Il titolo richiede una spiegazione. Persecuzione è parola antica che significa sottomettere a paura, vessazioni, oppressioni e morte in ragione della fede. Cristianofobia è parola recente. Nasce nel contesto diplomatico in forma speculare a antisemitismo e islamofobia. L’una e l’altra sono legate ma non sovrapponibili.
Persecuzioni si registrano in paesi autoritari, teocratici, antidemocratici o in anarchia. La cristianofobia si registra in Occidente e si manifesta in gesti, indirizzi ed eventi anche violenti contrari alla fede cristiana. Da decenni la persecuzione anticristiana è in crescita nel mondo e la sua percezione in Occidente (Europa) è scarsa e infastidita. La cristianofobia è anch’essa in crescita e ugualmente ignorata. Normalmente l’ultima è percepita come continuazione della prima.
Realtà da distinguere
Perché allora contrapporle, seppure in po’ forzosamente?
Anzitutto per la misura dei fatti e delle violenze. Sono imparagonabili per gravità ed estensione.
In secondo luogo, perché perseguono un’opposta intenzionalità. La persecuzione è esercitata per penalizzare la fede. La cristianofobia risponde a pretese esigenze amministrative, a scelte culturali o religiose oppositive, alla riduzione ideologica della laicità, alla resistenza al supposto potere delle Chiese.
In terzo luogo, l’ethos collettivo si ribella alla persecuzione, ma non sempre avverte l’anomalia della cristianofobia. La loro distanza è visibile sullo sfondo civile fra democrazia e autoritarismo. La persecuzione religiosa è sistematicamente declinata dentro la rimozione dei diritti umani e in un contesto di autoritarismo più o meno dittatoriale. La cristianofobia e cioè la discriminazione anticristiana – sempre censurabile e da denunciare – è collocata in un contesto dove l’opposizione è parte del funzionamento del sistema.
In democrazia è normale la dialettica maggioranza-minoranza, la contrapposizione delle idee e la differenza delle appartenenze. La cristianofobia è un segnale, seppur malato, del funzionamento della democrazia. Invece, la persecuzione è sempre un effetto di un potere antidemocratico.
Distinguerle, se non opporle, serve per impedire alle comunità cristiane di cadere in braccio a forze politiche antidemocratiche, che solo in apparenza e per interessi di potere difendono le fedi ma che perseguono forme illiberali di vita civile.
La distinzione serve anche per dare efficacia della denuncia nell’opinione pubblica delle vessazioni registrate e subite, fatta non in nome dei propri interessi ma per i diritti di tutti. Utile anche per sollecitare la comunità credente a inglobare i dissidenti in scelte di umanizzazione che sollecitano la testimonianza credente e i valori civili degli oppositori.
Tre rapporti
Senza attribuire ad altri le affermazioni precedenti, sono debitore per alcune intuizioni all’intervento di Vincenzo Rosito al recente convegno dell’associazione dei professori di storia della Chiesa (Roma, 16-18 gennaio) sul tema della cristianofobia. Per i lettori di SettimanaNews l’attenzione ai fenomeni sempre più inquietanti della persecuzione sono noti per la ventina di articoli che, negli anni scorsi, sono apparsi sul sito.
Utili a illustrare la situazione sono tre rapporti usciti in questi mesi. In settembre, è stato pubblicato il resoconto annuale dell’agenzia Fides su missionari e operatori pastorali uccisi nell’anno 2024. In novembre, è stato presentato il rapporto dell’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa (OIDAC): «Intolleranza e discriminazioni contro i cristiani in Europa». Il 17 gennaio, è apparso il documento annuale dell’organizzazione protestante-ecumenica Open Doors: «Indice mondiale delle persecuzioni dei cristiani 2025».
I numeri e le convergenze
«Dal 2014 (con la riorganizzazione della nostra metodologia) la persecuzione continua a crescere nei 50 paesi censiti dall’Indice […] Secondo i nostri indicatori, oggi sono 60 i paesi divenuti teatro di una persecuzione estrema o molto forte. Ve ne sono quindi una decina oltre al limite. Più di 380 milioni di cristiani sono coinvolti in contesti di forti persecuzioni e discriminazioni» (cf. presentazione Index).
Si registra da alcuni lustri un’impressionante accelerazione delle persecuzioni. Questo significa 1 cristiano su 5 in Africa, 2 su cinque in Asia, 1 su 15 in America Latina. Nel 2024 gli uccisi per la fede sono 4.476, i sequestrati sono 3.775, gli edifici sacri danneggiati o abbattuti sono 7.679, i cristiani arrestati sono 4.744, gli stupri e i matrimoni forzati sono 3.944.
Non i singoli numeri dell’Indice, ma l’indirizzo complessivo è confermato da tutti i centri di studi e i rapporti sul tema. Dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS) all’agenzia Fides, dai documenti OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) al rapporto del dipartimento di stato americano e a quello del governo tedesco, dai dati forniti dalle singole conferenze episcopali (tedesca e altre) a quelli di riconosciuti centri di studio (Human Rights Watch, Amnesty International, Freedom House, International Crisis Group, Pew Research Centre ecc).
Uno sguardo d’insieme di questi decenni del secolo conferma alcuni indirizzi di fondo. La persecuzione può assumere la forma di atti violenti, ma anche la declinazione delle discriminazioni e di intolleranza sperimentabile quotidianamente. Si parla di «persecuzione a martello» nel caso della violenza fisica improvvisa e brutale (omicidi, stupri, sequestri, distruzioni ecc.), mentre si identifica come «persecuzione a pressa» quella che si affida alla negazione dei diritti, all’esclusione e alla discriminazione.
L’insieme dei rapporti confermano alcuni dati. Gli attori maggiori della persecuzione sono il fondamentalismo islamico, l’islamismo statuale, il radicalismo religioso di stampo nazionalista, l’assenza dell’autorità dello stato, la criminalità diffusa o organizzata, la tradizione antireligiosa del comunismo, l’anticlericalismo statuale. Sono in atto l’allargamento degli stati interessati e lo spostamento geografico del «cuore» dell’uragano dall’Asia e Medio Oriente all’Africa sub-sahariana, con la ripresa di violenze anti-cristiane in America Latina.
Dinamiche persecutorie
L’anno appena concluso evidenzia 13 stati al vertice della pressione persecutoria: Corea del Nord, Somalia, Yemen, Libia, Sudan, Eritrea, Nigeria, Pakistan, Afghanistan, Iran, India, Arabia Saudita, Myanmar. Nelle prime posizioni, quattro nazioni sono attraversate dal fondamentalismo islamico. In forte crescita la persecuzione in Myanmar, dove la guerra civile aumenta i livelli di violenza.
Le dinamiche persecutorie in sviluppo sono riconoscibili nell’Asia centrale, in Yemen e Myanmar, nell’Africa sub-sahariana e in alcuni paesi dell’America Latina. Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan, guidati da regimi autoritari, accentuano la loro pressione contro le Chiese, in particolare quelle protestanti. La promozione di vaghe tradizioni culturali e valori nazionali soffocano il dissenso pacifico, indebolendo lo stato di diritto.
In Yemen la guerra civile fra Houti e Governo ha consegnato il paese all’illegalità. Le leggi sulla blasfemia colpiscono in particolare i cristiani. In Myanmar due colpi di stato (2021, 2024) hanno destabilizzato il paese in conflitti ripetuti e con alleanze sempre mutevoli. L’esercito attacca frequentemente le chiese sospettate di ospitare ribelli. Questi, a loro volta, attaccano le comunità affermando il contrario. Oltre 100.000 cristiani sono raccolti in campi di sfollati per fuggire dalle violenze maggiori.
Il centro è l’Africa
I cristiani dell’Africa sub-sahariana pagano un altissimo contributo di sangue e di sofferenze. Quest’area è diventata il fulcro maggiore delle persecuzioni. I morti sono stati 4.912. Le milizie islamiche di varia denominazione sono attive in tutti i paesi interessati. In Sudan (49 milioni di abitanti) vi sono quasi 8 milioni di sfollati interni. Vengono colpiti in particolare i credenti neri (di ascendenza non araba).
Il caso più grave è la Nigeria dove le milizie di Boko Haram, dello stato islamico e dell’etnia fulani attaccano in prevalenza la popolazione cristiana (stanziale rispetto ai fulani). La nuova presidenza non è riuscita a sradicare la violenza. Fra il 2020 e il 2023 il numero dei cristiani uccisi supera le 22.000 persone. Le uccisioni di massa del Natale 2023 si sono ripetute nella Pasqua del 2024. Se si parte dal 2015, gli uccisi sono 35.000. I rapimenti a scopo di riscatto sono notevolmente aumentati.
La situazione è in netto peggioramento anche nel Mali, in Burkina Faso, Congo, Ciad e Mozambico. Il caso algerino, dove tutte le chiese protestanti sono state costrette a chiudere, apre lo scenario delle Chiese nascoste. Una legge del 2006 proibisce ogni conversione che non sia all’islam. La pressione è minore sulle comunità cattoliche perché sono frequentate dagli stranieri e non fanno proselitismo. Nonostante la repressione, si parla di 400.000 cristiani. Totalmente clandestine le comunità in Afghanistan. Sono silenziose in Libia. In Somalia basta il possesso di una Bibbia per essere condannati a morte.
Corea del Nord
Da qualche anno, le violenze anticristiane prendono spazio in America Latina. A parte il caso Cuba, sorprende la violenza registrata in Messico dove il crimine organizzato attorno al commercio della droga prende di mira i leader della Chiesa cattolica che sono il riferimento delle popolazioni sui territori periferici. L’onda di violenza pre-elettorale nel 2024 ha ulteriormente aggravato la situazione. Il Nicaragua attua una persecuzione statalista sul modello del comunismo cubano.
Una nota a parte è necessaria per la Corea del Nord che da anni è al vertice del triste elenco. Credere è considerato un tradimento ed è colpito da una legge del 2021. Si stimano in 70.000 gli internati nei campi di lavoro forzati. Le pochissime chiese aperte lo sono per ragioni di propaganda. Nonostante questo si stima una presenza di circa mezzo milione di cristiani su una popolazione di 22 milioni. Sono soprattutto protestanti che, nel loro viaggio o permanenza in Cina, incontrano il cristianesimo. Tornano non con la Bibbia, ma con chiavette USB per meglio nascondersi alla polizia.
L’agenzia Fides fa memoria dei missionari e degli operatori pastorali uccisi nel 2024. Sono 13: 8 preti e 5 laici. In Africa il loro numero arriva a 6 (Burkina Faso, Camerun, Congo e Sud Africa). Nel continente americano gli uccisi sono stati in Ecuador, Messico e Brasile. Fra il 1980 e 1989 i missionari uccisi sono stati 115. Dal 1990 al 2000, 604. Dal 2001 al 2022, 544. Il rapporto Fides ricorda anche due uccisioni avvenute in Europa: in Polonia, in ragione di una rapina, e in Spagna, per un aggressore con problemi psichici.
Cristianofobia in Occidente
Il rapporto OIDAC sulla violenza contro i cristiani in Europa esprime quello che ho chiamato «cristianofobia». Il testo nasce dall’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani nel continente, fondato nel 2010. È una ricerca fatta in parte sui dati forniti dalle denunce di polizia di vari paesi e in parte dai dati raccolti dall’Osservatorio.
Commentando i risultati, il direttore dell’organismo, Anja Hoffmann, ha detto: «In particolare, i cristiani che aderiscono a credenze religiose tradizionali affrontano una crescente discriminazione e ostilità, che vanno dal mobbing sul lavoro alla perdita del posto. È molto preoccupante che l’espressione pacifica di convinzioni religiose personali, ad esempio su questioni relative al matrimonio e alla famiglia, sia diventata la potenziale fine di una carriera politica o di un impiego, o persino l’inizio di un procedimento giudiziario».
Col termine intolleranza, il testo si riferisce alla dimensione sociale: ostilità, crimini, minacce. Con quello di discriminazione, indica la dimensione legale delle misure anticristiane.
Il documento scandisce il suo sviluppo in tre passaggi: i crimini d’odio, le discriminazioni e le restrizioni della libertà religiosa. I crimini sono quantificati in 2.444 casi, avvenuti in 35 paesi europei. Fra questi 232 sono attacchi personali. I paesi più colpiti sono la Francia con oltre 1.000 casi, il Regno Unito con 700 e la Germania con 277. Fra i crimini, il 62% sono vandalismi, il 10% incendi, l’8% minacce, il 7% violenze fisiche, il 2% (omicidi o tentativi di omicidio) e 11% altre forme.
I numeri censiti per altri stati sono: Polonia 80, Italia 65, Spagna 54, Austria 173. Sotto la dizione «crimini d’odio» si raccolgono gli atti «criminali motivati da pregiudizi o preconcetti nei confronti di determinati gruppi di persone». In questo caso, dei credenti. In Francia sono cresciuti in particolare gli attacchi incendiari, mentre nel Regno Unito sono cresciute tutte le fattispecie, compreso un tentativo di omicidio verso un convertito dall’islam al cristianesimo da parte dei suoi precedenti correligionari. In Germania le violenze sono cresciute del 105% con centinaia di vandalismi contro le chiese. Molti con sfondo politico, in maggioranza relativa «da destra».
Discriminazione
Gli episodi di discriminazione riguardano il lavoro, le università, la politica e i media. In un’inchiesta realizzata nel Regno Unito, il 56% degli intervistati ha dichiarato di avere sperimentato ostilità e ridicolo parlando del proprio credo religioso. Il 18% ammette che la professione della religione ha procurato qualche svantaggio. Si scoraggia l’accenno alla fede nel proprio curriculum vitae. Il documento riporta il caso di un licenziamento motivato da citazioni bibliche apparse sul proprio profilo Facebook e di un’offerta di lavoro ritirata nel momento in cui si è rivelata la propria appartenenza religiosa. I politici scozzesi Kate Forbes e Tim Forron affermano di essere stati discriminati in ragione della fede.
Una ricerca condotta dall’OIDAC attesta che, nelle università pubbliche di alcuni paesi europei, si respira aperta ostilità verso le posizioni delle Chiese e in uno studio su quattro università britanniche emerge che il gruppo degli studenti cristiani conosce ostilità e discriminazione in ragione delle posizioni pro-vita. I media tendono a sottovalutare gli episodi di violenza anticristiana e spesso i credenti, nelle trasmissioni televisive, vengono presentati come sciocchi e sgradevoli. Tutto ciò produce, soprattutto per le generazioni più giovani, un effetto paralizzante.
In alcune interviste «in profondità» su giovani universitari, l’OIDAC constata l’ampiezza di autocensura dei giovani in ordine a manifestare il proprio orientamento religioso. In uno studio inglese, solo il 36% degli intervistati sotto i 35 anni dichiara di sentirsi libero di esprimere le proprie opinioni in merito.
Restrizioni della libertà
Fra le restrizioni della libertà religiosa, si ricordano i casi noti di due donne in politica: Isabel Vaughan-Spruce (Regno Unito) e Päivi Räsänen (Finlandia) sottoposte a indagine penale per aver richiamato alcuni brani della Scrittura.
Il caso più comune è la censura e la multa per quanti pregano (anche silenziosamente) davanti alle cliniche abortive. Sono le cosiddette «zone cuscinetto» che vengono legalmente difese in Spagna, Regno Unito, Germania, Scozia, Irlanda del Nord. Divieto che si estende anche nelle abitazioni private dei dintorni.
Si annotano restrizioni di manifestazioni pubbliche come le processioni. In occasione delle olimpiadi parigine (2024) sono state arrestate sei persone che esponevano la scritta «stop agli attacchi anticristiani», alludendo allo spettacolo di avvio della manifestazione. Un prete spagnolo, C. Ballester, è stato convocato in tribunale per aver denunciato nell’omelia l’islam politico e la persecuzione. Un insegnante inglese è stato allontanato dalla scuola per aver manifestato le sue opinioni in un’intervista televisiva.
L’obiezione di coscienza al servizio militare è stata censurata per alcuni casi in Ucraina e, in molti paesi europei, l’obiezione all’aborto nella professione medica è progressivamente contratta. Si ricorda che, nelle zone occupate dai russi nel Donbass (Ucraina), è stata messa fuori legge la Chiesa greco-cattolica e si critica la legge ucraina che vieterebbe l’attività della Chiesa ortodossa legata a Mosca.
Un tribunale belga ha chiesto un risarcimento alla Chiesa cattolica che ha rifiutato il percorso diaconale a una donna. I singoli casi sono numerosi.
Il documento, in conclusione, richiama l’attenzione sulle garanzie verso i convertiti dall’islam, su una più accurata definizione giuridica delle leggi relative al «discorso d’odio» e su una più precisa delimitazione delle garanzie per le «zone cuscinetto».
In generale, si auspica una più ampia comunicazione per i gruppi religiosi per le leggi che in qualche maniera interessano loro. Non mancano le indicazioni per l’Unione Europea: la figura di un coordinatore per recensire le violenze anticristiane, la prudenza sulle legislazioni comunitarie ispirate all’«incitamento all’odio», l’applicazione ai cristiani degli stessi standard che vengono usati per garantire le minoranze religiose.
Docibilitas: disponibili a imparare
Monitorare e denunciare gli elementi della crescente cristianofobia in Occidente, e in Europa in particolare, è un compito a cui le Chiese non possono sottrarsi, soprattutto quando diventano fenomeni di vasta portata come la «costituzionalizzazione» del «diritto» all’aborto nel caso francese, la trasformazione di «non punibilità» e di una «libertà» in diritto positivo, e nella richiesta per un simile passo anche per il Trattato europeo.
Ma la denuncia dev’essere finalizzata all’alimentazione dei valori della struttura democratica e non limitarsi a slogan come l’«Europa senza Dio». Ricordando quanto è scritto nella costituzione pastorale conciliare Gaudium et spes: «La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire dalla stessa opposizione di quanti l’avversano e la perseguitano» (EV 1462, n. 44).