
Mons. Slawomir Oder
La Conferenza episcopale polacca ha deciso di annullare il procedimento per una commissione relativa agli abusi e ripartire da capo. L’arcivescovo primate, Wojciech Polak, il suo gruppo di lavoro e i testi di indirizzo per la commissione finora prodotti sono stati sfiduciati. Al suo posto è subentrato mons. Slawomir Oder, noto come postulatore della causa di santità di Giovanni Paolo II e per la sua presenza nell’Ufficio giuridico della Conferenza, il quale ha criticato in toto (lo scorso 28 febbraio) la proposta di Polak. La decisione è stata presa a Katowice dove i vescovi hanno solennizzato il centenario della diocesi (10-12 giugno).
Lo sconcerto è visibile in tutte le reazioni del mondo cattolico e no. Emblematico quello del caporedattore dell’agenzia ufficiale KAI, Marein Przeciszewski, che scrive:
«La decisione significa che l’arcivescovo Polak il quale, in qualità di delegato della Conferenza episcopale polacca per la protezione dei bambini e dei giovani, conosce molto bene questo tema ed è una riconosciuta autorità per le vittime, sarà privato di qualsiasi influenza sulla configurazione della futura commissione. Nel contempo, il vescovo Oder non si è mai occupato di questo tema in precedenza e non ha alcuna esperienza in questo campo. Le vittime percepiranno questa nomina come la prova che il loro dramma non è trattato con serietà e nella società civile significherà un ulteriore e probabilmente rapido declino dell’autorità della Chiesa».
Il vescovo Oder, dal canto suo, ha relativizzato molto: «Si tratta di precisazioni sia nelle formulazioni giuridiche sia nei principi specifici di funzionamento di questa commissione. Abbiamo l’esperienza di Chiese di altri Paesi che è stata condivisa con noi. Vogliamo evitare gli errori che qualcuno ha commesso». Il riferimento è chiaramente al rapporto della commissione indipendente voluta dai vescovi francesi (CIASE). Polak e i suoi esperti non hanno mai nascosto una privilegiata attenzione a quell’esperienza particolare.
Difficile indicare le cause di un cambiamento così radicale di indirizzo. È probabile che il conflitto fra «garantisti» e «innovatori» fosse in atto da tempo, che il parere dell’Ufficio giuridico abbia impaurito molti vescovi e che l’attuale scontro politico e ideologico nel Paese abbia giocato da cassa di risonanza del confronto interno. Di fatto, un processo che si è avviato con coraggio e fatica nel 2023 è oggi in frantumi nonostante le assicurazioni di rito.
Delusione dopo le speranze
La plenaria della Conferenza episcopale di marzo 2023 aveva deciso, su pressioni mediatiche violentissime, di istituire una squadra speciale per fare luce sui crimini contro i minori commessi in passato nella Chiesa cattolica.
Il giugno successivo mons. Polak, coadiuvato dal gesuita Adam Žak, aveva presentato uno studio comparato fra i vari strumenti e commissioni già sperimentate nel contesto delle Chiese nazionali (USA, Germania, Australia, Francia, Irlanda, Gran Bretagna, Olanda, Portogallo) privilegiando l’interlocuzione con l’esperienza francese. Fu deciso di allargare la presenza di altri due vescovi e di fissare il tempo di indagine dal 1945 ad oggi. L’approccio previsto era quello storico e interdisciplinare.
Nel novembre 2023 si coinvolgono i rappresentanti dei religiosi e delle religiose, evidenziando la centralità delle vittime nel processo in atto. Nel giugno dell’anno successivo (2024), dopo che mons. Polak è rieletto nella Commissione per la tutela dell’infanzia, si annuncia che il lavoro preparatorio si avvia a conclusione. Il mese prima era arrivato alla presidenza un’argomentata lettera di 46 vittime che chiedeva una reazione coraggiosa della Chiesa al problema degli abusi. Nella risposta vi era l’invito per un dialogo diretto che è effettivamente avvenuto il 19 novembre del 2024. L’incontro fra i 74 vescovi e i rappresentanti delle vittime è stato da tutti avvertito come un momento alto di intesa e di verità.
Sembrava tutto pronto per una decisione rapida e coraggiosa nell’avviare una Commissione se non «indipendente» quanto meno di «indipendenti». Si aspettava solo il parere, non vincolante, del Consiglio giuridico della Conferenza episcopale. È arrivato con un secco no al progetto il 28 febbraio 2025 (cf. qui su SettimanaNews).
Denuncia il carattere investigativo dell’organismo previsto e non solo storico-informativo, tale da porre sotto inchiesta anche i vescovi (il Codice lo riserva alla Santa Sede). Inoltre, prevede la possibile collaborazione con persone di non provata fede che potrebbero non aver a cuore il bene della Chiesa. Sottolinea anche: l’impossibilità di verificare le accuse, il lungo periodo di investigazione (dal 1945 a oggi), la carenza di indicazioni dei costi dell’operazione e la possibilità che il materiale raccolto possa essere utilizzato per cause civili contro enti ecclesiastici.
La conclusione è drastica. Si torni a votare sulla natura della commissione, dopo la decisione del 2023.
Le reiterate richieste
Prima dell’assemblea di Katowice, una lettera dei rappresentanti degli abusati rinnova ai vescovi le richieste già formulate in passato. Esse sono relative alla sospensione dell’attuale presidente, mons. Tadeusz Wojda, in attesa di un pieno chiarimento rispetto alle accuse di negligenza in casi di abuso, alla determinazione della data di inizio dei lavori della commissione di indagine, ad un elenco di buone pratiche nelle indagini, alla nomina di un difensore civico nominato dalla Chiesa, all’invito ai vescovi di incontrare anche le vittime segnalate dai media, al coinvolgimento di almeno una donna nel sistema ecclesiale di assistenza agli abusati, a un serio approccio al tema degli adulti vulnerabili e a un coinvolgimento diocesano delle vittime nelle decisioni che le riguardano.
L’esito della decisione episcopale ha portato uno dei tre firmatari della lettera (Jakub Pankowiak) a denunciare la paura dei vescovi e le rivalità evidenti al loro interno fra chi riteneva la commissione una minaccia per l’istituzione e chi invece condivideva la linea proposta. La sua delusione è radicale. Si è sentito ingannato e deluso. Chiuderà ogni collaborazione e l’idea della commissione a suo avviso è archiviata, «anche se venisse formata una nuova équipe non sarebbe più la commissione che avevamo chiesto».
Attraversata da dolore e irritazione anche la reazione del vescovo Damian Muskus: «Oggi non possa fare altro che assicurare la mia vicinanza a coloro la cui fiducia è stata seriamente scossa». Angosciate le parole del carmelitano Mateusz Filipowski che ha condiviso un percorso di ascolto e riscatto con un centinaio di vittime. Chiede ai vescovi: «Datemi qualche argomento sensato su cui basarmi nelle conversazioni con le vittime, sul perché valga la pena per loro di rimanere nella Chiesa».
Un clima avvelenato
Il vistoso arretramento dell’episcopato polacco sul tema degli abusi avviene in un contesto di duro scontro politico con l’attuale governo. Nel comunicato finale dell’assemblea episcopale si indica lo scontro frontale sulla questione dell’insegnamento della religione (cf. qui su SettimanaNews), sui corsi di educazione sanitaria introdotti dal ministero, sul mancato avvio della discussione relativamente al finanziamento statale della Chiesa.
Ma anche i temi interni sembrano particolarmente tesi: sul rinnovo della catechesi, sulla situazione dei media, sull’identità del prete. Uno studio, per ora provvisorio, sulle aggressioni ai preti parla di minacce, insulti e scherni non solo occasionali. Il 19% dei 614 preti sentiti ha riferito di un’aggressione fisica, il 15% di interruzioni nelle funzioni religiose, il 4% di aggressioni fisiche.
Un contesto che non annuncia nulla di buono a meno di correzioni significative sui fronti contrapposti
Non desta sorprese, trattandosi della Chiesa polacca…
Forse l’episcopato polacco avrebbe fatto meglio a seguire l’esempio della CEI: dichiarazioni altisonanti a beneficio dei mass media, adozione di commissioni e procedure opache e volutamente inconcludenti. Finora in Italia ha funzionato, quello degli abusi spirituali e sessuali del clero è ostinatamente considerando come un problema marginale e relativo a poche “mele marce”. Che poi la verità storica sia un’altra e che poi questa sia comunque destinata ad emergere non importa. Meglio fare finta di niente, oppure fare finta di fare qualcosa… con amara ironia, devo riconoscere che l’episcopato polacco e quello italiano hanno realizzato in modi diversi due clamorosi e antievangelici autogol
Esempio della Cei? Quale? Stiamo ancora aspettando il processo al protettissimo Rupnik……
Cosa c’entra la CEI con Rupnik? Ma sa almeno cosa è la CEI? Basti solo sapere che non è italiano e che non è incardinato in nessuna diocesi italiana, ora mi dica cosa c’entra la CEI…