
Foto LaPresse.
Un prete uccide un “barbone”, un parlamentare nega l’olocausto e alcune omelie vescovili sembrano violare il Concordato. La Polonia è irrequieta.
Il doloroso scandalo dell’uccisione di un “barbone” da parte di un prete (24 luglio) si accompagna ad un’inquietante polemica politica-ecclesiastica originata dall’affermazione di un parlamentare polacco in Europa che nega l’olocausto (10 luglio) e alla protesta del governo presso la Santa Sede per alcune omelie considerate “offensive” a violazione del Concordato.
Omicidio
Un prete sessantottenne, parroco del villaggio di Przypki nel territorio di Varsavia, ha colpito con un’ascia la sua vittima e, dopo avergli versato addosso della benzina, gli ha dato fuoco.
Secondo le prime indagini della polizia, la ragione sarebbe nella reazione insofferente del malcapitato alla proposta di un alloggio da parte del prete, condizionata ad una donazione.
Per la testimonianza di un passante, il sacerdote è stato rapidamente riconosciuto. Posto in custodia cautelare, ha subito ammesso il reato ed è in attesa di giudizio.
Nel clima teso dell’opinione pubblica polacca la gravità del gesto ha riacutizzato le denunce verso la Chiesa (cf. qui), nonostante l’immediata e severa reazione del vescovo di Varsavia, Adrian Galbas che ha subito censurato il delitto. Rivolgendosi ai fedeli della diocesi, ha commentato: «Oggi non ho per voi parole di conforto, tanto meno una spiegazione o una giustificazione. Sono sconvolto e devastato dalla notizia che uno dei miei sacerdoti ha brutalmente assassinato un uomo, un povero senzatetto. Non ho altra risposta che la parola interrogativa “perché”».
Il 26 luglio, una nota dell’arcidiocesi decide l’immediata sospensione da parroco e dal servizio pastorale e chiede al dicastero della Santa Sede la dimissione dallo stato clericale dell’interessato in ragione dei canoni del diritto ecclesiale. Assicura alla polizia piena collaborazione alle indagini. La domenica (27 luglio) viene data comunicazione a tutte le parrocchie. Il vescovo chiede ai preti e ai parrocchiani un momento di preghiera e di richiesta di perdono.
Negazione dell’Olocausto
L’evento, singolare seppur drammatico, avviene in un contesto di crescente tensione fra Chiesa e governo, Chiesa e opinione pubblica (cf. qui).
Il primo episodio nasce dalle sciagurate affermazioni del parlamentare europeo di estrema destra, Grzegorz Braun, a Radio Wnet che, sposando il revisionismo storico e le letture antisemite, afferma: «Le camere a gas di Auschwitz sono false».
Immediata la reazione dell’arcivescovo Jozef Kupny: «Come vicepresidente della Conferenza episcopale polacca, ma soprattutto come vescovo cattolico e polacco, esprimo la mia indignazione per le dichiarazioni dell’eurodeputato Grzegorz Braun. Ha messo in discussione il genocidio commesso dai tedeschi nelle camere a gas di Auschwitz contro gli ebrei e altre nazioni. Le parole del politico polacco non sono solo inaccettabili. Sono una palese menzogna che non si giustifica in nessun modo e che non dovrebbe apparire sulla bocca di un politico che rappresenta il nostro paese sulla scena internazionale».
Il card. Grzegorz Rys, presidente del comitato episcopale per il dialogo con l’ebraismo, commenta in termini netti e telegrafici: «L’antisemitismo in qualsiasi forma è, secondo l’insegnamento della Chiesa, un male morale; negare l’olocausto è una menzogna e colloca chi l’afferma dalla parte dei carnefici e non delle vittime».
Altrettanto chiaro l’arcivescovo di Varsavia, Adrian Galbas: «Le parole del signor Grzegorz Braun sono malvagie e generano male. Non possiamo tacere e non possiamo ignorarle».
Il parlamento ha votato una risoluzione di condanna ricordando l’orrore della macchina totalitaria di morte, l’assassinio sistematico delle élites polacche e il milione di vittime ebree. «La negazione di questo crimine è ancora presente nella politica europea e pericolosi segnali della sua esistenza sono visibili anche nella politica polacca», come emerge dalle dichiarazioni di G. Braun.
La Madonna Nera contro il governo?
Il consenso sull’opposizione all’antisemitismo si sbriciola su molte altre questioni. Lo prova l’inabituale protesta diplomatica del governo verso la Santa Sede contro le affermazioni di due vescovi, Antoni Dlugosz e Wieslaw Mering.
L’11 luglio, nelle annuali celebrazioni di Jasna Gora, mons. Dlugosz si è espresso in difesa del movimento politico di estrema destra di Robert Bakiewicz e, due giorni dopo, mons. Mering si è scagliato contro i “nemici” russi come tedeschi, insultando gli attuali governanti come “gangster politici”.
Il movimento di Robert Bakiewicz si caratterizza per la volontà di uscire dall’Unione Europea, di rendere obbligatoria l’educazione patriottica e la leva militare generalizzata, distribuendo armi per una società militarizzata.
Mons. Mering ha affermato che i confini orientali (Russia) sono in pericolo come in confini occidentali (Germania) e che gli attuali governanti sono “tedeschi” richiamando il detto «Da che mondo è mondo, come ha detto uno dei poeti polacchi del XVII secolo, Waclaw Potoski, un tedesco non sarà mai fratello di un polacco».
Definire “tedeschi” i governanti, «suggerisce una fondamentale slealtà alla nazione da parte del governo. Tale accusa è inaccettabile per le autorità elette con un processo elettorale democratico e legittimate dalla società della Repubblica di Polonia».
Inoltre, il consenso al movimento di Bakiewicz si configura come ingerenza indebita nel confronto politico interno. «Le parole dei due vescovi sono indegne dell’istituzione che rappresentano e dei fedeli affidati alle loro cure».
La protesta diplomatica governativa conclude chiedendo le «dovute conseguenze» per i due vescovi per la loro violazione al dettato del Concordato con la Santa Sede (per una lettura più ampia dei rapporti storicamente difficili fra Polonia e i vicini russi e tedeschi cf. qui).
Dalle loro affermazioni ha preso distanza il vescovo di Breslavia, Jozef Kupny, che ha denunciato la risorgente avversione verso il popolo tedesco. Anche in ragione del ruolo del suo predecessore, card. Boleslaw Kominek, nella stesura della famosa lettera dell’episcopato polacco a quello tedesco alla fine del concilio (1965) in cui si offriva e chiedeva perdono, testo fondamentale nel processo di avvicinamento dei due popoli. Quel documento «appare sempre più attuale. Allo slogan recentemente ripreso nel dibattito pubblico – “da che mondo è mondo un tedesco non sarà mai fratello di un polacco” – vorrei rispondere con la lettera citata che è un grido nella nostra memoria. Un documento rivoluzionario, così disperatamente necessario sessanta anni fa come oggi».
Forma e sostanza
È intervenuta anche l’associazione degli intellettuali cattolici di Varsavia. Il suo presidente Jakub Kiersnowski ha censurato le parole dei due vescovi pronunciati all’altare della Madonna Nera: «È inaccettabile che menzogne ed espressioni di odio aperto escano dalle labbra di successori degli apostoli durante una celebrazione liturgica.
Siamo preoccupati per il silenzio della maggioranza dell’episcopato di fronte a simile perversione. Questo non gioverà al consenso popolare alle parole della Chiesa in Polonia, ma suonerà scandalo per molti per l’incapacità del popolo cristiano, in questo caso dei vescovi, di opporsi apertamente e pubblicamente al male esibito in un modo pubblico e palese».
Ricorda che solo il vescovo Kupny e il card. Rys hanno preso le distanze.
Sensibilità opposta quella espressa da p. Dariusz Kowalczyk professore alla Gregoriana a Roma. Ignorando i temi di fondo, si limita a sottolineare le imprecisioni e le sbavature della protesta governativa: i vescovi indicati non sono formalmente rappresentanti della conferenza e, tanto meno, coinvolti nell’esecuzione del Concordato; i vescovi non partecipano alla vita politica ma ne possono commentare gli eventi; del tutto impropria suona la richiesta di censure per loro da parte del governo.
«Si tratta semplicemente di un commento critico, mosso dalla preoccupazione per il bene comune, sull’operato del governo, al quale i vescovi hanno diritto in quanto vescovi e cittadini della Repubblica di Polonia». Resta da vedere se la valutazione debba fermarsi alla forma o alla sostanza.






Il modello è stato nel passato – e continua ad essere attualmente in ampi settori – quello della Chiesa ” trionfante”, non certo quello della Chiesa pellegrina; e quindi…
La Chiesa polacca è stata sempre una Chiesa arroccata, cittadella assediata in lotta col mondo esterno. Finanche il Vaticano II è stato di difficile – e parziale – accettazione
Esistono paesi messi peggio di noi. Non è consolante ma non c’è limite al peggio.
Ma che vi ha fatto di male la Polonia? E in generale: una buona notizia mai? Hai voglia poi con le neuroscienze e la speranza…