodosse di diventare centri di resistenza morale alla guerra».
Idolatria del potere
Vi è una piena identificazione della Chiesa con la guerra di aggressione. Il patriarca Cirillo ha detto il 27 maggio: «La Chiesa, come ai tempi antichi, resta accanto al suo popolo e al suo esercito, svolgendo un servizio, preservando la speranza, aiutando a sopportare le perdite, rafforzando la cosa più importante: la fede nella vittoria della vita sulla morte e del bene sul male. Mi riferisco anzitutto alla situazione attuale: il servizio della nostra Chiesa in luoghi in cui si sta svolgendo l’operazione militare speciale».
Anche ricorrendo ai sistemi sovietici: «Questi modelli sono paralleli ai precedenti storici della Russia sotto il regime comunista» (Rapporto). «Dal 2012 la Russia ha sistematicamente smantellato la società civile, i media indipendenti e l’opposizione politica. Le comunità religiose sono rimaste tra gli ultimi spazi per un discorso morale indipendente, una situazione che lo stato sembra ora determinato a minare» con l’apporto della dirigenza ortodossa russa.
Il ricorso ai servizi segreti, messo in crisi negli anni ‘90 dall’allora patriarca Alessio II, è stato ripreso da Cirillo. In uno dei suoi primi atti nel 2009 ha ricostruito e formalizzato la cooperazione con loro. Tanto da trasformare le strutture ecclesiali in estensioni funzionali del potere statale.
Fino a ipotizzare, come fa nel discorso del 5 giugno, una stagione in cui il potere «scaturente naturalmente dai bisogni spirituali del popolo e dagli individui che sono saliti al potere» avvii una auspicabile congiunzione fra potere e santità. «Perché non possiamo coniugare potere e santità? Non voglio rispondere a questa domanda anche se ce l’ho. Vorrei semplicemente chiedere a molti di coloro che sono al potere oggi di porsi questa domanda».